Arriva Upsee: via la carrozzina, il bimbo disabile “cammina” con il genitore

Arriva Upsee: via la carrozzina, il bimbo disabile “cammina” con il genitore

Arriva dall’Irlanda del Nord l’ausilio inventato da una mamma che permette ai bambini disabili di camminare insieme a un adulto. E insieme ai consensi, arrivano le critiche: “E’ un palliativo, fa tutto il genitore”. On line il seminario gratuito

da Redattore Sociale
27 marzo 2014

ROMA – Arriva dall’Irlanda del Nord, partorito dalla mente di una mamma. Per alcuni, potrebbe addirittura archiviare la vecchia sedia a ruote per i bambini disabili. Si chiama “Upsee”, è un ausilio nato come “fai da te” ma, come spesso accade in questi casi, “adottato” da una ditta, la Firefly, che in questi giorni sta lanciando l’idea in tutto il mondo. Tanto che dal 1 al 3 aprile organizzerà tramite il proprio sito internet un seminario internazionale gratuito per presentare la novità.

Concretamente, si tratta di un’imbracatura mobile, che avvolge il bambino e al tempo stesso lo aggancia all’adulto, tramite una cintura di sostegno e dei sandali speciali che legano i suoi piedi a quelli dell’adulto stesso. In questo modo, il bambino riesce a stare in piedi e, sfruttando il movimento del genitore, può camminare insieme a lui, conquistando la posizione eretta e abbandonano la carrozzina.

A ideare Upsee è stata una musicoterapeuta dell’Irlanda del Nord, Debby Elnatan, mamma di un bambino con paralisi cerebrale, il piccolo Rotem. Grazie alla sua invenzione, Debby ha coronato il sogno di vedere suo figlio in piedi e di andare in giro insieme a lui lasciando la carrozzina a casa. Ha quindi cercato il modo di diffondere la sua idea e ha incontrato così la disponibilità e l’interesse dell’azienda nordirlandese, la Firefly, specializzata nella produzione di ausili per bambini disabili. Dopo averla sperimentata con successo nel Regno unito, negli Stati Uniti e in Canada, ora l’azienda ha presentato ufficialmente la novità, con un evento internazionale organizzato presso il proprio stabilimento. “Quando mio figlio aveva due anni – ha raccontato Debby Elnatan, intervenendo alla presentazione – i medici mi dissero che non sapeva cosa fossero le sue gambe e non aveva alcuna coscienza dei suoi arti inferiori – ha continuato – per una madre è incredibilmente difficile apprendere una cosa del genere. Ho iniziato a camminare con lui giorno dopo giorno, una prova molto difficile per entrambi. Dal mio dolore e dalla mia disperazione, infine, è nata l’idea dell’Upsee e sono contentissima che sia finalmente fruibile a tutti”.

L’idea, che sta facendo intanto il giro della rete, riscuote molto consenso tra i genitori. “Fantastico e geniale”, lo definisce Cristina dall’Ara, che per sua figlia Elena può contare su un altro “ausilio fai da te”, quello inventato tempo fa da nonno Aldo per portarla in bicicletta. Il consenso però non è unanime. Invita alla prudenza Fabiana Rosa, terapista, che conosce bene l’importanza degli ausili per le famiglie. “Dal mio punto di vista e secondo il mio personale approccio – tiene a specificare – non utilizzerei mai un ausilio del genere. Innanzitutto, non mi pare che sia una grande novità: chiunque può essere messo in piedi, anche un morto, grazie alla tecnologia di cui disponiamo: una varietà di tutori che a volte arrivano fino alle ascelle, veri e propri sarcofagi che camminerebbero anche sa soli… Di fatto, metti in piedi il bambino, ma fa tutto il genitore”.

Soprattutto, l’ausilio non si presta alle gravi disabilità, in cui i problemi motori derivano da un danno cognitivo. “Forse può funzionare per bambini con malattie neuromuscolari, in cui non ci sia una lesione centrale. Però non mi pare si possa parlare di ausilio riabilitativo: non si acquisisce la capacità di camminare, né la consapevolezza del movimento. E’ un palliativo, un sostituto del cammino, che toglie la necessità di acquisire strategie”. Il fatto poi che favorisca la partecipazione sociale del bambino, “è solo una visione: c’è chi crede che, anche in assenza di prerequisiti, sia necessaria la cosiddetta verticalizzazione del bambino per favorire lo sviluppo di funzioni altre. Per me non è così, ma esattamente il contrario: la stazione eretta è un’emergenza del sistema in seguito all’acquisizione di funzioni altre”. Comprensibile, però, l’entusiasmo dei genitori, ma “le famiglie si entusiasmano facilmente, lo so per esperienza – osserva Fabiana Rosa – e sono disposte a indebitarsi per cose assurde. Per questo, bisognerebbe pensarci bene prima di presentare un ausilio con tanto clamore”.

Prudente anche Marina Cometto, mamma una donna con sindrome di Rett e ormai esperta di disabilità: “Non so se è veramente utile – dice – le novità mi attirano, ma se non si provano concretamente  non mi entusiasmo. Intanto non credo si possa dire addio alla sedia a rotelle: un bambino non può certo stare così tutto il giorno! Poi c’è il rapporto tra altezza dell’adulto-sostegno e altezza e peso del bimbo: è un ausilio a termine insomma, che prima o poi va abbandonato. E poi mi fa paura l’eventualità che l’adulto cada… Per il bambino sarebbe disastroso”. (cl)