Sanzioni, regolamenti e cellulari

Sanzioni, regolamenti e cellulari: spesso più occasioni di conflitto che opportunità di condivisione

di Cinzia Olivieri

 

La corresponsabilità educativa

Sono sempre d’attualità le questioni relative alle sanzioni disciplinari ed alle modalità che deve adottare la scuola per comminarle, anche per evitare quelle occasioni di conflitto con le famiglie che spesso finiscono per occupare le pagine dei media.

Le modifiche apportate allo Statuto delle Studentesse e degli Studenti con il DPR n. 235/07 e la direttiva del marzo 2007 relativa all’uso dei cellulari e di altri dispositivi elettronici sono state ispirate dalla necessità di intervenire con maggiore incisività sui più gravi episodi di violenza e bullismo. Pertanto i loro contenuti sono analoghi e ribadiscono l’importanza che docenti e genitori vengano coinvolti in un’alleanza educativa che, nel sistema prefigurato, si esplica in particolare attraverso la redazione trasparente (e condivisa) del regolamento di disciplina e la sottoscrizione del “Patto” (art. 3 DPR 235/07).

Si afferma infatti contestualmente il principio della “corresponsabilità educativa” di scuola e famiglia. Compito della prima è “far acquisire non solo competenze, ma anche valori da trasmettere per formare cittadini” mentre l’autonomia scolastica dovrebbe costituire lo strumento per condividere con studenti, famiglie, territorio, il percorso per realizzare l’alleanza educativa e fare “cultura della legalità”. I genitori, ai quali la legge attribuisce  il dovere e diritto di mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30 Cost., artt. 147, 155, 317 bis c.c.)  si impegnano quindi a condividere con la scuola l’azione pedagogica.

 

Il procedimento disciplinare: la funzione delle sanzioni e i requisiti del regolamento

Le sanzioni hanno una funzione educativa e quindi sono dirette soprattutto a far comprendere agli studenti il disvalore sociale di atti che l’istituzione scolastica è chiamata in primo luogo a prevenire e non semplicemente a punire. Devono essere temporanee; ispirate a criteri di gradualità e di proporzionalità; per quanto possibile, finalizzate alla riparazione del danno e “poter tendere al recupero dello studente anche attraverso attività di natura sociale, culturale ed in generale a vantaggio della comunità scolastica tra le quali: volontariato, attività di segreteria e di ricerca; pulizia dei locali; piccole manutenzioni; riordino di cataloghi e di archivi; frequenza di corsi di formazione; produzione di elaborati che riflettano sugli episodi sanzionati.

Poiché il procedimento disciplinare è azione di natura amministrativa, vi si applicano i principi di imparzialità e trasparenza sanciti dalla Legge n. 241/90, assicurando “il diritto di difesa degli studenti e la snellezza e rapidità del procedimento,  all’esito del quale la sanzione disciplinare deve specificare in maniera chiara  le motivazioni che ne hanno reso necessaria l’irrogazione”. Per l’effetto, come chiarisce la nota esplicativa del 2008, i regolamenti devono individuare:

  1. le mancanze disciplinari;
  2. le sanzioni,  ispirate appunto ad una “finalità educativa e “costruttiva” e alla non interferenza tra sanzione disciplinare e valutazione del profitto;
  3. gli organi competenti a comminare le sanzioni;
  4. il procedimento, con particolare rilevanza alle fasi della contestazione di addebito, audizione, convocazione degli organi competenti, offerta di conversione;
  5. le procedure di elaborazione condivisa e sottoscrizione del Patto educativo di  corresponsabilità.

 

Le caratteristiche delle sanzioni

L’identificazione esatta dei comportamenti sanzionabili evita dubbi e possibili contestazioni, giacché l’azione biasimevole deve costituire la violazione di un preciso dovere e non basta che essa sia semplice fonte di fastidi o irritazioni se priva di quel disvalore che giustifichi l’applicazione di una conseguenza negativa.

La scuola dovrà quindi cercare di tipizzare con precisione quelle condotte individuate genericamente e/o a titolo esemplificativo dalle norme, alle quali il DPR n. 235/07 ricollega i provvedimenti disciplinari, classificati in: Sanzioni diverse dall’allontanamento temporaneo dalla comunità scolastica, non specificate neanche nella nota esplicativa del 2008 e quindi causa di maggiori incertezze e di più ampi margini di discrezionalità (pensiamo ad esempio alle più svariate note disciplinari che talvolta si leggono nei registri di classe); Sanzioni che comportano l’allontanamento temporaneo per un periodo  inferiore a 15 giorni, comminate dal Consiglio di Classe in composizione “allargata” e cioè con la presenza dei rappresentanti genitori e, nella secondaria di secondo grado, degli studenti; Sanzioni che comportano l’allontanamento temporaneo per un periodo  superiore a 15 giorni e/o fino al termine dell’anno scolastico e/o l’esclusione dello studente dallo scrutinio finale o la non ammissione all’esame di stato conclusivo del corso di studi, irrogate dal Consiglio di Istituto.

 

La conversione della sanzione. Confronto con lo Statuto di Bolzano

Il dpr 235 07 dispone che allo studente debba sempre essere offerta la possibilità di convertire la sanzione in attività in favore della comunità scolastica.

Sebbene tale previsione preceda (art. 4) la caratterizzazione delle sanzioni che importano l’allontanamento dalla comunità scolastica, per collocazione e contenuto deve intendersi di ordine generale, così finendo apparentemente per svuotarle di contenuto. Invero, se allo studente deve essere sempre offerta la possibilità di conversione questo allontanamento di fatto potrebbe non realizzarsi mai. Ecco perché anche in tal caso la scuola potrà ovviarvi tipizzando altresì le sanzioni alternative in riferimento ai singoli comportamenti puniti.

A Bolzano, invece, lo Statuto dello studente e della studentessa, approvato con la Deliberazione della Giunta Provinciale 21 luglio 2003, n. 2523, prevede chel’opportunità di conversione in attività a favore della comunità vada offerta allo studente solo “Se possibile”. Ciò impedisce l’effetto collaterale sopra descritto, con la diversa necessità di individuare previamente in quali casi possa o meno essere concessa tale possibilità.

 

Operatività del regolamento

Il regolamento deve essere rispettato all’interno della comunità scolastica. Ciò comporta che il regime sanzionatorio si applichi, anche nei casi più gravi che configurano astratte situazioni di reato, a comportamenti che si realizzano dentro la scuola, in quantoil dovere di vigilanza sugli alunni sussiste all’interno degli spazi scolastici. Tanto si evince con chiarezza in particolare nella direttiva del 2007 sull’uso dei cellulari che prevede che tanto il divieto di utilizzo – che peraltro sussiste anche per il personale docente (CM n. 362 del 1998) – quanto la possibilità di ritiro dello stesso operano solo in orario di lezione.

In caso di uso scorretto, il ritiro del telefono cellulare dovrà essere temporaneo ed intervenire solo (appunto) durante le ore di lezione. Non è consigliabile quindi operare un sequestro dello stesso fino al prelievo da parte del genitore, giacché una tale autoritaria e duratura apprensione di un bene personale, anche se prevista da regolamento, può costituire occasione di contrasto e contestazione.

Si sottolinea inoltre come il divieto riguardi il solo utilizzo scorretto e non la semplice detenzione. Inoltre sempre più spesso l’evoluzione tecnologica, che influenza anche la didattica, comporta la possibilità di far uso anche in classe di dispositivi elettronici.

Pertanto, come chiarito nel testo normativo, un uso improprio o una violazione del divieto di utilizzo comporterà, quindi, l’irrogazione delle sanzioni disciplinari appositamente individuate da ciascuna istituzione scolastica, nella sua autonomia, con il proprio regolamento, ed adeguate secondo il criterio di proporzionalità.

La questione riguarda altresì eventi, anche gravi, che dovessero coinvolgere gli studenti durante il loro tragitto verso casa e fuori dall’ambito scolastico, ovvero a mezzo internet (pensiamo al cyberbullismo).

Occorre rammentare che per il codice civile (art. 2048 c.c. e art. 147 c.c.), anche per quei comportamenti sanzionabili che dovessero realizzarsi durante l’orario scolastico, la culpa in educando può concorrere con le responsabilità del personale scolastico per culpa in vigilando in quanto i doveri di educazione che incombono sui genitori nei confronti dei figli non vengono meno solo perché il minore è affidato all’altrui vigilanza. Pertanto per liberarsi da responsabilità i genitori saranno tenuti a dimostrare di avere impartito al minore stesso un’educazione adeguata a prevenire comportamenti illeciti ed il personale scolastico di non aver potuto impedire il fatto compiuto dal minore durante la vigilanza.

A maggior ragione quindi nessuna responsabilità può gravare sulla scuola per episodi che si realizzano fuori dalla suddetta vigilanza a meno che non siano collegati al periodo di permanenza dello studente nella struttura scolastica come nel caso ad esempio di un filmato realizzato illegittimamente all’interno della stessa e in seguito divulgato ovvero anche allorquando l’immagine della scuola venisse apertamente lesa dal comportamento posto in essere dallo studente. In tali casi la scuola difficilmente potrebbe imporre sanzioni, se non direttamente coinvolta, senza incorrere in conseguenti impugnazioni di eventuali provvedimenti.

Inoltre è consigliabile disciplinare con attenzione, condividere e divulgare opportunamente le regole relative alla vigilanza all’uscita.

Bisogna aggiungere che dal sistema delle sanzioni previsto dal dpr 235 07 continuano ad essere esclusi gli alunni della scuola primaria, mentre a Bolzano lo “Statuto” (che peraltro contiene esplicita previsione (art. 3) delle regole relative alle verifiche in occasione di giorni festivi o sospensioni dell’attività didattica ed ai compiti a casa – tema pure di recente molto dibattuto) si applica a tutti i gradi di scuola (art. 5 comma 10).

 

Limiti del patto di corresponsabilità

Il punto debole di questo sistema è rappresentato proprio dal Patto educativo di corresponsabilità, che è idealmente distinto dal regolamento d’istituto (sebbene ormai ne faccia parte integrante).

Invero il regolamento è considerato un atto unilaterale della scuola verso gli studenti, vincolante con la sua adozione da parte del consiglio e la pubblicazione all’albo
e diretto a specificare i comportamenti consentiti, dovuti o vietati e le sanzioni per le violazioni. Diversamente il Patto dovrebbe essere condiviso tra scuola e famiglia diventando vincolante con la sua sottoscrizione.

A parte l’estrema labilità del vincolo, privo di reale coazione, nella sua immediatezza il Patto è stato utilizzato in particolare al suo esordio per richiamare i genitori alla responsabilità civile che può insorgere a loro carico per eventuali danni causati dai figli a persone o cose durante le attività didattiche. Insomma un monito al “chi rompe paga” anche con la previsione di sanzioni collettive (contrarie al principio della personalità della responsabilità e della pena).

Poi, la consapevolezza della sostanziale insuperabilità per via pattizia di disposizioni normative di grado superiore che subordinano la responsabilità, appunto sempre personale, al suo accertamento e l’entità del risarcimento alla quantificazione del danno, hanno ridotto l’interesse per questo strumento anche per la difficoltà a prevedere reali procedure di elaborazione condivisa, la cui disciplina è rimessa dal dpr 235 07 (comma 2 dell’art. 5 bis) al regolamento d’istituto. Idealmente pertanto la scuola potrebbe attribuire la competenza ad elaborare e modificare il Patto al Consiglio di istituto, dove sono rappresentate le diverse componenti della comunità scolastica, compresi i genitori e gli studenti ovvero attraverso l’istituzione di commissioni miste. Ma è noto che anche il regolamento di fatto prevalentemente viene sottoposto all’approvazione del consiglio senza previa reale condivisione. E dove manca una chiara disciplina prevale una prassi eterogenea.

Infatti l’art. 10 del Dlgs 297/94 si limita ad affermare che il consiglio di istituto “adotta” il regolamento, ma non fornisce indicazioni in merito al procedimento di elaborazione che non è previsto avvenga in forma condivisa. La forma verbale (“adottare”) poi, utilizzata anche per il POF dall’art. 3 del dpr 275/99 nonché per le “adozioni” dei libri di testo, più che di “approvazione” configura un atto di “scelta”. Pertanto di prassi la fase preparatoria è affidata a figure individuate. Il testo è poi portato a conoscenza dei consiglieri che possono, se vogliono, leggerlo e suggerire modifiche. Un processo di condivisione apparente o comunque formale perché privo di un reale confronto.

Quanto al momento di sottoscrizione del patto, l’art. 5 bis comma 1 dispone che questa debba avvenire, da parte dei genitori e degli studenti, “contestualmente all’iscrizione alla singola istituzione scolastica”.  Com’è evidente, seguito delle iscrizioni on line, essa diventa meramente virtuale in questa fase e le scuole, nella parte relativa al proprio modulo, di prassi prevedono dei richiami. Pertanto, nell’ambito delle due settimane di inizio delle attività didattiche (art. 3 comma 3) dovrebbero porsi in essere le iniziative più opportune per la condivisione e la presentazione del patto di corresponsabilità. Il che, nella gran prevalenza dei casi, si realizza invece attraverso la semplice somministrazione del testo cartaceo in occasione del primo incontro con le famiglie, nonostante il recente rilancio del Patto attraverso le Linee di Indirizzo sulla partecipazione dei genitori e la corresponsabilità educativa del novembre 2012.

Diversamente a Bolzano lo Statuto, che non reca menzione del Patto di corresponsabilità, fornisce indicazioni maggiormente chiare in merito all’elaborazione condivisa del regolamento, stabilendo espressamente (art. 5) che il Consiglio d’Istituto definisca le infrazioni disciplinari e le relative sanzioni, tenuto conto delle proposte formulate dal collegio dei docenti, dai comitati dei genitori, nonché, nelle scuole superiori, delle proposte formulate dai comitati degli studenti e delle studentesse. Solo dopo l’approvazione di queste da parte del consiglio, le stesse vengono inserite nel regolamento interno e comunicate a tutti gli interessati. Un processo quindi che si conclude con un atto di approvazione e che prevede il coinvolgimento di tutte le componenti. Ovviamente poi tutto questo, idealmente previsto, dovrà essere concretamente realizzato nella pratica.

Da tanto si desume che solo attraverso un’elaborazione davvero condivisa e la massima divulgazione del regolamento e del Patto si eviteranno conflitti relativi alla loro applicazione in quanto “Non conoscenza e disinteresse si rinforzano a vicenda” (Audizione UCIIM 2004). Le norme ci danno spesso degli strumenti che poi non vogliamo o sappiamo utilizzare ed il processo di condivisione e coinvolgimento per lo più appare difficile, arduo e faticoso.