L’esame di Stato… e la scadenza del 2015!

L’esame di Stato… e la scadenza del 2015!

 di Maurizio Tiriticco

 

Per gentile concessione della Editrice Tecnodid, pubblichiamo il saggio introduttivo al fascicolo speciale di “Notizie della Scuola”,  n. 20/21 del 15 giugno/16 luglio 2014, Napoli, € 10, totalmente dedicato alle prossime operazioni degli esami di Stato conclusivi del secondo ciclo di istruzione. Il fascicolo contiene il diario delle prove d’esame, curato da Dario Cillo, e tutte le disposizioni relative allo svolgimento delle operazioni.

 

In attesa del cambiamento

Com’è noto, la tornata degli esami di Stato del 2014 è l’ultima che si realizza sulla base della normativa di cui alla legge 425/97, al Regolamento attuativo, dpr 323/98 e alla legge 1/2007. In effetti, con il prossimo anno scolastico 2014/2015, va a regime l’ultimo anno del riordino avviato in tutte le scuole secondarie di secondo grado a partire dall’anno scolastico 2010/11 con i Regolamenti di cui ai dpr nn. 87, 88 e 89 relativi agli istituti professionali, agli istituti tecnici e ai licei.

Le Indicazioni nazionali per i licei, le Linee guida degli istituti tecnici e quelle degli istituti professionali indicano per la fine del quinto anno risultati terminali diversi rispetto a quelli noti, di cui ai programmi ministeriali precedenti al riordino del 2010. Va anche precisato che sia le Indicazioni nazionali che le Linee guida si ispirano a insegnamenti/apprendimenti finalizzati all’acquisizione di competenze: in effetti, una didattica per competenze è ormai vincente, e non solo perché “ce lo dice l’Europa” nei suoi recenti documenti ufficiali relativi all’istruzione generalista e alla formazione professionale, ma anche perché non c’è attività di insegnamento/apprendimento oggi che non sia finalizzata al “fare”, all’“uso” concreto delle conoscenze e delle abilità che si perseguono oggi in un qualsiasi percorso scolastico.

L’istruzione non è più un periodo particolare della vita di un essere umano, come era una volta, quando erano ben scanditi i tre tempi, quello della scuola, quello del lavoro e quello della vecchiaia e della pensione. Le cesure tradizionali sono ormai cadute: l’obbligo di istruzione si è innalzato in quasi tutti i Paesi fino ai 16, se non ai 18 anni di età; ma andare oltre l’obbligo è ormai… obbligatorio, in chiave di educazione permanente, e di apprendimento per tutta la vita. Il fatto è che i processi lavorativi sono soggetti a continui e repentini cambiamenti, indotti non solo dalle continue innovazioni che si hanno nei processi lavorativi, ma anche dalle innovazioni tecnologiche. E si tratta di cambiamenti che attenuano sempre il tradizionale divario tra lavorio intellettuali e lavori manuali. In effetti, giorno dopo giorno, profili professionali scompaiono e ne sorgono di nuovi, e lo stesso assetto organizzativo di una qualsiasi azienda è soggetto a continue trasformazioni. Il che, com’è noto provoca anche ricadute, e non sempre positive, sull’organizzazione del lavoro e sulla legislazione che lo garantisce e lo protegge. Il che dà anche luogo a quell’“apprendimento organizzativo”, per cui, come cresce e cambia un’azienda – in senso lato – così cresce, cambia e apprende costantemente chi di quell’azienda è attivo partecipe, qualunque sia il ruolo che riveste. Si tratta di un insieme di situazioni in continuo movimento che caratterizzano la cosiddetta “società della conoscenza” e impongono ai processi di istruzione generalista e non adeguamenti e cambiamenti continui.

Sotto questo profilo e con questo scenario in continua trasformazione, continuare a pensare a una scuola che miri soltanto ad erogare contenuti da apprendere è assolutamente scorretto. Pertanto, la scuola non può non tenere nel debito conto le trasformazioni in atto che le impongono finalità e contenuti di insegnamento/apprendimento sempre nuovi. Di qui la necessità di quel difficile passaggio dalla scuola delle conoscenze alla scuola delle competenze. Il che, comunque, non esclude che le attività di educazione, formazione e istruzione, finalizzate a far conseguire a ciascun soggetto il suo personale successo formativo – come si evince dal comma 2 dell’articolo 1 del Regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche (dpr 275/99 ) – non si prefiggano e non debbano perseguire obiettivi che sono loro propri e caratterizzanti. L’istruzione non è a servizio del mondo del lavoro; è a servizio della “persona umana”, in quanto è compito della Repubblica “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limiterebbero “di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini (Cost. art. 3). Ma l’autonomia dell’Educazione non significa la sua eventuale estraneità dalle esigenze sempre nuove e sempre diverse proposte ed imposte dal sociale, dalla ricerca e dal mondo del lavoro.

 

Le innovazioni… tra il dire e il fare

In una direzione innovativa si muovono recenti provvedimenti, anche se la loro traduzione pratica non ha avuto ancora gli esiti sperati e attesi, in assenza della strumentazione attuativa. Si tratta di due dispositivi, una legge e un decreto legislativo, rispettivamente del 2007 e del 2008.

Con la legge n. 1 dell’11 gennaio 2007 concernente “disposizioni in materia di esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore e delega al Governo in materia di raccordo tra la scuola e le università” viene introdotta un’assoluta novità per i giovani: il Governo è delegato ad adottare una serie di decreti legislativi finalizzati a:

– realizzare, nell’ultimo anno del corso di studi, percorsi di orientamento, da effettuarsi con il concorso delle Università e degli istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica;

– potenziare il raccordo tra la scuola e l’Uuniversità per sostenere la preparazione degli studenti rispetto al corso di laurea da loro prescelto;

– prevedere che una quota del punteggio degli esami di ammissione ai corsi universitari sia assegnata agli studenti che abbiano conseguito risultati di particolare valore nell’ultimo triennio e nell’esame di Stato;

– valorizzare la qualità dei risultati ottenuti dagli studenti ai fini dell’ammissione ai corsi di laurea anche con incentivi di natura economica.

Successivamente con il decreto legislativo n. 21 del 14 gennaio 2008 si dettano “norme per la definizione dei percorsi di orientamento all’istruzione universitaria e all’alta formazione artistica, musicale e coreutica, per il raccordo tra la scuola, le università e le istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, nonché per la valorizzazione della qualità dei risultati scolastici degli studenti ai fini dell’ammissione ai corsi di laurea universitari ad accesso programmato di cui all’art. 1 della legge 2 agosto 1999, n. 264, a norma dell’art. 2, comma 1, lettere a), b) e c) della legge 11 gennaio 2007, n. 1”.

Il provvedimento prevede l’attivazione di percorsi di orientamento per una scelta consapevole dei corsi di laurea universitari e la valorizzazione della qualità dei risultati scolastici degli studenti per l’ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato. I percorsi si inseriscono strutturalmente nell’ultimo anno di corso della scuola secondaria di secondo grado. Per l’accesso ai corsi universitari a numero programmato, nel punteggio massimo di 105 punti, 80 sono assegnati sulla base del risultato del test d’ingresso e 25 sono dati agli studenti che avranno conseguito risultati di eccellenza a scuola.

A tal fine contribuiscono:

a) la media complessiva, non inferiore a sette decimi, dei voti ottenuti negli scrutini finali di ciascuno degli ultimi tre anni di frequenza della scuola secondaria superiore;

b) la valutazione finale conseguita nell’esame di Stato dal 20% degli studenti con la votazione più alta attribuita dalle singole commissioni, che comunque non deve essere inferiore a 80/100;

c) la lode ottenuta nella valutazione finale dell’esame di Stato;

d) le votazioni, uguali o superiori agli otto decimi, conseguite negli scrutini finali di ciascuno degli ultimi tre anni in discipline, predefinite nel bando di accesso a corsi universitari, che abbiano diretta attinenza o siano comunque significative per il corso di laurea prescelto.

Il decreto ha previsto anche la realizzazione di appositi percorsi di orientamento affinché gli studenti arrivino preparati ai corsi di laurea che hanno scelto consolidando le proprie conoscenze in relazione alla preparazione richiesta per i diversi corsi di studio. Per questo i docenti della scuola secondaria superiore possono essere coinvolti nella predisposizione dei test di accesso all’università, mentre nelle scuole possono essere organizzati percorsi di orientamento con la partecipazione di professori universitari.

È possibile, inoltre, fare ricorso a specifiche convenzioni aperte alla partecipazione di associazioni, imprese, rappresentanze del mondo del lavoro e delle professioni che intendono fornire il loro apporto con proprie risorse tecniche, umane e finanziarie.

Per monitorare le attività svolte in attuazione del decreto e i risultati ottenuti nasce una Commissione nazionale con rappresentanza paritetica del Ministero della pubblica istruzione e del Ministero dell’università e della ricerca con una rappresentanza territoriale dei Comuni, delle Province e delle Regioni – che opera in raccordo con l’Istituto nazionale di valutazione del sistema dell’istruzione (Invalsi) e con l’Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur). Ulteriori informazioni sono reperibili nella cm 98/09 relativa alla definizione del programma nazionale di promozione delle eccellenze per l’anno scolastico 2009/10.

È da augurarsi che i provvedimenti sopra ricordati divengano operativi al più presto e che altri vengano adottati, in modo che la transizione tra il ciclo dell’istruzione e gli studi ulteriori, sia quelli universitari, quelli degli Istituti Tecnici Superiori, di recente istituzione (legge 69/1999 e dpcm 25 gennaio 2008) e i percorsi regionali di apprendistato del secondo e del terzo livello, venga resa più fluida e continua rispetto a quanto avviene oggi. In effetti, è proprio il concetto dell’apprendimento per tutta la vita che deve rendere la transizione tra percorsi di diverso livello più agevole e convinta rispetto a quanto avviene oggi.

 

Formare la persona, educare il cittadino, istruire il lavoratore

In tale scenario, è bene ricordare che i percorsi dell’istruzione non sono più finalizzati soltanto – come avveniva prima del varo dei provvedimenti sull’autonomia delle istituzioni scolastiche – a sollecitare negli alunni conoscenze e possesso di contenuti disciplinari, utili e necessari soprattutto ai fini dell’accesso al mondo del lavoro (il titolo di studio che definisce e caratterizza un determinato “lavoratore”), ma anche a formare “persone” in quanto tali e a educare “cittadini” nei loro rapporti con gli altri. Va ricordato che con il varo del dpr 275/99, attuativo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, abbiamo scritto: “L’autono­mia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento” (art. 1, comma 2).

Questo ampliamento delle finalità dell’istruzione lo ritroviamo anche nella definizione delle competenze di cittadinanza che devono essere raggiunte, acquisite e certificate alla fine dei percorsi dell’obbligo di istruzione decennale. Si tratta di competenze in grado di garantire anche l’apprendimento permanente, come indicato nelle Raccomandazioni del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 e del 23 aprile 2008; tali competenze sono state recepite dal nostro ordinamento scolastico e riportate nel certificato delle competenze di base acquisite nell’assolvimento dell’obbligo di istruzione (si veda il dm 9/10).

Le competenze di cittadinanza di fine obbligo sono otto e sono così aggregate.

Vi sono quelle relative alla costruzione del in quanto persona: imparare ad imparare; progettare.

Vi sono quelle relative alla costruzione del nei suoi rapporti con gli Altri: comunicare; collaborare e partecipare; agire in modo autonomo e responsabile.

Vi sono quelle relative alla costruzione del in rapporto con la Realtà naturale e sociale: risolvere problemi; individuare collegamenti e relazioni; acquisire e interpretare l’informazione.

Si tratta dei tre vettori che caratterizzano e sostanziano la persona e che ritroviamo nel citato dpr 275/99: la formazione della persona; l’educazione del cittadino; l’istruzione del futuro lavoratore.

Va infine considerato l’impegno che abbiamo assunto con il dpr 275/99 per garantire a ciascun alunno/cittadino il suo personale “successo formativo”. L’intenzione sociale, politica e culturale è chiara: in una società che si definisce della conoscenza e della competenza non ci si può permettere di escludere chicchessia. A ciascuno occorre garantire, pertanto, il suo personale e particolare successo formativo. Ciò in forza di processi di istruzione, formazione ed educazione che siano fortemente individualizzati, percorsi che però ancora non siamo riusciti ad attivare in modo pieno.

In effetti, alle intenzioni civili, elevate e generose, della fine del secolo scorso – avviate dalla coraggiosa e difficile impresa dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione dai 10 ai 14 anni di età (legge 1859/1962) – non sono corrisposte a tutt’oggi azioni conseguenti. Ancora l’evasione dell’obbligo è elevata, le bocciature numerose, la dispersione eccessiva.

Il progetto lanciato dall’Unione europea Education and Training Europa 2020 prevede che entro questa data gli abbandoni non superino il 10%. È una sfida che dobbiamo raccogliere e vincere. Anche perché, se è vero che occorre perseguire il merito e l’eccellenza, dobbiamo nel contempo perseguire l’inclusione di tutti per ciò che ciascuno è in grado di raggiungere e dare: si tratta del “nessuno escluso” di Don Milani!

 

“Ce lo chiede l’Europa”

E’ notorio quanta ironia racchiuda l’adagio molto diffuso “ce lo chiede l’Europa”. In effetti l’Europa non chiede nulla a nessuno! La questione è ben altra: che dal 1953 – il Trattato dell’Euratom – poi dal 1957 – la nascita della Comunità Economica Europea, per l’iniziativa di Italia, Francia Germania e BeNeLux – e poi ancora dal 1992 – nascita dell’Unione Europea, con grandi ambizioni politiche e istituzionali – fino ad oggi, quando l’Ue consta di ben 28 Paesi membri – tutti noi cittadini europei abbiamo assunto impegni reciproci! Quindi siamo noi stessi a “chiederci” che cosa occorra fare, giorno dopo giorno, perché l’Unione non sia solo un’espressione geografica, ma una realtà istituzionale, politica e civile, ed un mercato, anche, aperto e produttivo al nostro interno e competitivo con il resto del mondo. Certamente, il cammino non è facile, e oggi in effetti i problemi e gli interrogativi sono più numerosi e pesanti di quanto non si creda e si attenda. In effetti, siamo tutti noi, popoli e governi dell’Ue a interrogarci su cosa fare per compiere un processo che è ineluttabile e sul quale abbiamo riposto, e giustamente, tante aspettative. In realtà, in un mondo sempre più globalizzato, dove Usa, Russia e Cina costituiscono potenze sempre più presenti e per certi versi “aggressive” a fronte dei “piccoli” Stati nazionali della nostra vecchia Europa, per noi europei diventa sempre più doveroso sentirci e diventare autentici Cittadini Europei, con tanto di maiuscole!

In materia di Educazione, Formazione e Istruzione, l’Europa chiede a tutti noi impegni sempre più incisivi, se è vero che “l’economia dell’Unione europea basata sulla conoscenza può diventare la più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”, come in sede di Consiglio europeo ci siamo impegnati a fare a Lisbona nel lontano 2000. In effetti, si è trattato di un obiettivo che non abbiamo ancora raggiunto, ma che ci siamo ripromessi di raggiungere per il 2020.

E’ opportuno ricordare che, con la Strategia ET2020, adottata a conclusione del Consiglio europeo del 12 maggio 2009 in materia di Education and Training, ci siamo proposti cinque importanti obiettivi, da raggiungere, appunto, entro il 2020:

abbandoni – che siano inferiori al 10%;

competenze di base – i 15enni insufficienti in literacy, matematica e scienze debbono essere inferiori al 15%;

diplomati dell’istruzione superiore – che siano almeno il 40% tra i 30 e i 34 anni di età;

istruzione della prima infanzia – almeno il 95% dei bambini tra i 4 anni e l’età dell’istruzione primaria debbono partecipare all’istruzione per l’infanzia;

apprendimento permanente – almeno il 15% degli adulti devono partecipare ad attività di apprendimento.

Si tratta di obiettivi ambiziosi e che richiedono strategie e processi di insegnamento/apprendimento che, pur se diversificati – non si può pensare che 28 Paesi abbiano sistemi scolastici eguali – non possono non perseguire obiettivi largamente comuni e che siano scanditi lungo la progressiva acquisizione di conoscenze, abilità e competenze. Noi italiani siamo largamente indietro! Basti sottolineare un dato: nel nostro Paese gli abbandoni vanno attualmente ben oltre il 20%!

I sistemi scolastici dei Paesi avanzati del mondo ormai si propongono tutti di proporre ai processi dell’insegnare/apprendere obiettivi scanditi in termini di conoscenze, abilità e competenze, termini e concetti su cui occorre avere una precisa interpretazione e una conseguente condivisione.

L’Europa – se si può dir così! – dà in proposito le seguenti definizioni:

Conoscenze – insieme organizzato di dati e informazioni relative a oggetti, eventi, principi, teorie, tecniche, regole che il soggetto ap-prende, com-prende, archivia e utilizza in situazioni operative procedurali e problematiche.

Abilità – atti concreti singoli che il soggetto compie utilizzando date conoscenze; di fatto un’abilità è un segmento di competenza

Competenza – “la capacità dimostrata da un soggetto di utilizzare le conoscenze, le abilità e le attitudini (atteggiamenti) personali, sociali e/o metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale. Nel Quadro Europeo delle Qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia”.

In effetti, le conoscenze afferiscono al saper comprendere e saper ragionare; le abilità riguardano il fare, l’essere capaci di compiere azioni semplici, visive, auditive, olfattive, manuali, pedali, tra lori interrelate (utilizzare strumentazione di base, dalla penna al martelleo); le competenze implicano operazioni complesse a monte delle quali coesistono attivamente conoscenze e e abilità (si pensi a operazioni professionali, al giudice, al pianista, all’esperto informatico, all’insegnante, al medici di base, al chirurgo…).

In ordine a queste problematiche, che investono tutti i sistemi di educazione, formazione e istruzione, si vedano le citate due Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 e del 23 aprile 2008, relative rispettivamente a “competenze chiave per l’apprendimento permanente” e all’“istituzione di un Quadro Europeo delle Qualifiche, EQF (European Qualifications Framework)”. In particolare, l’EQF prevede otto livelli di uscita dai diversi sistemi scolastici, generalisti e professionalizzanti, da un livello minimo, fondato su conoscenze e abilità essenziali di base, ad uno massimo, fondato sulle alte specializzazioni universitarie. Sulla base di queste indicazioni, tutti i Paesi membri dell’Unione si sono mossi al fine di adeguare i propri sistemi scolastici, generalisti e professionalizzanti, alle conoscenze, abilità e competenze indicate dalle suddette Raccomandazioni. In particolare, ciascun Paese membro è tenuto a dichiarare a quale degli otto livelli europei corrisponda ciascuno dei titoli di studio o di qualifica professionale da esso rilasciati.

Per quanto riguarda il nostro Paese, si rinvia al documento sottoscritto lo scorso 20 dicembre 2012: “Presidenza del Consiglio dei Ministri, Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano: Accordo per la referenziazione del sistema italiano delle qualifiche al Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF – European Qualifications Framework), di cui alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008”.

Da tale documento si evincono i seguenti raccordi tra i gradi del nostro sistema di istruzione generalista e di formazione professionale e ciascuno degli otto livelli indicati dall’Europa:

1 licenza media;

2 certificazione obbligo di istruzione decennale;

3 qualifica professionale triennale regionale;

4 diploma di istruzione secondaria di secondo grado; diploma di qualifica professionale quadriennale regionale;

5 diploma di Istruzione Tecnica Superiore;

6 laurea triennale;

7 laurea magistrale e master di 1° livello;

8 dottorato e master di 2° livello.

Le indicazioni di cui al citato Accordo sono molto più dettagliate, per cui si rinvia, ai fini di una lettura più puntuale, al documento originale.

 

Le competenze in chiave europea

E’ opportuno vedere quali obiettivi indicano le Raccomandazioni europee in relazione ai livelli che in questa sede ci interessano maggiormente, cioè il livello uno, la licenza media, il due, la conclusione dell’obbligo di istruzione, e il livello quattro, relativo ai diplomi dell’istruzione di secondo grado. Eccoli:

livello 1 – Conoscenze generali di base; Abilità di base necessarie per svolgere mansioni e compiti semplici; Competenze – lavorare o studiare, sotto una supervisione diretta, in un contesto strutturato. Va rilevato che la voce “lavorare” non riguarda i nostri studenti quattordicenni in quanto nel nostro Paese l’accesso al lavoro è consentito soltanto dopo il compimento dei 15 anni di età: lavoro che si esercita o in situazioni di apprendistato o in situazioni di alternanza scuola lavoro;

livello 2 – Conoscenze pratiche di base in un ambito di lavoro e di studio; Abilità cognitive e pratiche di base necessarie per utilizzare le informazioni rilevanti, al fine di svolgere compiti e risolvere problemi di routine utilizzando regole e strumenti semplici; Competenze – lavorare o studiare, sotto una supervisione diretta, con una certa autonomia;

livello 4 – Conoscenze pratiche e teoriche in ampi contesti in un ambito di lavoro o di studio; Abilità’ – una gamma di abilità cognitive e pratiche necessarie per creare soluzioni a problemi specifici in un ambito di lavoro o di studio; Competenze – sapersi gestire autonomamente nel quadro di istruzioni in un contesto di lavoro o di studio, di solito prevedibili, ma soggette a cambiamento; sorvegliare il lavoro di routine di altri, assumendo una certa responsabilità per la valutazione e il miglioramento di attività lavorative e di studio.

Giova sottolineare che il livello 4 riguarda anche i diplomi di qualifica professionale quadriennale regionale. I diplomi di qualifica professionale triennale si attestano sul livello 3 europeo, così scandito: Conoscenze di fatti, principi, processi e concetti generali, in un ambito di lavoro o di studio; una gamma di Abilità cognitive e pratiche necessarie per svolgere compiti e risolvere problemi, selezionando e applicando metodi, strumenti, materiali e informazioni di base; Competenze – assumersi la responsabilità di compiti sul lavoro e nello studio; adattare il proprio comportamento alle circostanze per risolvere problemi.

Tutti i Paesi membri dell’Unione sono tenuti ad adattare le finalità e gli obiettivi dei diversi gradi dei loro sistemi di istruzione e di formazione a ciascuno degli 8 livelli, di cui all’EQF.

E’ opportuno, pertanto, sottolineare che, nella tornata di esame del 2015, le competenze da certificare al termine dei percorsi del secondo grado di istruzione dovranno tener conto di quanto indicato al quarto livello dell’EQF.

Spetterà al Miur dare alle istituzioni scolastiche autonome le indicazioni necessarie in tal senso. Comunque, spetterà ai singoli consigli delle ultime classi operare, in sede di progettazione educativa e didattica perché siano indicate le competenze sulle quali orientarsi, tenendo conto di quanto già descritto sia nelle Indicazioni nazionali per i licei che nelle Linee guida per gli istituti tecnici e in quelle per gli istituti professionali. Va sottolineato che tra le Indicazioni e le Linee guida corrono grandi differenze in ordine a quanto indicato e descritto circa le competenze terminali degli studi.

Per quanto riguarda i licei, è opportuno evidenziare quanto indicato nell’Allegato A del dpr 89/2010 relativo ai “risultati di apprendimento comuni a tutti i percorsi liceali”. Si tratta di un documento estremamente importante perché va oltre gli obiettivi relativi ai percorsi dei sei licei e alle relative discipline e insiste su alcune aree cognitive, operative e comportamentali, quindi relative a competenze di ampio spettro. Nel documento si riporta il testo integrale dell’articolo 2,comma 2 del regolamento che così recita: “I percorsi liceali forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi, ed acquisisca conoscenze, abilità e competenze coerenti con le capacità e le scelte personali e adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore, all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro”.

Si danno successivamente preziose indicazioni di carattere metodologico e si sottolineano alcuni aspetti, tra cui: una prospettiva sistemica per quanto riguarda lo studio delle discipline; l’approccio diretto ai testi letterari, filosofici, storici, scientifici; l’uso costante dei laboratori; la pratica dell’argomentazione del confronto; l’efficacia e la pertinenza nella esposizione orale e scritta; l’uso della strumentazione multimediale.

 

I risultati di apprendimento nei licei

Per quanto riguarda i risultati di apprendimento da raggiungere al termine degli studi liceali, si evidenzia l’importanza di alcune aree di cui gli studenti dovranno dimostrare una assoluta padronanza, aree che vanno oltre le pure conoscenze disciplinari. Le aree indicate sono cinque e diffusamente descritte. Le riportiamo integralmente dal citato Allegato A:

Area metodologica –Aver acquisito un metodo di studio autonomo e flessibile, che consenta di condurre ricerche e approfondimenti personali e di continuare in modo efficace i successivi studi superiori, naturale prosecuzione dei percorsi liceali, e di potersi aggiornare lungo l’intero arco della propria vita. – Essere consapevoli della diversità dei metodi utilizzati dai vari ambiti disciplinari ed essere in grado valutare i criteri di affidabilità dei risultati in essi raggiunti. – Saper compiere le necessarie interconnessioni tra i metodi e i contenuti delle singole discipline.

Area logico-argomentativa –Saper sostenere una propria tesi e saper ascoltare e valutare criticamente le argomentazioni altrui. – Acquisire l’abitudine a ragionare con rigore logico, ad identificare i problemi e a individuare possibili soluzioni. – Essere in grado di leggere e interpretare criticamente i contenuti delle diverse forme di comunicazione.

Area linguistica e comunicativa –Padroneggiare pienamente la lingua italiana e in particolare: – dominare la scrittura in tutti i suoi aspetti, da quelli elementari (ortografia e morfologia) a quelli più avanzati (sintassi complessa, precisione e ricchezza del lessico, anche letterario e specialistico), modulando tali competenze a seconda dei diversi contesti e scopi comunicativi; – saper leggere e comprendere testi complessi di diversa natura, cogliendo le implicazioni e le sfumature di significato proprie di ciascuno di essi, in rapporto con la tipologia e il relativo contesto storico e culturale; – curare l’esposizione orale e saperla adeguare ai diversi contesti. – Aver acquisito, in una lingua straniera moderna, strutture, modalità e competenze comunicative corrispondenti almeno al Livello B2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento. – Saper riconoscere i molteplici rapporti e stabilire raffronti tra la lingua italiana e altre lingue moderne e antiche. – Saper utilizzare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per studiare, fare ricerca, comunicare.

Area storco-umanistica – Conoscere i presupposti culturali e la natura delle istituzioni politiche, giuridiche, sociali ed economiche, con riferimento particolare all’Italia e all’Europa, e comprendere i diritti e i doveri che caratterizzano l’essere cittadini. – Conoscere, con riferimento agli avvenimenti, ai contesti geografici e ai personaggi più importanti, la storia d’Italia inserita nel contesto europeo e internazionale, dall’antichità sino ai giorni nostri. – Utilizzare metodi (prospettiva spaziale, relazioni uomo-ambiente, sintesi regionale), concetti (territorio, regione, localizzazione, scala, diffusione spaziale, mobilità, relazione, senso del luogo…) e strumenti (carte geografiche, sistemi informativi geografici, immagini, dati statistici, fonti soggettive) della geografia per la lettura dei processi storici e per l’analisi della società contemporanea. – Conoscere gli aspetti fondamentali della cultura e della tradizione letteraria, artistica, filosofica, religiosa italiana ed europea attraverso lo studio delle opere, degli autori e delle correnti di pensiero più significativi e acquisire gli strumenti necessari per confrontarli con altre tradizioni e culture. – Essere consapevoli del significato culturale del patrimonio archeologico, architettonico e artistico italiano, della sua importanza come fondamentale risorsa economica, della necessità di preservarlo attraverso gli strumenti della tutela e della conservazione. – Collocare il pensiero scientifico, la storia delle sue scoperte e lo sviluppo delle invenzioni tecnologiche nell’ambito più vasto della storia delle idee. – Saper fruire delle espressioni creative delle arti e dei mezzi espressivi, compresi lo spettacolo, la musica, le arti visive. – Conoscere gli elementi essenziali e distintivi della cultura e della civiltà dei Paesi di cui si studiano le lingue.

Area scientifica, matematica e tecnologica –Comprendere il linguaggio formale specifico della matematica, saper utilizzare le procedure tipiche del pensiero matematico, conoscere i contenuti fondamentali delle teorie che sono alla base della descrizione matematica della realtà. – Possedere i contenuti fondamentali delle scienze fisiche e delle scienze naturali (chimica, biologia, scienze della terra, astronomia), padroneggiandone le procedure e i metodi di indagine propri, anche per potersi orientare nel campo delle scienze applicate. – Essere in grado di utilizzare criticamente strumenti informatici e telematici nelle attività di studio e di approfondimento; comprendere la valenza metodologica dell’informatica nella formalizzazione e modellizzazione dei processi complessi e nell’individuazione di procedimenti risolutivi.

Si tratta di indicazioni che danno un chiaro segno su come i consigli di classe si debbano comportare in materia di progettazione educativa e didattica e di individuazione, definizione e descrizione delle conoscenze, abilità e competenze che gli studenti devono raggiungere e che le commissioni di esame devono accertare, valutare e debitamente certificare. In effetti, ai fini soprattutto del superamento della prima prova – padronanza della lingua italiana – della terza prova – padronanza pluridisciplinare, e del colloquio pluridisciplinare, per norma, occorrerà che per l’intero quinto anno, che, com’è noto, assume una sua specificità culturale e apprenditiva dopo i due bienni precedenti, si insista su quell’insieme di competenze, appunto, pluridisciplinari che caratterizzano il fine fondamentale di un percorso di istruzione secondaria superiore.

 

Le linee guida negli istituti tecnici e professionali

Mentre i percorsi liceali sono disciplinati da Indicazioni nazionali, gli istituti tecnici e professionali sono disciplinati da Linee guida. La differenza non è affatto di poco conto: si tratta di due impianti metodologici che presentano notevoli diversità. In primo luogo, va considerato che le prime sono state pubblicate nel medesimo anno; le seconde, invece, con tempi differiti.

Le Indicazioni nazionali, pubblicate nel medesimo anno con il dpr 89/2010 e il dm 211/2010, investono l’intero percorso quinquennale dei licei. Le linee guida, invece, sono state pubblicate in due tempi. Quelle relative agli istituti tecnici, pubblicate con il dpr 88 e la direttiva 57, ambedue del 2010, riguardano solo il primo biennio. Quelle relative al secondo biennio e al quinto anno sono state pubblicate due anni dopo con la direttiva 4/2012. Le Linee guida relative agli istituti professionali, pubblicate con il dpr 87 e la direttiva 65, ambedue del 2010 riguardano solo il primo biennio. Quelle relative al secondo biennio e al quinto anno sono state pubblicate due anni dopo con la direttiva 5/2012.

Perché le Linee guida del secondo biennio e del quinto anno degli istituti tecnici e professionali sono state pubblicate con due anni di ritardo? Le ragioni vanno ricercate nell’impianto metodologico dei percorsi. Mentre la terminalità dei licei è abbastanza sfumata – potremmo dire – rispetto alle competenze che gli studenti debbono raggiungere, quella degli istituti tecnici e professionali, invece, è perfettamente tarata. In realtà, con i licei non si conclude un percorso formativo, in quanto questi percorsi costituiscono da sempre la “premessa” agli ulteriori studi universitari. Gli istituti tecnici e professionali, invece, pur non precludendo la continuità universitaria, aprono direttamente al mondo del lavoro. Pertanto, va sottolineata la scelta metodologica effettuata per gli studi tecnici e professionali: quella, cioè, di condurre attività di insegnamento/apprendimento finalizzate a fare acquisire da parte degli studenti, e a far verificare e certificare da parte delle commissioni di esame, determinati risultati di apprendimento, puntualmente descritti come competenze. Va ulteriormente sottolineato che una competenza si raggiunge solo a condizione che il soggetto maturi e acquisisca, nel corso del processo di apprendimento, determinate conoscenze teoriche e determinate abilità pratiche.

A mo’ di esempio, riportiamo le competenze che uno studente è tenuto a raggiungere nella disciplina lingua e letteratura italiana al termine degli studi nel settore Servizi, Industria e Artigianato degli istituti professionali: a) individuare e utilizzare gli strumenti di comunicazione e di team working più appropriati per intervenire nei contesti organizzativi e professionali di riferimento; b) redigere relazioni tecniche e documentare le attività individuali e di gruppo relative a situazioni professionali; c) utilizzare e produrre strumenti di comunicazione visiva e multimediale anche con riferimento alle strategie espressive e agli strumenti tecnici della comunicazione in rete. A tal fine, occorre che lo studente abbia contestualmente acquisito date conoscenze e date abilità che sono puntualmente elencate nell’allegato alla direttiva. Il che nella convinzione che una buona preparazione letteraria costituisca anche e soprattutto una buona premessa per competenze spendibili in appartati produttivi che poco hanno a che fare con la letteratura in senso stretto. Va sottolineato che per ciascuna disciplina viene adottata una presentazione grafica a dolmen: i due piedritti paralleli costituisco l’interazione che corre tra le conoscenze e le abilità: l’architrave costituisce l’insieme conclusivo delle competenze che ne conseguono.

Va infine ricordato che le Linee guida relative al triennio degli istituti tecnici e professionali non si pongono come un prescrittivo e superato programma ministeriale, ma intendono invece costituire un sostegno all’autonomia delle istituzioni scolastiche, per un’adeguata definizione del piano dell’offerta formativa e una efficace organizzazione del curricolo. In quest’ottica, i contenuti curriculari espressi vanno intesi come una base di riferimento per la programmazione didattica di istituto, di classe e di insegnamento; esse vanno, pertanto, assunte come un punto di partenza che dovrà essere arricchito e migliorato nel tempo attraverso il coinvolgimento di tutti gli operatori interessati.

 

La scadenza del 2015

È in tale scenario che dobbiamo guardare ai nostri esami di Stato degli anni futuri. Se la prospettiva è quella di garantire a ciascun cittadino il suo personale “successo formativo”, dobbiamo anche giungere a un sottosistema di istruzione secondaria superiore e a un sottosistema di istruzione e formazione professionale regionale che unitariamente non escludano nessuno dal conseguimento di un diploma o di una qualifica.

Per quanto riguarda l’esame di Stato prossimo venturo – la scadenza è quella del 2015 – saranno necessarie almeno due operazioni preliminari: la prima è quella di rendere pienamente attiva e diffusa – e soprattutto credibile – la certificazione delle competenze di fine obbligo, funzionale a un proseguimento degli studi efficace e produttivo; la seconda è quella di giungere ad un esame di Stato che sia in grado di certificare le competenze in un ventaglio di opzioni che consentano a ciascuno il proseguimento degli studi o l’accesso al mondo del lavoro.

Una variabile da non trascurare è quella che riguarda i metodi attivi che, con l’esten­sione di una didattica laboratoriale, renderanno più fruibili e motivanti i processi di apprendimento. Il che implicherà anche ruoli e funzioni docenti e concreti comportamenti insegnanti diversi rispetto a quelli che attualmente sono ancora largamente generalizzati nelle nostre scuole secondarie: con tutto ciò che consegue in materia di formazione iniziale e continua degli insegnanti.

La sfida dovrà anche prevedere una progressiva attenuazione, se non una vera e propria liquidazione, dell’enciclopedismo che ancora caratterizza e sostanzia gli obiettivi e i contenuti di studio – di cui al “documento del 15 maggio” – che i candidati presentano ai nostri esami di Stato, a differenza di quanto avviene in altri Paesi. L’alleggerimento del numero delle discipline consentirebbe ai candidati di optare verso scelte mirate non solo in fatto di contenuti da apprendere, ma anche in merito a ciò che riguarda il loro futuro culturale e professionale. Occorre anche considerare che la maturazione effettiva dei giovani d’oggi avviene ancora prima dei 19 anni di età! E non è da escludere un’uscita dal sistema di istruzione secondaria ai 18 anni, come avviene in quasi tutti i Paesi ad alto sviluppo.

In conclusione, occorre giungere a un esame che non sia un ulteriore “ritocco” dell’impianto gentiliano, ma la costruzione di un insieme di nuovi traguardi in una società che intende garantire a ciascuno il suo personale e particolare successo, nell’istruzione, nell’edu-cazione, nella formazione! La sfida è aperta e gli anni futuri saranno veramente di grande interesse per il nostro “Sistema educativo di istruzione e formazione”.