Storia come verità
di Antonio Stanca
Quella che fino ad alcuni anni fa era solo una vaga tendenza della cultura italiana oggi è diventata una sua componente essenziale. La riscoperta del passato, lo studio della storia non riguardano soltanto lavori isolati o particolari programmi di una provincia o regione ma sono ormai un elemento costitutivo dell’atmosfera culturale della nostra nazione. Anche in altri paesi occidentali sta succedendo che molta attenzione, molto interesse siano dedicati al recupero, alla rivalutazione, all’interpretazione di certi momenti, avvenimenti della storia, soprattutto antica. Si vuole sapere quanto è accaduto, si è alla ricerca di risultati certi, sicuri in tempi che come quelli attuali assistono, anche in ambito culturale, a continue modifiche e trasformazioni. Si è andati tanto avanti, si è tanto progrediti da non essere più sicuri, da non avere più riferimenti unici, inalterabili. Perso si è l’uomo contemporaneo tra le sue invenzioni, tra le loro applicazioni ed ha sentito il bisogno di ritrovarsi, di rassicurarsi. La conoscenza del passato gli è sembrata uno dei modi per soddisfare tale bisogno. Il passato ha assunto, così, tanti aspetti quanti sono i propositi di chi lo cerca. Può essere un passato di carattere civile, religioso o di entrambi, si può riferire ad un personaggio, ad una famiglia o ad una comunità, ad un luogo, ad un tempo o ad un avvenimento, di ogni genere può essere ma preferito è quel passato mai completamente chiarito, rimasto sempre dubbio. Su avvenimenti ancora oggi sospesi si sono concentrate tante operazioni di recupero perché animati dall’idea di fare chiarezza, di portare alla luce sono coloro che ad esse si dedicano.
Una funzione di formazione, di educazione alla verità ha assunto la conoscenza della storia visto che tanto interesse suscitano in chi vi assiste e in chi le compie la revisione, la correzione di sbagliate trasmissioni, orali o scritte, di alterazioni, di confusioni di vario genere che per secoli si sono continuate.
Di quest’atmosfera di scoperta, di questo spirito di ricerca, di appuramento dei dati, delle fonti, dei documenti partecipa lo studioso Daniele Palma di Calimera, comune dell’area ellenofona salentina. Questi da anni si mostra impegnato in operazioni volte a recuperare, tutelare la lingua, la cultura, la storia greco-salentina. A sessantadue anni il Palma ha prodotto opere di narrativa, di teatro e numerosi saggi. In ognuna di queste direzioni i temi sono risultati legati alla storia della sua terra, dei suoi ambienti ed ai rapporti di scambio, di collaborazione, di rivalità che in passato si sono verificati tra essi e la vicina Grecia o Turchia. Estesa è l’opera saggistica del Palma e sempre accuratamente documentata. Prima tra biblioteche locali ha cominciato egli a muoversi, poi è approdato a biblioteche nazionali. I saggi sono stati pubblicati, tra gli anni 2000 e 2008, nel Bollettino Storico di Terra d’Otranto (numeri 10-15). L’amore per la sua terra ha trasformato il Palma nello studioso di essa, delle sue origini, delle sue tradizioni, dei suoi usi e costumi, dei suoi avvenimenti e personaggi, della sua lingua, della sua religione. Una passione tale è diventata per lui quella di riscoprire quanto accaduto nel passato dei suoi posti da averla coltivata insieme al suo lavoro di docente di Fisica e all’altro, svolto per decenni, nel campo dell’Informatica. Si è anzi servito dei mezzi, degli strumenti di questa disciplina per le sue interminabili ricerche storiche. E il prodotto maggiore di esse può essere senza dubbio considerato l’immenso volume L’autentica storia di Otranto nella guerra contro i Turchi (Nuova luce sugli eventi del 1480-81 dalle lettere cifrate tra Ercole d’Este e i suoi diplomatici). L’opera si compone di più di cinquecento pagine ed è stata pubblicata, ad Aprile del 2013, dalla casa editrice Kurumuny di Calimera. Di essa si è parlato la sera di Venerdì 30 Maggio presso il Centro Studi “Chora-Ma” di Sternatia (Lecce) suscitando molta attenzione presso il pubblico. Dopo la presentazione del Presidente di “Chora-Ma”, Donato Indino, sono intervenuti la figlia del Palma, Veronica, il figlio, Giuseppe, e don Donato Palma, parroco di Castiglione. Il religioso si è soffermato a parlare con l’autore del libro e dal dialogo sono emersi i modi da lui seguiti nel produrre l’opera nonché i contenuti di questa. Si è saputo che il lavoro è durato molti anni, che rappresenta l’ultimo di una trilogia iniziata da tempo, che la sua novità consiste nella decifrazione di oltre trecento lettere depositate presso l’Archivio di Stato di Modena e inviate ad Ercole d’Este, duca di Ferrara, dai suoi ambasciatori, dislocati in diverse zone d’Italia e presso diversi potentati, durante i tredici mesi dell’assedio turco alla città di Otranto negli anni 1480-1481. Le lettere erano scritte in un linguaggio segreto, in un alfabeto cifrato perché contenevano informazioni particolari e perché rimanessero incomprensibili nel caso fossero cadute in mano nemica. Il Palma è riuscito a decifrarle e ad apportare nuovi e determinanti contributi alla conoscenza di una vicenda della quale molti punti erano ancora oscuri nonostante si sia detto e scritto tanto.
Nell’opera le lettere sono state confrontate con quanto dell’evento otrantino già si sapeva, con altre testimonianze. Non si è trattato di una ricerca soltanto documentaria ma anche storica come altre volte ha fatto il Palma poiché convinto è egli che solo così si possa giungere a stabilire con esattezza la verità. Stavolta lo studioso è pervenuto a molte nuove verità che riguardano non solo la guerra tra Otranto e i Turchi ma anche i rapporti che correvano tra i vari stati del tempo, il comportamento da essi usato in quella circostanza prima che avvenisse, durante e dopo, i motivi dell’assalto turco, i rapporti conseguiti tra turchi e otrantini, il grave episodio degli ottocento martiri. Il maggiore, il più documentato lavoro fino a questo momento compiuto circa la vicenda otrantina può essere senza dubbio considerato questo del Palma.
L’esercizio di decifrazione del linguaggio segreto che correva negli scambi epistolari dell’antica corte ferrarese ha reso il Palma tanto edotto da permettergli di decifrare, in seguito nel 2014, una lettera scritta in alfabeto cifrato e inviata nel 1510 dalla nuora di Ercole d’Este, Lucrezia Borgia, al marito Alfonso d’Este, che era in guerra. Nella lettera lo avvertiva della caduta di una fortezza, la Rocca Possente di Stellata. Il documento era rimasto incompreso per oltre cinquecento anni e particolarmente meritorio è da considerare quanto compiuto dal Palma e dai suoi figli che in questa operazione lo hanno aiutato.
I giovani, nei loro interventi, si sono soffermati Veronica a chiarire la figura di Lucrezia Borgia, a dire dei suoi tempi, dei suoi luoghi, della sua vita, Giuseppe ad illustrare i processi relativi alla criptografia, a mettere in evidenza il suo uso fin dai tempi più antichi.
A delle continue rivelazioni si è assistito la sera di Venerdì e il piacere che le scoperte sempre procurano si è provato. Si è pensato anche che più diffusi dovrebbero essere i metodi usati per ottenerle, che la scuola dovrebbe interessarsi a diffonderli mediante il loro insegnamento visto che tanto di passato c’è ancora da scoprire e tanto utile sarebbe la sua conoscenza.
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