Tempo di prove INVALSI

Tempo di prove INVALSI

di Cosimo De Nitto

Il senso e il nonsenso

francesca Ma ditemi voi cosa prova, cosa dimostra questa domanda della foto. Che per misurare si può mettere il metro al contrario e fare una sottrazione anziché una misurazione normale e diretta, come hanno fatto sempre mamma e papà per vedere quanto era diventato alto e come via via cresceva? Il bambino parte dalle operazioni concrete di cui ha esperienza, e guai se non lo facesse. Parte dal probabile non dall’improbabile o dall’assurdo, a meno che non sia in situazioni di gioco che lo richiedano, e queste non sono certo le prove invalsi.

Le parole e le esperienze dei bambini

In una situazione di relazione didattica normale, ordinaria, quotidiana le domande sono spiegate nei termini che la maestra sa che i bambini possono ben comprendere, in quanto conosce il loro vocabolario e il loro vissuto esperenziale. La conoscenza delle parole dei bambini e delle loro esperienze pregresse reali fa porre alla maestra le domande nel modo giusto. Non solo. Se i bambini pensano di non aver capito bene chiedono spiegazioni e solo dopo daranno le loro risposte che saranno credibili, giuste o sbagliate che siano, perché il bambino si riconosce in esse, condivide che sono le sue. Se ha risposto giusto non ha timore di aver indovinato a caso, se ha risposto sbagliato non attribuisce la causa all’incomprensione della domanda o a qualche altro accidente che gli ha impedito di capirla bene. Quando il bambino non capisce la domanda, la “colpa”, dal punto di vista didattico, non è sua. Che significato, quali “informazioni” utili mi potrà mai dare una prova non formulata partendo dal “vocabolario” e dalle “esperienze” pregresse del bambino?

Il tempo dei bambini

Determinante in negativo o in positivo è la variabile tempo. Qui i bambini lumaca, i bambini tartaruga possono anche essere dei filosofi, degli artisti, dei divergenti, non c’è scampo per loro. Saranno classificati male, pagheranno questa loro peculiarità ponendosi ai margini e alla base della piramide, facendo male loro e recando anche danno al gruppo classe che risentirà di questo loro “deficit” nel giudizio globale. La variabile tempo è frutto a sua volta di numerose variabili, soggettive/personali, e di percorso didattico svolto. I bambini a quell’età hanno tempi di reazione e risposta molto diversi e le maestre sanno bene che vanno rispettati, che i tempi vanno rispettati tutti. Nel corso degli anni e con l’esperienza didattica questi tempi cambieranno, ma non cambieranno certamente se non li si rispetta, non li si agevola mettendo in campo strategie anche personalizzate. Il tempo non è un dato oggettivo e naturale di partenza uguale per tutti, ma uno dei punti di arrivo cui mirerà l’azione didattica. I quiz “somministrati” ai bambini hanno il torto che lamentava Don Milani, quello di “far parti uguali tra disuguali”.

I test e la vita

I test preparano alla vita, dicono alcuni sostenitori. Alla vita, si può rispondere, prepara tutto ciò che si impara, capisce, motiva, coinvolge non solo cognitivamente, ma anche affettivamente, emotivamente. Alla vita prepara tutto ciò che ha senso, il dare senso, non i giochini mentali, i video-war-game senza consolle tecnologica che sono fatti passare come test di intelligenza.  Conosco tanti campioni di videogame e di enigmi che non se la passano molto bene nella vita.

Per fare bene bisogna esercitarsi

Se vale il principio che è pedagogicamente e didatticamente sbagliato proporre prove su cui i bambini non abbiano avuto modo di esercitarsi, principio riconosciuto dalla legislazione scolastica in merito, per es., alla terza prova agli esami di Stato per sostenere la quale la scuola deve dimostrare che gli alunni si sono esercitati diverse volte su questa tipologia di prova, appare non solo legittimo, ma doveroso addestrare i bambini a svolgere i test invalsi. Il teaching to test, che è classificato come malattia grave dell’insegnamento/apprendimento e dell’educazione/formazione, non solo è un rischio che si corre, ma è una necessità ineludibile visto il valore che si attribuisce ai test INVALSI circa la taumaturgica azione valutativa che viene attribuita loro in merito a: 1) “preparazione”(Ajello) dei bambini; 2) preparazione dei docenti; 3) funzionamento della scuola.

I trucchi

Dal punto di vista pedagogico nel bambino si deve affermare l’idea che il questionario è un contenitore di trucchi con i quali si cerca di prenderlo in giro e farlo sbagliare, facendogli fare la figura dello scemo. A lui il compito di farsi furbo e prendere in giro coloro che hanno cercato per primi di prenderlo in giro. Ogni domanda che gli viene posta contiene un trucco, qualcosa che cerca di ingannarlo, pertanto gli viene richiesto un assoluto sospetto, diffidenza verso tutto, anche verso cose che sembrano giuste. Ecco l’insegnamento. Diffidenza verso tutto e tutti, anche verso se stesso, verso ciò che vede, ciò che sembra ma che potrebbe non essere come sembra. Non solo. Deve imparare che esiste una ed una sola risposta giusta, tutte le altre possibili sono sbagliate. Bell’addestramento al pensiero assoluto, quando invece nella realtà c’è il vero, il verosimile, il diversamente vero, non solo. Nella realtà le strade per arrivare al “vero” sono molteplici e varie. Tanti “vero” e tanti “modi” per arrivare al vero, non solo quelli degli estensori del quiz in base al quale poi io sono classificato scemo o intelligente, preparato o impreparato, competente o incompetente. E ancor peggio, con me viene classificata tale anche la mia maestra, poverina, che non c’entra niente, anzi ha il merito di insegnarmi tante cose utili e interessanti che quanto meno non mi fanno sentire scemo e/o asino.

Questione di logica?

Dicono che i test invalsi accertano le capacità logiche dei bambini; il problema, però, è che i test li elaborano gli adulti basandosi su un atto di presunzione. Essi presumono la certezza della loro conoscenza delle capacità logiche dei bambini, o comunque quelle che dovrebbero essere tali secondo la loro rappresentazione della logica. Formulano items per rilevare quanto i bambini sono capaci di capire e conformarsi al loro modello di logica con un processo di convergenza.
Fin dove coincide la logica dei bambini con la logica degli adulti? Fin dove coincidono la capacità astrattiva e deduttiva dei bambini con quella degli adulti? Qualcuno può dare una risposta certa e scientificamente credibile a queste domande? A 7 o anche a 10/11 anni il bambino ha già maturato il pensiero logico-deduttivo astratto, o la “capacità figurativa”, come preferiscono alcuni?

Non si considera che le vie della logica, come quelle del Signore, sono infinite.