INVALSI valuta, misura, o che?

INVALSI valuta, misura, o che?

di Cosimo De Nitto

Leggendo sul Corriere della Sera l’intervista del 30 aprile alla Presidente dell’INVALSI “Test Invalsi e Sistema divalutazione, Ajello: «Così miglioreremo la scuola»” ho commentato così in prima battuta su FB, chiosando una sua frase:«Quando sono informati sul livello di preparazione dei propri allievi e i punti di criticità, gli operatori della singola scuola potranno progettare interventi didattici mirati».(Il “quando” sta per in seguito alle prove INVALSI).Ho così pensato, traducendo: nelle scuole italiane ci sono 850.000 imbecilli di insegnanti che non hanno mai valutato in vita loro, non sanno valutare i propri allievi, sono contrari alla valutazione, non “sono informati (informati???) sul livello di preparazione” dei propri studenti. Siccome stanno con le mani in mano e non sanno che fare, aspettano tutto l’anno scolastico le prove invalsi per capire e “progettare interventi didattici mirati”.Quando finirà la propaganda? Se si affida ad un test-questionario-quiz che dir si voglia il compito taumaturgico di valutare gli apprendimenti dei singoli allievi siamo messi molto male. Davvero bisogna tornare ai fondamentali di ciò che significa valutare gli apprendimenti, e non solo, perché gli apprendimenti non sono un’isola più o meno felice, o addirittura l’isola che non c’è.Mi è stato obiettato da parte di chi non ha gradito questa chiosa: “L’Invalsi ci fornisce, che piaccia o meno, i risultati di quella che è una misurazione delle performance dei nostri allievi”, “per perseguire un percorso di qualità serve avere alcuni indicatori, come i segnali del cruscotto dell’automobile, che ci dicono quando il carburante finisce, o quando le luci si guastano…o altro.”, il test invalsi è utile e necessario in quanto consente di “Sapere che i nostri allievi hanno raggiunto risultati migliori o peggiori rispetto ad altre scuole”.Queste obiezioni mi hanno dato l’occasione di precisare e approfondire un po’, chiarendo che:1) il mio commento, ancorché caustico e breve, era riferito alle parole testuali dell’intervista da parte della Presidente INVALSI. Le parole non sono mai dette a vanvera, si spera. Da quelle parole, dalla loro testualità emerge quella considerazione che avevo espresso, dal mio punto di vista ovviamente, nel post.I test invalsi “informano sul livello di preparazione dei propri allievi” è l’assunto principale. Mi ero limitato ad osservare che se un insegnante il quale lavora con gli alunni tutti i giorni, interagisce con essi, ha la possibilità (e il dovere) di osservarli nelle performance (al plurale non al singolare), li valuta tutti i giorni, deve aspettare la performance (al singolare non al plurale) del test invalsi, per scoprire o addirittura capire cosa non va in loro, allora vuol dire che siamo messi molto male, che la scuola italiana può chiudere i battenti e lasciare gentilmente il campo a tanti somministratori e/o misuratori-valutatori di test (paradosso). Nell’azione dell'”informare” c’è chi informa perché ha la conoscenza, e c’è chi è informato, perché la conoscenza non ha. Nel nostro caso i docenti non avrebbero questa conoscenza. Io mi limito a mettere sullo stesso piano comparativo il “valore” (valutazione) della performance (al singolare non al plurale) del singolo test invalsi con tutte le performance (oggettive, soggettive, relazionali, comportamentali, situazionali, tutto al pluralissimo) che gli insegnanti si ritrovano nel proprio database come “informazioni” immagazzinate durante non uno, ma più anni di vita insieme ai propri allievi. Tutto qui. Se qualcuno mi viene a dire che dal punto di vista valutativo il test invalsi (al singolare è come un’istantanea direbbe Vertecchi) vale più di un film (anno e anni di osservazione e vita in comune con gli allievi con infinite e ripetute prove di ogni tipo) mi sia permesso di dissentire radicalmente, e anche di preoccuparmi un po’ dello stato mentale di costui, oppure dello stato mentale di quegli 850.000 insegnanti che si recano a scuola tutti i giorni e fanno il loro dovere nonostante tutto, e che io penso non siano “imbecilli” (etimologicamente deboli, infermi).2) Obiezioni. “L’Invalsi ci fornisce, che piaccia o meno, i risultati di quella che è una misurazione delle performance dei nostri allievi”. Questo pensiero non c’entra niente con quanto dichiarato dalla Presidente INVALSI (difesa d’ufficio?), anzi è profondamente diverso in quanto lei parla di “preparazione”. “Informare sul livello di preparazione dei propri allievi”(Ajello) è cosa molto diversa di “una misurazione delle performance dei nostri allievi” (in realtà è una e una sola la performance). Rilevare il “livello di preparazione” è un atto di valutazione formativa che investe il complesso degli apprendimenti e dei comportamenti apprenditivi, non il censimento di questa o quella singola conoscenza o capacità mentale che il singolo test può fornire, ammesso che possa riuscire in questa impresa in modo convincente e definitivo. Quanto alla “misurazione” mi limito a dire che è un’operazione molto discutibile e molto criticabile quando viene riferita a dati immateriali e qualitativi non a dati quantitativi. E comunque, quand’anche ci si voglia avventurare su questo impervio cammino “l’istantanea” non produce significati se non in relazione ai punti di partenza e di sviluppo progressivo.Circa la comparatività che consentirebbe il test invalsi in quanto valore di stimolo al miglioramento si può osservare:1) che una scuola, centinaia di docenti, dirigenti ed esperti a vario titolo che ruotano dentro e intorno alla scuola, genitori ecc. ecc. debbano aspettare il test invalsi per rendersi conto di ciò che va o non va nella “preparazione” degli allievi mi sembra alquanto triste e deprimente, ancorché poco credibile;2) che la “comparazione” debba essere fatta con altre scuole, altri territori, altre “utenze” scolastiche e socio-culturali, anche economiche, con altri docenti, strutture, risorse, diciamo pure altri dirigenti, mi pare cosa poco significativa. Che poi questa comparazione debba essere tarata su un test, a sua volta tarato su uno “standard” talmente “astratto” da valere “Dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno” mi trova assai perplesso e incredulo.Voglio concludere con una domanda: se, come pare vogliano far intendere i miei critici, il test ha solo un valore per così dire di “spia”, quindi di segnalazione, quindi di conoscenza ed avviso, perché metterlo come prova di “peso” valutativo negli esami finali di terza media? E perché vogliono anche metterlo negli esami di Stato delle superiori a partire dal 2014/’15? Boh?Se è così, e così è, per condividere e continuare la metafora delle spie e dei “segnali del cruscotto dell’automobile”, si può dire che ci troviamo davanti ad un caso più unico che raro, il caso in cui la “spia”(il test invalsi) sostituisce il motore (la valutazione).*Il link all’intervista – http://www.corriere.it/scuola/14_aprile_30/test-invalsi-sistema-valutazione-ajello-cosi-miglioreremo-scuola-2d0a3dba-d070-11e3-b822-86aab2feac59.shtml