Invalsi modello mediterraneo

da ItaliaOggi

Invalsi modello mediterraneo

Ajello annuncia: alternativo a quello anglosassone

Emanuela Micucci

L’Invalsi, a livello internazionale, «può essere il riferimento per i paesi del Mediterraneo che si stanno affacciando ai temi della valutazione». Anna Maria Ajello, presidente dell’Invalsi, annuncia un modello Invalsi mediterraneo alternativo a quello anglosassone, intervenendo al convegno su «Valutazione della Cultura. Cultura della valutazione» promosso dalla Cisl Scuola Lazio a Roma, all’indomani della raccomandazione del Consiglio d’Europa all’Italia sul programma di stabilità 2014, che invita il Paese a «rendere operativo il sistema nazionale di valutazione» per ridurre tra l’altro la dispersione scolastica che oggi sfiora il 20% ma che si dovrebbe ridurre al 10% entro il 2020. Un sistema nazionale di valutazione di cui si attende a breve la direttiva del ministro dell’istruzione Stefania Giannini per il suo avvio a settembre. Ma che rischia di non diventare effettivo se non sarà accompagnato da un adeguato stanziamento di risorse, ancora da definire.

In vista dell’avvio del sistema, Ajello rassicura docenti e sindacati: «Le prove Invalsi misurano alcuni apprendimenti e non si possono usare come criterio unico per valutare i docenti». «La qualità della scuola, la professione del docente e del dirigente scolastico – precisa Damiano Previtali, dirigente scolastico, componente del Cantiere Docenti del Miur -, è finalizzata agli esiti formativi e valutativi, cioè non alle prove Invalsi che ne sono solo una parte». L’auspicio di Ajello è che l’istituto che presiede possa uscire dalla «sindrome del fortino», frutto dell’arroccamento nei confronti degli agenti critici, «raffrontando il legame con le scuole, i docenti», gli studenti e le famiglie per trovare su alcuni temi «soluzioni negoziate che diventino, poi, valide per tutti». «La collaborazione scuola-famiglia – aggiunge Previtali – determina molto i risultati degli studenti: questo deve interessare la scuola, invece, è un aspetto su cui si fa pochissimo».

Non solo. «I risultati delle prove Invalsi vanno contestualizzati». E si deve tenere conto anche dei risultati a distanza, tra cui le competenze che fanno la differenza come motivazione, perseveranza, stima di sé, autocontrollo: elementi che contano molto e che dipendono dalla famiglia, ma che non riusciamo a valutare. «In Italia – osserva Ajello – abbiamo incentrato la valutazione solo sugli strumenti di misurazione senza concentrarci sulla centralità del tema degli apprendimenti: l’Invalsi dovrebbe promuovere il dibattito su quali processi cognitivi produciamo, promuoviamo nell’apprendimento». «Occorre ritornare alla pedagogia», chiosa Previtali. La finalità del sistema nazionale di valutazione, sottolinea illustrandone il Regolamento, «è il miglioramento, quindi non una graduatoria», da realizzare in tre anni con l’autovalutazione, che partirà già nel prossimo anno scolastico quando per la prima volta tutte le scuole pubblicheranno il proprio rapporto di autovalutazione, la valutazione esterna e le azioni di miglioramento con la rendicontazione sociale delle scuole.

«Ciò che farà la differenza sono i docenti: che attenzione gli diamo?», chiede Previtali, «l’insegnate non ha un profilo professionale, per svilupparne la carriera c’è solo l’anzianità, ma si deve andare oltre considerando il tempo dedicato alla scuola e le competenze del docente; la formazione nel contratto attuale degli insegnanti è un diritto/dovere invece nel nuovo contratto è un’opportunità; ci si deve incamminare verso la diversificazione della funzione docente e verso il decentramento con l’autonomia e la sussidiarietà». «In Italia non siamo all’anno zero sulla valutazione», commenta Stefano Molina della Fondazione Agnelli osservando che «l’Invalsi finora fa prove censuarie, come prevede la legge, valide per valutare le scuole, invece per valutare il sistema occorrono prove campionarie».