Il piano dell’esecutivo dimentica le scuole delle province

da ItaliaOggi

Il piano dell’esecutivo dimentica le scuole delle province

Solo oltre 5 mila edifici. Gli investimenti non sono fuori dal patto di stabilità a differenza dei comuni

Luigi Olivieri

Nelle scuole ci sono studenti di serie A e di serie B. Lo certifica il decreto legge 66/2014, noto come decreto spending review, adottato dal governo Renzi allo scopo di reperire risorse per finanziare il bonus da 80 euro per i redditi fini a 26.000 euro l’anno.

Uno dei punti salienti della manovra avrebbe dovuto essere un piano straordinario per l’edilizia scolastica.

Nelle slide di presentazione si era parlato di una cifra di 2 miliardi circa. Nell’articolo 48, comma 1, del decreto, che inserisce nell’articolo 31 della legge 183/2011 un nuovo comma 14-ter invece, si scopre che vi sono 244 milioni per gli anni 2014 e 2015.

La sorpresa per gli studenti, tuttavia, non sta nella cifra molto minore dedicata al rilancio dell’edilizia. Vediamo cosa dispone il citato comma 14-ter: «Per gli anni 2014 e 2015, nel saldo finanziario espresso in termini di competenza mista, individuato ai sensi del comma 3, rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, non sono considerate le spese sostenute dai comuni per interventi di edilizia scolastica. L’esclusione opera nel limite massimo di 122 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. I comuni beneficiari dell’esclusione e l’importo dell’esclusione stessa sono individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da emanare entro il 15 giugno 2014».

La norma, allo scopo di permettere spese di investimento nelle scuole, esclude le somme indicate dal computo per il saldo finanziario rilevante ai fini del patto di stabilità.

Ma essa è destinata esclusivamente ai comuni, saltando a piè pari le province.

Evidentemente il governo, preso dalla furia abolizionista (per la verità compiutasi molto parzialmente) nei confronti delle province, ha dimenticato un dettaglio che, invece, avrebbe meritato maggiore attenzione: le province sono titolari di oltre 5.000 edifici scolastici che ospitano le attività degli istituti della scuola secondaria di secondo grado (licei, istituti tecnici e istituti professionali).

Forse, data l’esiguità della somma liberabile dalla morsa del patto di stabilità si è fatta una scelta di priorità, individuano come prevalenti le esigenze delle scuole di pertinenza dei comuni (la scuola primaria di primo e secondo grado). Ma, in questo modo si è operata una scelta che discrimina non tanto gli enti locali destinatari del beneficio, i comuni piuttosto che le province, quanto, invece, i fruitori degli edifici scolastici, cioè gli studenti.

In sostanza, gli allievi delle scuole di pertinenza dei comuni potranno aspirare ad interventi di messa a norma e risanamento delle scuole; il medesimo diritto degli allievi delle scuole superiore, invece, non è curato allo stesso modo ed è lasciato rimesso alla capacità delle province di fare fronte al patto di stabilità, dovendo, per altro, affrontare una riduzione complessiva delle entrate e connessa spesa di 444,5 milioni, pari quasi al 6% della spesa corrente 2013 (a fronte di una riduzione che per i comuni è di circa lo 0,7 della spesa corrente 2013).

La mossa del decreto dimostra come il problema della razionalizzazione degli enti operanti nell’ordinamento non può limitarsi a guardare quali enti lasciare e quali abolire, ma, invece, quali sono le funzioni e le competenze da svolgere, in relazione ai diritti ed alle esigenze dei fruitori. Il decreto ha operato come se le province fossero state abolite ovunque, col paradosso che non solo esse sono ancora operanti ed esistenti, ma che la legge 56/2014, nota come legge-Delrio, ha confermato proprio l’edilizia scolastica come loro «funzione fondamentale». Evidentemente, tuttavia, non così fondamentale, se si ritiene che a beneficiare dell’allentamento della morsa del patto di stabilità debbano essere solo gli interventi sull’edilizia scolastica dei comuni.