Per una dirigenza vera

PER UNA DIRIGENZA VERA: ADESSO, O CHISSA’ QUANDO!

                                                             -Francesco G. Nuzzaci-

( Il presente contributo costituisce, mutuandone il titolo, per un verso una sintesi semplificata della prima parte di un più ampio lavoro, in corso di pubblicazione sulla rivista on line Scuola & Amministrazione.

Per altro verso esso anticipa ulteriori spunti, che saranno sviluppati in una seconda parte, per essere ivi parimenti pubblicata dopo l’emanazione del preannunciato, per il 13 giugno p.v., disegno di legge delega di riforma della dirigenza pubblica).

 

1-Ce lo riferiscono ancora impegnato a regolare il traffico attorno al suo carro di trionfatore alle elezioni europee, vieppiù intenso nelle ultime ore per le lunghe file di questuanti, che pure – e neanche tanto velatamente – avevano sperato in un suo flop. Ma aggiungono anche che subito dopo il nostro presidente del Consiglio, unitamente al suo giovane e volitivo ministro per la Pubblica Amministrazione, on. Marianna Madia, riprenderà a lavorare di buona lena sul suo progetto delle già pubblicizzate linee guida di riforma della pubblica amministrazione, nel cui alveo si procederà a un radicale riassetto di tutta la dirigenza pubblica, non appena saranno scaduti i termini – oggi, 30 maggio – di acquisizione di proposte da parte dei circa tre milioni di dipendenti pubblici e delle parti sociali che li rappresentano.

Siamo quindi giusto in tempo a fargli pervenire, all’indirizzo di posta elettronica rivoluzione@governo.it , le riflessioni di un anonimo dirigente scolastico che, quasi al termine della su carriera – carriera per modo di dire – vorrebbe semplicemente chiedergli di diventare – e come tale essere trattato – un dirigente né specialespecifico, ma un dirigente normale, un dirigente privo di aggettivazioni. Così come è da supporsi – oppure no? – lo chiedano i molto più giovani colleghi, brillanti vincitori dei più selettivi concorsi che si conoscano per l’accesso alla dirigenza pubblica, che pensavano di essersi, meritatamente, appuntata sul petto una medaglia di metallo pregiato, che poi si è rivelata essere una misera patacca.

Il piatto, invero, è forte: ripristino del ruolo unico della c.d. dirigenza manageriale( infra), ben distinta dai professional (oggi attributari di mere posizioni dirigenziali e/o, semplicemente, dirigenti quoad pecuniam, siccome intestatari di funzioni svolte in passato, con efficienza, da figure specializzate); abolizione della distinzione tra prima e seconda fascia; intercambiabilità e rotazione degli incarichi in ragione delle competenze culturali e professionali di ogni dirigente e in esito a una rigorosa valutazione degli obiettivi assegnati e delle capacità organizzative-gestionali dimostrate, tal che ogni dirigente pubblico sarà remunerato per i carichi quali-quantitativi di lavoro e correlate responsabilità, ovvero per quello che fa e non per dove lo fa! (dalle Linee programmatiche del ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, illustrate nelle apposite commissioni parlamentari di Camera e Senato).

Si tratta ora, per la dirigenza scolastica, di cogliere la chance e rendersi visibile; se guadagnerà – in fretta e senza impantanarsi in capziosi distinguo – la duplice consapevolezza di voler finalmente essere una dirigenza vera, e di dover agire in proprio, dismettendo ogni illusione di poter contare su gratuite benevolenze altrui, ovvero di continuare ad affidarsi totalmente ad ipotetiche felici congiunzioni astrali.

2- Volutamente tralasciando ogni riferimento a ordini del giorno votati dal Parlamento e alle immancabili dichiarazioni a verbale in calce agli ultimi tre contratti, gli uni e le altre prive di seguito, un immediato e prezioso supporto alla predetta consapevolezza è offerto da una fonte terza ed autorevole: la Corte dei conti della regione Sicilia, che con delibera del 4 marzo u.s., negando il visto a una serie di contratti trasmessi dal locale USR, ha irrefragabilmente statuito che i dirigenti scolastici, in quanto dirigenti pubblici unitariamente disciplinati dal decreto legislativo 165/01, non possono essere trattati – e maltrattati – come figli di un dio minore. Pertanto ha fissato dei basilari principi, che non sopportano eccezione alcuna:

a)     Anzitutto, i dirigenti preposti alla conduzione di istituzioni scolastiche funzionalmente autonome, per dettato costituzionale, hanno pieno diritto di vedersi assegnare dall’Amministrazione obiettivi specifici, e non generici, unitamente alle risorse per poterli perseguire, alla cui obbligata e se positiva valutazione annuale corrisponda una puntuale e non simbolica retribuzione di risultato, non rinunciabile perché costituente elemento essenziale del contratto.

b)     Non hanno nessun pregio le difficoltà allegate dall’Amministrazione: in ordine alle carenze quantitative del suo personale, all’epoca assorbito dalla – fallimentare – gestione di due procedure concorsuali per l’accesso alla dirigenza scolastica; alla mancanza di un dispositivo di valutazione standard nazionale; al riveniente obbligato appiattimento nella definizione degli obiettivi, con la conseguenza che era stata, per tutti i dirigenti, puramente e semplicemente fotocopiata la generale-generica declaratoria figurante nell’articolo 25 del d.lgs. 165/01, che però, come perspicuamente ha fatto notare la Corte, delinea il perimetro dell’oggetto dell’incarico annuale anziché gli obiettivi da perseguire; alla numerosità della platea coinvolta – ottocento soggetti – e tale da non consentire una personalizzazione degli obiettivi.

c)     Non sono, di conseguenza, più giustificabili comportamenti elusivi dell’Amministrazione, perduranti dalla nascita della dirigenza scolastica nell’ordinamento giuridico, or sono circa tre lustri, e addirittura sollecitata dai conniventi soggetti istituzionali, che pure la dirigenza scolastica dicono di rappresentare, nell’escogitare infiniti,quanto cervellotici e defatiganti, protocolli di valutazione sperimentali, che si rincorrono e si sovrappongono senza mai guadagnare un punto di arresto: SIVADIS 1, SIVADIS 2, SIVADIS 3 e, in sigla, GPSS, composto da 21 pagine di tabelle, articolate in 5 macroaree e sviluppanti ben 229 indicatori, integrati e comprovati da un’eterogenea montagna di carte.

Trattasi di dispositivi tutti puntualmente naufragati, perché costruiti per farli scientemente fallire, allo scopo di non consentire la valutazione della dirigenza scolastica: non tanto e non solo – crediamo – per non corrisponderle una, seria, retribuzione di risultato, ma per rimarcare il suo essere una dirigenza sui generis, cioè una dirigenza farlocca. Perché – giova ribadirlo – senza l’elemento consustanziale, perciò indefettibile, della valutazione non vi è dirigenza!

Del pari incongrua è l’ennesima replica, con l’inserimento di un apposito capitolo,all’interno della valutazione di sistema commessa al neo istituito Sistema Nazionale di Valutazione (d.p.r. 80/13), della valutazione dei soli e speciali dirigenti scolastici, mentre per la valutazione degli altri soggetti professionali che operano nel sistema tutto è ancora di là da venire.

Per contro, si dovrebbe essere ben avvertiti che un conto è valutare l’efficienza e l’efficacia del sistema educativo di istruzione e formazione ai fini del miglioramento della qualità dell’offerta e degli apprendimenti, altro conto è la valutazione dirigenziale. Perché la prima è preordinata, con un sapiente mix tra valutazione interna o autovalutazione (qui assumiamo, per comodità, i due termini come sinonimi) e valutazione esterna da parte di soggetti terzi (ma l’INVALSI è, propriamente, un soggetto terzo?), all’emersione dei punti di forza e di criticità della struttura organizzativa, onde apprestare conseguenti e coerenti interventi atti a consolidare gli uni e migliorare gli altri, di modo che ogni istituzione scolastica possa erogare una prestazione di qualità generalizzata ed inclusiva.

Invece, la seconda è finalizzata – con l’impiego di una strumentazione apposita – a valutare la singola prestazione professionale, nella sua performance individuale e nell’apporto recato alla struttura organizzativa.

Certamente possono e devono integrarsi, ma restano – devono restare – distinte, concettualmente e per i diversi esiti cui mettono capo: interventi promozionali-supportivi-equitativi, ovvero premiali-sanzionatori (in positivo differenziata retribuzione di risultato, in negativo ed extrema ratio la risoluzione del rapporto di lavoro).

Abortirà anch’esso, ma intanto – nelle intenzioni dell’allora legislatore e dei suoi sponsor – si sarebbero guadagnati altri tre anni di tempo. Sicché, se non sarà intervenuto San Matteo – ma dev’essere aiutato dai diretti interessati e da chi dice di rappresentarli – ancora e sempre la dirigenza scolastica resterà una dirigenza perennemente sospesa, cioè una non dirigenza, per la gioia di coloro che ne cantano la sua ineffabile specificità.

Timeo danaos et dona ferentes. Se gli ingenui – o coscienti autolesionisti? – colleghi imparassero a diffidare di luccicanti, o all’apparenza maestosi, doni generosamente loro elargiti, non dovrebbero scontare soverchie difficoltà ad accettare – anzi, a pretendere – che anche per loro dovrebbe valere la regola che impone per tutti i dirigenti pubblici – inclusi i 130.000 dirigenti medici e sanitari: dicesi centotrentamila, a fronte di 8.000 dirigenti scolastici! – la definizione di obiettivi veri, senza inutili e devianti aggettivazioni; cioè obiettivi essenziali, ben scanditi, facilmente riscontrabili con inerenti indicatori quali-quantitativi, quindi operazionalizzati, che naturalmente devono essere tarati sulle peculiarità del contesto istituzionale in cui è svolta la funzione dirigenziale, infine correlati alle risorse – umane, finanziarie e strumentali – per poterli perseguire e su ciò essere valutati.

Ed è sempre la Corte dei conti che indica un plausibile percorso, respingendo le argomentazioni difensive dell’Amministrazione, allegante l’impossibilità di definire per le ottocento istituzioni scolastiche della Siciliaobiettivi adattati alle necessità di ciascuna, in quanto le difficoltà operative non consentirebbero un’ individuazione di obiettivi operativi effettuata in modo equanime, propedeutica ad un’altrettanto equa valutazione dei risultati conseguiti.

Ad avviso del Collegio, infatti, l’Amministrazione può adoperarsi per tempo elaborando una mappatura degli obiettivi delle varie istituzioni scolastiche, analizzate e classificate per fasce di complessità secondo le esigenze di ciascuna, sulla scorta di indicatori e variabili (numero degli alunni, territori a rischio, ubicazione disagiata, popolazione scolastica multietnica…) in grado di individuare un sistema di pesatura degli incarichi equanime, quantomeno a livello regionale: dimodoché, all’atto del conferimento dell’incarico, quest’ultimo risulti assistito da una contestuale definizione di obiettivi concreti, che in ogni caso potranno essere meglio specificati e/o variati nel corso del triennio d’incarico dirigenziale, in relazione alle esigenze emergenti dal Piano dell’offerta formativa di ciascuna istituzione.

Il Collegio ritiene, infatti, che la funzione di guida dei processi di miglioramento dell’efficienza e dei contenuti dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche non possa prescindere dalla visione unitaria e propulsiva che istituzionalmente compete all’Amministrazione stessa, che non può abdicare a tale compito per affidarlo agli stessi soggetti di cui dovrà essere misurata e valutata la capacità di apportare alle istituzioni scolastiche efficienza, innovazione, crescita culturale.

3- Le impeccabili argomentazioni del giudice contabile isolano, testé rassegnate, rinforzano e rendono ancor più esplicite le conseguenze di precedenti, significative, pronunce della Corte dei conti nazionale-Sezioni riunite di controllo, nelle adunanze del 7 aprile 2006 e del 14 luglio 2010, rispettivamente per la certificazione del CCNL 2002-2005 e del CCNL 2006-2009, susseguenti al primo contratto d’ingresso nella neonata dirigenza scolastica degli ex capi d’istituto e limitato al, parziale, biennio 2000-2001.

Nella prima delle due adunanze la Corte, richiamando e condividendo il parere del Consiglio di Stato (CdS, Comm. Spec. P.I., n. 529 del 16.10.03), ha affermato che l’apertura di questo corpo di dirigenti (scolastici) alla dirigenza statale trova riscontro, infatti, nella collocazione delle disposizioni del d.lgs. 165 del 2001 che ad essi si riferiscono, nel contesto proprio della dirigenza statale ed, in termini impliciti, negli articoli 1, comma 2 e 13 dello stesso decreto legislativo.

A comprova di questa dirigenzialità piena – e, aggiungiamo, ben superiore a quella riferibile a soggetti di pari seconda fascia, operanti in altri settori della P.A. – è, in prosieguo, evidenziata la non ancora compiuta configurazione dirigenziale dei già presidi e direttori didattici, ora chiamati a comporre, nella propria figura professionale, le prestazioni di contenuto prettamente manageriale richieste dalla gestione finanziaria, amministrativa e contabile degli istituti scolastici, con le funzioni di guida e di coordinamento del servizio didattico, da esprimersi, in particolare, nella formulazione e nell’attuazione del piano dell’offerta formativa. Tale esigenza si pone oggi con ancor più forte insistenza in ragione dell’evoluzione degli assetti organizzativi del sistema scolastico, innescata dalle innovazioni introdotte nell’ordinamento amministrativo e costituzionale nel corso dell’ultimo decennio che legano, molto di più che in passato, la scuola al contesto territoriale in cui opera, richiedendo a suoi dirigenti una diretta interazione con le autonomie territoriali.

Ne riviene, de plano, che la rilevanza delle nuove funzioni dirigenziali attribuite ai dirigenti scolastici richiede il riconoscimento di una retribuzione accessoria adeguata alla complessità dei compiti affidati ed, in ogni caso, non inferiore, come invece risulta attualmente, alla misura riconosciuta alle qualifiche dirigenziali statali appartenenti ad altre aree di contrattazione.

Sicché, quantomeno, sussiste un’aspettativa, giuridicamente fondata, di tendenziale equiparazione al trattamentogiuridico ed economicoriconosciuto agli altri dirigenti statali e pubblici.

Concretamente, dopo essere stata equiparata la retribuzione tabellare, l’entità della retribuzione di posizione, a tutt’oggi fortemente sperequata, sia di parte fissa che di parte variabile, va rapportata alle responsabilità e ai carichi di lavoro propri dei diversi posti di funzione, così come i risultati raggiunti devono trovare riscontro nella retribuzione di risultato…, correlata alle funzioni attribuite e alle connesse responsabilità.

Nella seconda delle due adunanze, per la certificazione del successivo CCNL 2006-2009, tuttora vigente in regime di indeterminata prorogatio, la Corte è sembrata dimostrarsi consapevole del fatto che la predetta equiparazione, ora derubricata a tendenziale, avrebbe dovuto scontare l’oggettivo limite delle risorse disponibili, avendo già dato piena avvisaglia la bolla speculativa finanziaria d’oltreoceano che poi ha messo, e tiene, in ginocchio l’economia europea, dispiegando effetti ancor più devastanti in un Paese, il nostro, gravato da un enorme debito pubblico, per tre quarti esterno, frutto dell’allegra finanza consociativa dei pregressi decenni e della incessante proliferazione delle corporazioni.

E tuttavia, ancora una volta, è reiterato l’invito a procedere per il riallineamento delle retribuzioni del personale dell’area V con quelle del restante personale dirigenziale e ad incrementare la parte della retribuzione variabile (di posizione e di risultato) destinata a retribuire il risultato della prestazione sulla base dell’effettivo conseguimento degli obiettivi e delle capacità e competenze organizzative dimostrate nella gestione degli obiettivi concordati: ciò che implica la celere predisposizione di un dispositivo di valutazione idoneo ad apprezzare le une e gli altri; perché non è oltremodo giustificabile la permanenza di uno iato con gli altri dirigenti pubblici, la cui retribuzione di posizione risulta nettamente più alta rispetto a quelli dell’Area V, a dispetto della sproporzione quali-quantitativa dei carichi di lavoro e delle connesse responsabilità, incomparabilmente più gravosi per i dirigenti scolastici rispetto ai colleghi di pari qualifica del comparto ministeri.

4-Su Il Messaggero del 28 maggio, in un articolo che fa il punto sulla riforma Renzi-Madia della dirigenza pubblica, è stata data notizia che ci sarà una perequazione delle retribuzioni nell’ambito del ruolo unico, per tutte quelle dirigenze – c.d. dirigenze manageriali – che gestiscono risorse umane e finanziarie.

Risultando altresì abolita la distinzione dei ruoli tra prima e seconda fascia, dovrebbero unificarsi le voci retributive ordinarie (tabellare più parte fissa) degli attuali capidipartimento, direttori generali, dirigenti normali di seconda fascia e dirigenti scolastici specifici, atteso che si passa da una dirigenza sostanzialmente career based ad una dirigenza position based.

Ciò dovrebbe significare che – ferme restando le voci fisse, uguali per tutta la dirigenza pubblica – le differenze retributive, afferenti alla sola parte variabile, dipenderanno dalla tipologia degli incarichi affidati e dalla loro intrinseca complessità ed inerenti responsabilità.

E proprio con riguardo a tale intrinseca complessità ed inerenti responsabilità, la circostanza ci appare ora propizia – dopo avere per anni abbaiato alla luna – per riprendere un nostro risalente intervento, licenziato alla vigilia dell’emanazione della legge delega 150/09 (c.d. riforma Brunetta, citata), che ancora si legge cliccando su Google (Nuzzaci, Per un ricorso al giudice del lavoro…).

E’ noto che Il nucleo fondamentale della dirigenza nelle istituzioni scolastiche è l’articolo 25 del d.lgs. 165/01, poi sviluppato in successive ed eterogenee disposizioni normative che, condotte a sistema, delineano la figura – e la funzione – del dirigente preposto alla conduzione di ogni istituzione scolastica e/o formativa:

a)     è organo di vertice, con rappresentanza legale e rilevanza esterna di un’amministrazione pubblica, la singola istituzione scolastica siccome dotata di autonoma soggettività giuridica, quindi distinta benché non separata (e non contrapposta) dallo Stato-amministrazione (nello specifico, il MIUR), a tenore dell’art. 1, comma 2, d.lgs. 165/01 (cfr. altresì l’art. 14, comma 7-bis, d.p.r. 275/99);

b)     nei limiti dell’autonomia funzionale dell’istituzione scolastica e nel rispetto dei vincoli di sistema (del Sistema pubblico nazionale di istruzione e formazione) per il doveroso (non già libero) perseguimento del comune scopo istituzionale (istruire, educare e formare), il dirigente di un’istituzione scolastica non soggiace ad alcun rapporto di gerarchia in senso stretto (cfr. art. 14, comma 7, d.p.r. 275/99, cit.,circa la regola della definitività delle sue determinazioni), né al generale principio – codificato nell’art. 4 del d.lgs. 165/01 per tutta la dirigenza ministeriale, compresa quella di prima fascia – che vuole istituzionalmente separate le funzioni di indirizzo politico e amministrativo dalle funzioni di gestione. Benché le prime siano formalmente intestate – per quanto di rispettiva competenza – agli organi collegiali, è pur vero che il dirigente delle istituzioni scolastiche vi incide nella sostanza in virtù del suo potere di proposta nel Consiglio d’istituto (artt. 8-10, d.lgs. 297/94) e, più ampiamente, di presidenza dei Consigli di classe (art. 5), del Collegio dei docenti (art. 7), del Comitato per la valutazione del servizio dei docenti (art. 11). Il che è a dire che egli, sia sotto il profilo strettamente giuridico che sul piano dell’effettività, è non solo organo di gestione, ma anche (e in più) organo di governo. Se ne ha testuale riscontro nell’art. 25, comma 6 del pluricitato d.lgs. 165/01, in cui è scritto che il dirigente scolastico presenta periodicamente al Consiglio di circolo o d’istituto – organo d’indirizzo politico per antonomasia, in quanto soggetto esponenziale della c.d. comunità scolastica, ex art.3, comma 1, d.lgs. 297/94 – motivata relazione sulla direzione e il coordinamento dell’attività formativa, organizzativa e amministrativa al – solo – fine di garantire la più ampia informazione e un efficace raccordo per l’esercizio delle competenze degli organi della istituzione scolastica; mentre è valutato, nell’ambito della responsabilità dirigenziale, dal direttore dell’Ufficio scolastico regionale, deputato altresì all’assegnazione di specifici obiettivi integranti quelli istituzionali, deducibili dalla norma generale, in sede di conferimento dell’incarico;

c)     è, naturalmente, responsabile della generale ed unitaria gestione delle risorse strumentali e finanziarie (in ciò avvalendosi del direttore dei servizi generali e amministrativi, assegnandogli gli obiettivi e impartendogli le relative direttive di massima, ex art. 25, comma 5, d.lgs. 165/01), e delle risorse umane, con l’obbligo di valorizzarle (ivi) e conseguenziale interfacciamento con non meno di sessanta-settanta soggetti professionali, ma che possono oggi tranquillamente raddoppiarsi dato che le nuove norme sul dimensionamento delle istituzioni scolastiche impongono una media di novecento alunni-studenti;

d)     deve attivare e coordinare i rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti nel territorio (art. 3, comma 4, d.p.r. 275/99), compresi famiglie e studenti: il che è a dire direttamente sovraesposto socialmente nei confronti di un’utenza, diretta ed indiretta, potenzialmente illimitata;

e)     esercita le funzioni già di competenza dell’Amministrazione centrale e periferica (ex Provveditorati agli studi) relative alla carriera scolastica e al rapporto con gli alunni-studenti, all’amministrazione e gestione del patrimonio e delle risorse, nonché allo stato giuridico ed economico del personale che non siano riservate, da specifiche e numerate disposizioni, all’Amministrazione centrale e periferica (ora Uffici scolastici regionali e dipendenti Ambiti territoriali), oltre alle attribuzioni già rientranti nella competenza delle istituzioni scolastiche nel loro assetto pre-autonomistico (art. 14, comma 1, d.p.r. 275/99): con gli inerenti provvedimenti dotati del carattere di definitività, escluse le specifiche disposizioni in materia di disciplina del personale e degli alunni-studenti (art. 14. Comma 7, d.p.r. 275/99, ante);

f)      è titolare delle attività negoziali sulla base di un autonomo bilancio e, di regola, senza altro vincolo di destinazione che quello prioritario per lo svolgimento di attività di istruzione, di formazione e di orientamento proprie dell’istituzione scolastica interessata, come previste e organizzate nel Piano dell’offerta formativa (art. 1, comma 2, d.i. 44/01);

g)     in forza della sua qualificazione, giuscivilistica e penalistica, di datore di lavoro, è – ancora – titolare delle relazioni sindacali (art. 5, comma 2, d.lgs. 165/01) ed, ampliamente, è assoggettato a tutte le norme di tutela dei lavoratori in materia di comportamento antisindacale, ex legge 300/70 (con afferente legittimazione processuale), di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (d. lgs. 81/08), di privacy (d.lgs. 196/03): con dirette e personali responsabilità penali e amministrative, trattandosi per lo più di norme sanzionatorie soggiacenti al principio della personalità, quand’anche depenalizzate alla stregua della legge 689/81 (deve, insomma, pagarsi in proprio un avvocato).

Crediamo, dunque, di avere a sufficienza dimostrato, implicitamente rigettando fantasiose elucubrazioni ed ancorandoci alla norma di diritto positivo, che quella agita nelle istituzioni scolastiche e formative – oggi autonomi soggetti giuridici a rilevanza costituzionale e non più meri organi periferici dell’Amministrazione ministeriale – è una dirigenza manageriale, una dirigenza vera, una dirigenza a tutto tondo; nel mentre la sua conclamata, e abusata, specificità si riduce alla sola valutazione dei risultati sulla base delle verifiche (mai)effettuate da un apposito nucleo istituito presso l’amministrazione scolastica regionale (art. 25, comma 1, d.lgs. 165/01).

Di sicuro, però, è una dirigenza complessa, incomparabilmente più complessa di quella esercitata dai dirigenti normali, le cui funzioni sono elencate nell’articolo 17 del d.lgs. 165/01 s.m.i., congiuntamente al d.p.r. 17/09, concernente il regolamento di organizzazione del MIUR, in particolare artt. 8 e 10.

Vi si legge che i dirigenti formulano proposte ed esprimono pareri al direttore generale, al quale sono gerarchicamente subordinati; attuano i singoli progetti e le inerenti gestioni ad essi assegnati, unitamente all’adozione dei relativi atti e provvedimenti amministrativi; svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati; coordinano e controllano l’attività dei dipendenti uffici (rectius: dei presìdi territoriali dell’unico organo-ufficio di livello dirigenziale generale, ovvero dei settori interni – potremmo qualificarli struttura semplice? – in cui lo stesso è organizzato), con poteri sostitutivi in caso di inerzia; provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri (meri) uffici.

Trattasi, come è ben evidente, di una dirigenza cui sono estranei tutti (o quasi) quei profili di complessità (e di responsabilità) propri della dirigenza delle istituzioni scolastiche: di una dirigenza non connotata dall’immedesimazione organica con un autonomo (e autoconsistente) organo-ufficio pubblico a rilevanza esterna, senza un proprio bilancio da gestire, datrice di lavoro – se datrice di lavoro – alquanto soft, priva di esposizione sociale, avvalentesi dell’opera di qualche decina di persone (e spesso molte di meno) per l’esercizio di competenze raramente autonome e/o precostituite ex lege bensì prevalentemente delegate e/o di supporto per la realizzazione di obiettivi e programmi circoscritti, ben scanditi, in definitiva semplici .

La dirigenza tecnica poi è addirittura priva di una struttura fisica da governare – e delle correlate risorse umane, strumentali e finanziarie da gestire – ,e l’esercizio della funzione è determinato con apposito atto d’indirizzo del ministro (art. 9,d.p.r. 17/09), essa esplicandosi in un contributo di promozione e nel coordinamento di attività di aggiornamento del personale della scuola, nelle proposte e nei pareri in tema di programmi d’insegnamento, di sussidi didattici e tecnologie di apprendimento, di iniziative di sperimentazione, di assistenza tecnica e consulenza alle istituzioni scolastiche (art. 397, comma 3, d.lgs. 297/94), ovvero – nella più sintetica formulazione dell’art. 19, comma 10, d.lgs. 165/01 – in attività ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi speciali previsti dall’ordinamento: laddove qui è decisamente problematico rintracciare i tipici contenuti, strutturali e funzionali, di qualsivoglia dirigenza. Tal che, nella sostanza è – essa sì – non dirigenza. Può dirsi, e l’abbiamo scritto, una dirigenza quoad pecuniam.

Eppure, questi dirigenti normali, insieme ai non dirigenti tecnici – sol perché semplicemente, e casualmente, inseriti nella generale e generica area della dirigenza ministeriale – lucrano , non solo e non tanto, una retribuzione media doppia rispetto ai cirenei colleghi specifici (retribuzioni reali di 110 mila euro annui lordi a fronte di retribuzioni, sempre reali, di 55.000 euro annui lordi: cliccare sui siti Trasparenza per credere!), ma godono di una mobilità in orizzontale e in verticale preclusa ai dirigenti scolastici, ancora e sempre imbutati nella loro specificità.

E’ un mistero possibile solo in un Paese capovolto, che fa a pugni con la logica, e a cui dovrebbero provare a fornire una risposta gli stessi diretti interessati ed ogni possibile interlocutore.

5-Occorreranno, è lapalissiano, le risorse finanziarie per la, moralmente doverosa e giuridicamente esigibile, annunciata perequazione. E le fonti sono già state indicate dal ministro Madia nei risparmi interni di sistema dell’abbozzata riforma, nel razionale e selettivo utilizzo degli attuali e frammentati fondi unici nazionali per le retribuzioni di posizione variabile e di risultato (oggi distribuiti a pioggia e/o in modo casuale e sperequato tra le vigenti separate otto aree dirigenziali), nella c.d. spending review in corso.

Dunque, sembrerebbe fatta. Ma dicevamo timeo danaos….Ovvero, attenzione ai Cavalli di Troia! Che possono prendere le sembianze delle ipotizzate eventuali articolazioni del ruolo unico della dirigenza pubblica per territorio e per specifici profili professionali.

E’ ben vero che il riferimento plausibile è all’attuale dirigenza medica e sanitaria, dipendente dalle regioni, e/o ad alcune figure dirigenziali manageriali ( quelle, lo si ricorda, che gestiscono risorse umane e finanziarie), inglobanti particolari competenze professionali: oltre ai menzionati medici non preposti alla direzione di struttura complessa (o anche di struttura semplice), ingegneri, biologi, psicologi, statistici, et alia,

Ma c’è da giurare che il tentativo di rieditare la – indimostrata e indimostrabile, perché giuridicamente inesistente – specificità della dirigenza scolastica per mantenerla reclusa nel proprio recinto protettivo sarà posto in essere (in una innaturale alleanza con gli arcigni tecnici del Tesoro e con la coalizione delle dirigenze forti) proprio da chi dice di rappresentarla e che, purtroppo, la rappresenta in punto di diritto, grazie al mirabile harakiri di colleghi, datori di lavoro, di rilasciare deleghe (talvolta doppie, o addirittura triple) ai sindacati generalisti della, incomparabilmente ben più consistente, controparte dei lavoratori; sindacati generalisti interessati a mantenere la dirigenza scolastica surrettiziamente astretta nel comparto scuola, per continuare ad eroderne i poteri a tutela dell’indistinta massa dei lavoratori della scuola, le centinaia di migliaia di docenti e di personale amministrativo-tecnico-ausiliario.

Nondimeno, occorre difendersi dai sindacati ex monocategoriali o professionali, oggi i relativamente più rappresentativi, siccome anch’essi interessati a preservare la quinta area della specifica dirigenza scolastica e quindi ad evitare che la loro ancora cospicua quota di rappresentanza venga diluita nella preannunciata unica e ben più vasta area della dirigenza statale, se non dell’intera dirigenza pubblica.

A suo tempo, all’indomani della c.d. riforma Brunetta, che restringeva a non più di quattro le aree dirigenziali – che ora dovrebbero, pour cause, assottigliarsi ulteriormente – , poi in fatto neutralizzata dal blocco dei contratti pubblici, i predetti sindacati avevano subito proposto le suggestive nuove denominazioni, quali dirigenti dell’area della conoscenza(sic!), ovvero dirigenti delle autonomie funzionali, beninteso in separate e autonome aree o sezioni speciali, impermeabili dall’esterno e dall’interno: insomma,una dirigenza a imbuto e con l’incondizionato plauso delle sue eteree associazioni professionali, da sempre impegnate a difenderne l’adamantina purezza perché sentita profondamente altra e teorizzata come forma differenziata dell’unicità della funzione di provenienza, quella docente, per continuare a baloccarsi con sempre più ridondanti codici deontologici, leadership educativa democratica e distribuita, professione emergente… e quant’altro veicolabile dal lussureggiante linguaggio socio-psico-pedagogico, declamato in assoluta libertà, a sostenere il perenne processo di elaborazione del lutto.

6-Sappiamo di averla tirata per le lunghe e, pertanto, dobbiamo concludere. E lo facciamo indirizzando ai colleghi liberi o che non si vogliano irrigimentati un monito e un avvertimento.

Il monito: siate risoluti e non abbiate paura di raccogliere la sfida!

L’avvertimento: guardatevi le spalle!