La Scuola privata non è Scuola pubblica
di Maurizio Tiriticco
Finalmente un libro con cui si fa estrema chiarezza circa l’annosa questione dei rapporti tra Stato e scuole private. O, se vogliamo, se, come e perché lo Stato debba in qualche misura sostenere la “scuola privata”: le virgolette stanno a significare la genericità dell’espressione, perché di fatto, sotto questo nome rientra un eterogeneo pot pourri di offerta educativa non statale, da una scuola di sci a una scuola per interpreti a un asilo di suore.
Ma veniamo al libro.
La polemica ormai è ultradecennale. Lo Stato garantisce a ciascun cittadino l’istruzione pubblica, cioè istituita, governata e amministrata da scuole statali di ogni ordine e grado. Comunque un cittadino può avvalersi di altri canali d’istruzione, i cui percorsi e i cui titoli siano riconoscibili e riconosciuti dallo Stato, ma i cui costi siano assolutamente non a suo carico. E non è un caso che i Padri costituenti stabilirono il principio secondo cui “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” (Costituzione, art. 33, c.3). Però, secondo la capziosa lettura di alcuni, il “senza oneri” per l’istituzione non significa “senza oneri” per l’organizzazione e il funzionamento, che in effetti è un’altra cosa.
Occorre, però, obiettare che andare oltre la scrittura dei Costituenti è impresa ardita, stante il fatto che i Costituenti hanno adottato vocaboli che, al contrario di quanto avviene a volte in testi legislativi, non intendono mai dar luogo, né effettivamente lo danno, a interpretazioni altre. Quindi nessun ciabattino vada oltre la sua scarpa! Nessuna norma può dar luogo a stanziamenti statali in favore di scuole private. Se poi, in taluni casi sia avvenuto il contrario, ciò non è affatto imputabile a una discutibile lettura del testo costituzionale né all’applicazione della legge 62/2000, come invece da più parti si dice o per ignoranza o per consapevole provocazione.
La legge 62/2000 venne pensata e varata in un contesto istituzionale e amministrativo del nostro Stato ormai molto diverso rispetto al dettato costituzionale del ‘47.
L’area dell’effettivo esercizio della democrazia ormai si era allargata, e di molto, rispetto a quanto poteva avvenire nell’immediato dopoguerra. In atre parole, il nostro Stato è sempre stato dall’Unità al 1946, anno d’istituzione della “Repubblica democratica fondata sul lavoro”, uno Stato fortemente autoritario e centralistico, fondato anche su palesi discriminazioni di classe e addirittura di genere. Basti ricordare che l’accesso al voto per decenni era riservato ai cittadini di un certo censo economico e sociale e che le donne votarono per la prima volta solo nel 1946.
Quindi “democrazia”, in quanto partecipazione e “lavoro” in quanto diritto erano concetti e atti tutti da costruire ex novo nell’immediato dopoguerra. E “democrazia” e “lavoro” sono i concetti che connotano la nostra Repubblica. Comunque, dal ‘46 al 2000 compimmo passi da gigante. E il nostro Paese divenne maturo per cominciare a rompere la struttura fortemente centralistica ereditata dal passato e dare avvio a un nuovo processo, quello delle autonomie.
Basti accennare alla profonda differenza che corre della definizione di Stato e della sua organizzazione tra i due articoli della Costituzione 114, quello del ‘47 e quello di cui alla riscrittura del 2001. Nella prima redazione leggiamo: “La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni”. Nella seconda leggiamo: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”.
Si noti la “verticalità” della prima scrittura e l’“orizzontalità” della seconda. Da un “si riparte” si passa a un “è costituita”. I Comuni che nella prima versione sono all’ultimo posto, secondo una visione verticale e gerarchica, nella seconda sono al primo, secondo una visione orizzontale e democratica. E lo stesso Stato sembra perdere il concetto che da sempre lo ha caratterizzato secondo tutte le interpretazioni filosofiche e politologiche per assumere una connotazione più “famigliare”, potremmo dire, quella di un organo “quinto” a cui competono certi poteri legislativi e non altri, come si evince dall’articolo costituzionale 117.
Per quanto riguarda l’istruzione, lo Stato ha poteri in materia di norme generali e di Livelli essenziali delle prestazioni.
Si potrebbe obiettare che tali modifiche sono state apportate con la legge costituzionale 3 del 2001 e che la legge 62 è del 2000, quindi precedente. Ma va fortemente sottolineato che tale legge trae diretta ispirazione dalla legge delega 59/97, la famosa “legge Bassanini”, con cui si detta “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed Enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”. È la legge da cui discese tutta una serie di provvedimenti attuativi dell’autonomia nei diversi comparti dello Stato. A tale proposito è opportuno ricordare il D.Lgs. 112/98, concernente “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti Locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”, nonché quel DPR 275/99 concernente il “Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche”.
Si tratta di una serie di provvedimenti di diverso rango normativo, provvedimenti che alla fine dello scorso secolo riscrivono l’intero assetto costituzionale del nostro Paese. L’esercizio della democrazia avanza e cambia lo stesso Stato nella sua struttura organizzativa e funzionale. Basti pensare al fatto che nuovi concetti giuridico/costituzionali vennero introdotti nel novellato Titolo V, quali, ad esempio: sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza, solidarietà, equità, responsabilità, differenziazione, adeguatezza, iniziative autonome.
E non fu un caso che, con il varo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, lo stesso Ministero delle Pubblica Istruzione cominciò a cambiare anch’esso nella sua struttura, a partire da quel dlgs 300/99 concernente “Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59”. Il fatto poi che l’autonomia delle istituzioni scolastiche ancora oggi proceda con tutte le difficoltà che conosciamo e che il Miur possa non essere giunto a rinnovare la sua organizzazione interna e i suoi rapporti con le istituzioni scolastiche è altro discorso, su cui i pareri, ovviamente, non sono concordi.
L’articolato della legge 62/2000 va, quindi letto e interpretato alla luce dei cambiamenti in atto in quegli anni nell’organizzazione non solo della scuola, ma anche di tutti gli apparati della Pubblica Amministrazione, che in effetti era già sta investita da una serie di provvedimenti, a partire da quella legge 241/90 concernente “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”. E va anche ricordata tutta la normativa concernente la Carta dei servizi e il Progetto d’istituto, di cui ai Dpcm 19 maggio e 7 giugno 1995: tutti cambiamenti funzionali a una progressiva svolta autonomistica.
È alla luce dei suddetti cambiamenti normativi che vanno lette e interpretate le norme dettate dalla legge 62/2000. Altrimenti si cade nella lettura di quanti artatamente vogliono forzatamente vedervi l’oscuro disegno dei comunisti pronti a sacrificare la scuola di Stato alle bramosie dei cattolici e dei democristiani. E magari anche in forza di quel compromesso storico vagheggiato da Moro ed Enrico Berlinguer! Nessuna lettura può essere più infantile e più volutamente disinformata di questa! Le ragioni di quella legge sono ben altre: e sono ragioni che fin dal ‘47, cioè fin da quel già citato disposto costituzionale che vieta allo Stato il finanziamento di “scuole e istituti di educazione”. Infatti per decenni nessun governo DC o di coalizione si è mai preoccupato di dare corpo e forma al comma 4 del citato articolo costituzionale n 33, che così recita: “La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”. E ciò per ovvie ragioni: finché manca una legge, ogni arbitrio è possibile! Quindi sarebbero possibili finanziamenti alle scuole private a iosa! Pertanto, solo un governo “altro” poteva e doveva preoccuparsi di por mano al disposto costituzionale per decenni volutamente ignorato. E questo fu il primo governo di centrosinistra. Quindi la legge 62/2000 non nasce da chissà quale perversa volontà di “dare soldi alle scuole dei preti”, ma dalla necessità, fino ad allora evasa, di dettare norme precise che dessero corpo e forma ai rapporti tra Stato e scuole private.
Alla nettezza della legge 62 del 2000 segue l’anno successivo la confusa riscrittura del Titolo V, almeno in materia di istruzione. Dalla riscrittura si evince che tutto ciò che non è “norma generale sull’istruzione” e che non rientra nei Lep è di pertinenza delle Regioni! Al comma 3 dell’articolo 3 della legge costituzionale 3/2001 leggiamo tra l’altro: “Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale… Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. Si tratta di una dizione così equivoca – almeno a mio parere – per cui le Regioni possono legiferare in materia di legislazione concorrente e l’istruzione non solo è materia esclusiva dello Stato ma è anche materia di legislazione concorrente. Si tratta di affermazioni che non possono non dar luogo a conflitti di cui poi la Corte costituzionale si è dovuta far carico.
E la conflittualità Stato-Regioni in materia non solo d’istruzione, ma anche d’istruzione e formazione professionale costituisce, almeno a mio parere, uno dei punti più dolenti dell’intero “Sistema educativo di istruzione e formazione”, di cui all’articolo 1 della legge 30/2000. Pertanto, è proprio in ordine al contesto normativo costituzionale riscritto dalla legge costituzionale 3/2001 che ogni Regione può fare buono e cattivo tempo. Così sostegni diretti o indiretti, con il sistema dei bonus, doti, borse di studio e quant’altro, vengono erogati ex lege all’istruzione privata, in barba al disposto della legge 62, di rango inferiore rispetto al novellato Titolo V della Costituzione… o malnovellato, per le incertezze e confusioni interpretative a cui ha dato e dà luogo.
Eppure la distinzione tra scuola privata e scuola paritaria è netta nella legge 62. Sono paritarie solo quelle scuole che dimostrino di possedere una serie di requisiti, assai numerosi e chiaramente individuati e descritti negli articoli 4 e 5. E si tratta di requisiti assolutamente conformi con la lettera e lo spirito di quel dettato costituzionale che è bene riprendere (articolo 33, comma 4) là dove prescrive che è la legge che deve stabilire quali sono le condizione per chiedere e ottenere la parità. E la legge 62, dopo anni di silenzio normativo in materia, ha inteso finalmente rendere operativo questo assunto.
Osvaldo Roman si addentra in una materia estremamente complessa e denuncia tutte le violazioni che sono state apportate sia al precetto costituzionale del ‘47 che alla legge applicativa di Berlinguer che per primo ha inteso mettere ordine in una materia sulla quale dal ‘47 al ‘60 tutto è stato possibile per quanto riguarda finanziamenti pubblici, quindi non solo dello Stato, alle scuole private.
A mio giudizio, è un libro che fa estrema chiarezza sulla complessità di una materia sulla quale sono stati in molti, soggetti e istituzioni, a far finta di nulla. “Se il diritto tace, tutto è lecito”, dice un vecchio adagio. Ma il diritto non tace affatto, anzi parla e scrive! Ma non c’è peggior soggetto di chi non vuole né ascoltare né vedere.
Per queste ragioni ritengo che Roman abbia scritto un testo di cui tutti avevano bisogno, e soprattutto il legislatore, nazionale e regionale. Il faticoso cammino compiuto per dare un assetto a una materia complessa è puntualmente ricostruito dall’autore. Ma è un cammino su cui per troppi anni hanno voluto marciare falsi ciechi e falsi sordi. Non ci sono più alibi per aprire e chiudere scuole private, per chiedere e dare finanziamenti. Non ci sono più alibi per non riconoscere che la prima legge costituzionale – possiamo chiamarla così! – di un governo di centrosinistra ha individuato condizioni serie e giuridicamente valide per dar vita a un sistema nazionale in cui scuole statali e scuole paritarie svolgono con pari dignità un pubblico servizio.
E il principio del “senza oneri per lo Stato” è pienamente rispettato. Il comma 9 dell’articolo 1 della legge 62 così recita: “Al fine di rendere effettivo il diritto allo studio e all’istruzione a tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie nell’adempimento dell’obbligo scolastico e nella successiva frequenza della scuola secondaria e nell’ambito dell’autorizzazione di spesa di cui al comma 12, lo Stato adotta un piano straordinario di finanziamento alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano da utilizzare a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie per l’istruzione mediante l’assegnazione di borse di studio di pari importo eventualmente differenziate per ordine e grado di istruzione…”. Lo Stato non finanzia scuole, ma provvede a sostenere famiglie.
Tutto ciò che è accaduto dopo in materia di finanziamenti pubblici alle scuole private, laddove si sono verificati, non è imputabile alla legge 62, ma a provvedimenti che, qualunque fosse la parte politica che li ha adottati, la travalicano e la violano.
Nel dibattito attuale sul funzionamento delle scuole paritarie e delle scuole private e sulla questione del loro funzionamento e finanziamento il dibattito è aperto.
Tutte le opzioni sono possibili, ma diamo a Cesare quel che è di Cesare! E non diamo a Berlinguer ciò che non gli appartiene!
La Scuola privata non è Scuola pubblica, Roma 5 maggio 2014