8 agosto Riforma Costituzione in Senato

print

L’8 agosto l’Aula del Senato, con 183 voti favorevoli e 4 astenuti, approva in prima lettura il ddl costituzionale n. 1429 e connessi di revisione della Parte II della Costituzione; il provvedimento passa all’esame della Camera.

Senato, si alla riforma costituzionale

L’assemblea del Senato ha approvato oggi il disegno di legge costituzionale di revisione della Parte II della Costituzione. Il provvedimento passa ora all’esame della Camera dei deputati.

Questi i punti principali:

Fine del Senato elettivo
La riforma disegna un Senato composto da 95 membri rappresentativi delle istituzioni territoriali e 5 di nomina presidenziale. Saranno i Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano a scegliere i senatori, con metodo proporzionale, fra i propri componenti. Inoltre ciascuna Regione eleggerà un senatore tra i sindaci dei rispettivi territori. La ripartizione dei seggi tra le varie Regioni avverrà “in proporzione alla loro popolazione” ma nessuna Regione potrà avere meno di due senatori. La durata del mandato dei senatori, che godranno dell’immunità come i colleghi deputati, coincide con quella nei propri organi territoriali.

Fine del bicameralismo perfetto
La funzione legislativa che finora era esercitata collettivamente dalle due Camere (art. 70 Costituzione) sarà prerogativa della sola Camera dei deputati, salvo alcune materie su cui dovrà intervenire anche il Senato. Sulla legge di bilancio, la Camera potrà avere l’ultima parola decidendo, a maggioranza semplice, di non conformarsi ai rilievi posti dal Senato che, tra l’altro, sarà anche escluso dal potere di concedere amnistia e indulto.

Referendum
Vengono introdotti i referendum propositivi e d’indirizzo. Mentre per il referenzun abrogativo le firme necessarie per chiederlo restano 500mila, con il quorum per la validità della consultazione posto al 50% più uno degli elettori. In caso si arrivi a 800mila firme, invece, il quorum si abbassa: sarà sufficiente che vada a votare la metà più uno dei votanti delle ultime elezioni politiche. Per presentare una legge di iniziativa popolare bisognerà raccogliere 150mila firme.

Province abolite anche nella Costituzione
Le Province scompaiono anche dalla Costituzione. La riforma prevede anche il commissariamento di Regioni ed enti locali in caso di grave dissesto finanziario. Lo Stato, inoltre, potrà esercitare una “clausola di supremazia” verso le Regioni a tutela dell’unità della Repubblica e dell’interesse nazionale.

Soppressione Cnel e riduzione stipendi e rimborsi regionali
Altre norme chiave sono: la soppressione del Cnel, la previsione di un tetto agli stipendi di Presidente e consiglieri regionali – mai superiore a quello dei sindaci dei capoluogo di Regione – e la norma che abolisce i “rimborsi e trasferimenti monetari” pubblici ai gruppi politici regionali.

Il 14, 15, 16, 17, 21, 22, 23, 24, 29 30 e 31 luglio, 1, 4, 5, 6 e 7 agosto l’Aula del Senato esamina il disegno di legge costituzionale (1429) recante “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione”

(Senato, 21.7.14) Intervento ministro Boschi

Signor Presidente, onorevoli senatrici e onorevoli senatori, è stato un privilegio per me partecipare alla discussione generale in questi giorni. Lo dico a titolo personale, perché è sicuramente un percorso difficile, ma affascinante quello che stiamo vivendo insieme, e lo dico a nome del Governo.

Del resto, fin dall’inizio questo Governo ha legato in modo indissolubile il proprio cammino al percorso delle riforme e delle riforme costituzionali in particolare. Per questo, il Governo si è fatto promotore di un disegno di legge costituzionale che – poi – è stato adottato in Commissione come testo base.

In questi giorni non sono mancate le contestazioni, le polemiche e, in alcuni casi, anche le provocazioni. Però è il bello del dibattito e della democrazia. Lo dico non come una frase di circostanza, come una liturgia al dibattito parlamentare impone; lo dico perché ne sono convinta e ne è convinto questo Governo, che ha sempre rivendicato l’ascolto delle ragioni di tutti, il dialogo ed il confronto. Lo ha fatto con i cittadini; lo ha fatto con le parti sociali, con i Gruppi parlamentari e con i singoli opinionisti. Lo abbiamo fatto per la riforma della pubblica amministrazione, del terzo settore; lo stiamo facendo per la delicata riforma della giustizia e non potevamo non farlo – a questo punto posso dirlo senza tema di smentita – che l’abbiamo fatto anche per le riforme costituzionali, che rappresentano la madre di tutte le battaglie istituzionali, politiche e civili che stiamo affrontando in questi giorni.

Sottoponiamo a quest’Aula un testo che è il frutto del lavoro di questi mesi; un testo che è stato anche migliorato nel corso di questi mesi grazie al contributo che è arrivato dai cittadini, dai professori, dalle parti sociali e – soprattutto – dal lavoro proficuo che abbiamo svolto per oltre tre mesi in Commissione, per il quale va il ringraziamento mio personale e del Governo alla presidente Anna Finocchiaro per la mano esperta ed efficace con cui ha condotto i lavori in Commissione. Il mio ringraziamento va ai senatori ed alle senatrici tutti, di tutti i partiti politici, a cominciare dal correlatore Calderoli, dal quale mi separano distanze siderali quasi in ogni scelta politica, ma di cui ho apprezzato la competenza e anche la grande forza di volontà, perché ha continuato a lavorare con noi nonostante condizioni di salute non ottimali negli ultimi giorni.

E – permettetemi di farlo, per il lavoro che abbiamo svolto insieme fino ad oggi – un ringraziamento va, oltre ai miei collaboratori del Ministero, anche a ai funzionari della 1ª Commissione, non soltanto per la loro indubbia competenza, ma anche per la disponibilità estrema che hanno dimostrato in questi mesi di lavoro.

Noi oggi sottoponiamo al voto dell’Aula un testo che è il risultato di questo lavoro e non la rappresentazione macchiettistica che alcuni interventi ne hanno voluto fare. E noi vorremmo che venisse affrontata la discussione nel merito di questo disegno di legge costituzionale, non una discussione sulla simpatia o l’antipatia di chi lo ha proposto, perché sappiamo che, se discutiamo nel merito di queste proposte, noi non abbiamo paura delle idee altrui.

Pratolini, che è un cantore della mia terra, diceva che non ha paura delle idee chi ne ha. Per cui noi non abbiamo paura del confronto, se resta nel merito, e sappiamo che questo testo uscito dalla Commissione è ampiamente condiviso e il fatto che, a differenza del 2001 e del 2005, a sostenerlo sia una maggioranza che va oltre la maggioranza che sostiene il Governo è un valore aggiunto. Per cui vanno apprezzati la serietà e l’impegno non scontato con cui non soltanto tutti i partiti che sostengono il Governo, ma anche Forza Italia ha appoggiato questo percorso di riforme fin dall’inizio.

Noi sappiamo che presentiamo un testo che, depurato dallo scontro ideologico, è condiviso nel suo impianto generale, perché, se guardiamo anche al dibattito di questi giorni, il punto centrale che ci ha impegnato è stato quello della elettività o non elettività dei 74 consiglieri regionali e dei 21 sindaci a senatori. Un dibattito importante, che non voglio svilire, che ha avuto risposte diverse e variegate in Europa e che divide anche parte della scienza e della dottrina, ma che è un singolo aspetto in un impianto di riforma profonda e radicale che invece è ampiamente condiviso per il resto.

Noi abbiamo cercato, con questa riforma, di porre rimedio a delle storture che comunque la nostra Costituzione ha mostrato nel corso degli anni: un procedimento legislativo lento e farraginoso, che poi ha portato anche al ricorso eccessivo, soprattutto da parte degli ultimi Governi, alla decretazione d’urgenza; un rapporto di fiducia di entrambe le Camere con il Governo che è un’anomalia anche a livello europeo; la necessità di rivedere il riparto di competenze tra Stato e Regioni, dopo tredici anni dalla riforma che abbiamo approvato. Questa riforma costituzionale tiene insieme due elementi importanti: il superamento del bicameralismo perfetto e la riforma del Titolo V. Sono due elementi che si tengono insieme e non è un caso se è stato proposto un solo disegno di legge costituzionale.

Noi riteniamo che si possa superare anche la conflittualità che c’è stata tra Stato e Regioni e che ha portato ad un notevole contenzioso di fronte alla Corte costituzionale, rivedendo quelle che sono le materie forse troppo frettolosamente attribuite alle Regioni (la materia concorrente). Ma, per farlo, occorre che le Regioni e le autonomie locali partecipino alla fase decisionale fin dall’inizio. Non possiamo pensare di risolvere il problema soltanto a valle per via giudiziaria; il problema va anticipato con una Camera di compensazione politica e questo sarà il nuovo Senato. Per questo abbiamo pensato ad un Senato che non è eletto direttamente dai cittadini, ma che rappresenta le Regioni e i Comuni, perché lì le autonomie territoriali possano avere la loro voce e possano decidere insieme allo Stato centrale. Quindi un nuovo modo, innovativo, di intendere il rapporto tra Stato centrale e poteri periferici.

Un nuovo Senato che svolgerà un ruolo importante di raccordo, di cinghia, di chiusura tra Stato ed enti subnazionali, ma che svolgerà anche un importante ruolo di raccordo con l’Unione europea, non soltanto nella fase ascendente, ma anche nella valutazione dell’attuazione delle politiche europee nel nostro Paese. Ed è un Senato che, libero e sciolto dal rapporto di fiducia con il Governo, sarà anche in grado di svolgere un ruolo nuovo e fondamentale di valutazione dell’attuazione delle leggi statali e di valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche e delle pubbliche amministrazioni.

Con questa riforma abbiamo anche messo mano ai poteri normativi del Governo, cercando di disciplinare in modo più puntuale anche la decretazione d’urgenza, recependo in Costituzione non soltanto vincoli che oggi già ci sono nella legislazione ordinaria o le sentenze e la giurisprudenza ormai consolidata della Corte costituzionale. Recepirle in Costituzione significa dare maggiore valore cogente e maggiore efficacia a questi limiti. Abbiamo previsto anche una corsia preferenziale per i disegni di legge del Governo, con la possibilità di porli in votazione a data certa, ma sempre nell’alveo dell’Assemblea parlamentare, mai al di fuori di essa.

Sicuramente il lavoro in Commissione ha contribuito a rendere equilibrato il testo anche da un punto di vista delle garanzie, attraverso il rafforzamento dei quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica, del numero di scrutini per l’elezione del Presidente della Repubblica e introducendo un’innovazione importante anche per quanto riguarda i referendum abrogativi, perché prevedere un quorum per la validità dei referendum che non sia ancorato al numero degli elettori, ma ai partecipanti alle ultime elezioni politiche significa capovolgere completamente anche il meccanismo di partecipazione politica ai referendum; rappresenta un impegno ed uno sforzo in più anche per i partiti politici nelle loro battaglie referendarie o per i movimenti che vorranno presentare dei referendum.

Un testo che porta anche al completamento della riforma, che è già iniziata con la legge Delrio, per l’articolazione della Repubblica, per riorganizzare la presenza dello Stato sul territorio, con l’abolizione delle Province anche in Costituzione, con poi l’abolizione del CNEL dopo anni che ne discutiamo.

Noi sappiamo bene, è stato ricordato anche in quest’Aula, che anche i lavori della Costituente hanno portato a degli scontri politici, a dei dibattiti accesi, si è arrivati a delle mediazioni che magari non sono state la soluzione perfetta, ma che hanno rappresentato il miglior compromesso possibile nell’interesse del Paese e nell’interesse dei cittadini, intrecciando anche l’esperienza dei componenti più maturi di quella Costituente con lo sguardo rivolto al futuro dei componenti più giovani che sono stati chiamati a farne parte.

Credo che anche oggi noi siamo chiamati a trovare un accordo alto nell’interesse del Paese e dei cittadini, anche perché queste riforme costituzionali sono la premessa, la base per le altre riforme che stiamo affrontando: da quella della pubblica amministrazione alla riforma fiscale che il Parlamento ha attribuito al ministro Padoan, alla riforma della giustizia.

Abbiamo bisogno di uno Stato più semplice, di uno Stato più coraggioso, di un’Italia più forte. Questa riforma sta cercando di dare risposte a tutti questi interrogativi.

Si è molto discusso anche dell’urgenza di questa riforma, un’urgenza innegabile, un’urgenza che deriva sicuramente dalla necessità anche di dimostrare in Europa che le riforme strutturali non sono soltanto iniziate, ma che stanno andando avanti, perché sono l’unica condizione di flessibilità che possiamo avere in Europa, ma è un’urgenza che nasce soprattutto dall’esigenza di rispondere agli interrogativi dei nostri cittadini, di mantenere gli impegni che noi abbiamo assunto; è un’urgenza che deriva dalla necessità di rispondere ad un desiderio, ad un urlo di cambiamento che i cittadini ci hanno rivolto anche con le elezioni europee, in cui per la prima volta dal 1958 ad oggi un partito ha raggiunto un risultato così ampio, proprio perché nel nostro Paese c’è voglia di cambiamento. Ci potrà allora essere un tentativo di rallentare questo cambiamento, ci potrà forse essere dell’ostruzionismo che ci porterà a lavorare una settimana di più e forse a sacrificare un po’ di ferie, ma noi manterremo l’impegno di cambiare il Paese, perché lo abbiamo promesso ai nostri cittadini. Quest’urgenza deriva innanzitutto da noi.

Vi rubo un minuto per una considerazione che non è del Governo ma più personale, di un deputato che è alla prima legislatura. Noi eravamo insieme in seduta comune, un anno fa, quando il Presidente della Repubblica venne rieletto con una maggioranza molto ampia. Quel 22 aprile il Presidente della Repubblica, in modo molto severo, richiamò tutti i politici alle loro responsabilità, anche alla loro incapacità di portare a termine quel processo di riforme costituzionali che tutti noi avevamo promesso agli italiani e ai cittadini. Allora, oltre ovviamente all’ammirazione e alla stima nei confronti del Capo dello Stato, che anche con sacrificio personale e per senso di servizio nei confronti della Repubblica e delle istituzioni, ha accettato quel nuovo mandato, io mi chiedevo anche se saremmo riusciti poi ad essere conseguenti a quella condivisione ampia che avevamo in Parlamento quel giorno sulla necessità e sull’urgenza delle riforme, se saremmo usciti, tutti insieme, da quelle sabbie mobili.

Da lì è iniziato un percorso che ha portato poi alla Commissione dei 35 esperti e ringrazio anche il mio predecessore, Gaetano Quagliariello, per il lavoro paziente che ha saputo fare con la Commissione, che si è inserita nel solco già tracciato dagli esperti che erano stati nominati qualche tempo prima dal Presidente della Repubblica.

Il lavoro degli esperti ci ha consegnato dei punti di ampia condivisione. Tutto, lo sappiamo, è migliorabile, sempre; ma sappiamo anche che sull’impianto fondamentale che questa riforma presenta – dal superamento del bicameralismo perfetto ad un rapporto di fiducia con il Governo di una sola Camera, alla necessità di rivedere le competenze dello Stato, attribuendogli nuovamente la competenza, ad esempio, in materia di energia, di grandi opere infrastrutturali, di reti di trasporto – c’è un consenso ampio anche nel mondo accademico.

Su altre soluzioni la scelta è rimasta aperta, anche nel lavoro dei saggi, e spetta a noi politici la decisione di cosa sia meglio oggi per il nostro Paese: questa è la responsabilità alla quale siamo chiamati.

La riforma che abbiamo presentato non è però un’approssimazione casuale: poggia su delle spalle robuste e solide; poggia su quell’approfondimento e su quella discussione tra costituzionalisti che negli ultimi 30 anni ci sono stati nel mondo politico e scientifico e che sono rimasti in un cassetto.

Ho sentito alcuni – in quest’Aula e fuori di qui – parlare di «svolta autoritaria» per questa riforma. Questa è un’allucinazione e come tutte le allucinazioni non può essere smentita con la forza della ragione, perché resta tale. Non c’è niente di autoritario nel superamento del bicameralismo perfetto, così come non c’è niente di autoritario nella riforma del Titolo V, né nell’abolizione del CNEL.

Un grande statista, che è stato anche un grande Presidente di questa Assemblea – oltre che un riferimento per tante donne e uomini della mia terra, compreso mio padre – Amintore Fanfani, ha detto una piccola grande verità e cioè che le bugie in politica non servono. Si può essere d’accordo o meno con questa riforma costituzionale; la si può votare o no; si può condividere o meno l’attività del Governo, ma parlare di svolta illiberale nel Paese per la presentazione di questa riforma è una bugia e le bugie in politica non servono.

Questo Governo ha presentato riforme strutturali al Paese e presenterà il 1° settembre il programma dei mille giorni, l’impegno, il mandato per i prossimi tre anni di legislatura. Alla scadenza elettorale naturale i partiti si organizzeranno per le votazioni, com’è sempre successo. Noi oggi, però, siamo chiamati a dare una nuova speranza al Paese.

Siamo chiamati a rendere le istituzioni vive, attuali, in sintonia con il Paese, se non vogliamo che diventino un simbolo del passato, anziché indicatori luminosi del futuro. Questa è la sfida alla quale siamo chiamati.

Sono 30 anni che prendiamo a schiaffi l’opportunità di cambiare noi per cambiare il Paese. Sono 30 anni che sprechiamo l’occasione di scommettere sul futuro. Sono 30 anni – come direbbe il poeta – che aspettiamo domani per avere poi nostalgia. Pensiamo che sia oggi il tempo delle scelte, il tempo di decidere. Nelle vostre mani, onorevoli senatori, sta non soltanto questa fondamentale riforma della Costituzione, ma forse l’ultima chance di credibilità per la politica tutta e sono sicura che nessuno di noi vorrà sprecarla.

Il 10 luglio la Commissione Affari costituzionali licenzia il testo per l’Aula.

Il 17 e 24 giugno, l’1, 2 e 8 luglio la 7a Commissione del Senato esamina il disegno di legge costituzionale (1429) recante “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione”

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE (8.7.14)

La Commissione, esaminato il disegno di legge in titolo,

considerate le norme di interesse, quali gli articoli 2, 25, 26 e 27 che incidono tanto sulla composizione del Senato quanto sul Titolo V della Costituzione;

tenuto conto che, nella sede di merito, i relatori hanno presentato delle proposte emendative che impattano sui predetti articoli, tra cui in primo luogo gli emendamenti 2.1000 e 2.0.1000 che prevedono la nomina, da parte del Presidente della Repubblica, di cinque senatori (in luogo dei 21 originari) tra i cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario;

preso atto inoltre dell’emendamento 25.1000 dei relatori, con cui viene ripristinato il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione sul regionalismo differenziato, prima sostituito invece dalla delega di funzioni legislative;

osservato che, rispetto al testo costituzionale vigente, il predetto emendamento 25.1000 conferma la possibilità per le Regioni di richiedere forme di autonomia nelle materie di legislazione esclusiva statale che attengono, secondo il testo dell’emendamento 26.1000, anche alle “disposizioni generali e comuni” sull’istruzione, all’ordinamento scolastico, all’istruzione universitaria e alla programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica, nonché alla tutela dei beni culturali e paesaggistici, alle disposizioni generali e comuni su ambiente e ecosistema, sulle attività culturali e sul turismo e all’ordinamento sportivo;

valutato dunque che detto emendamento 26.1000 conferma la soppressione della potestà legislativa concorrente, già abolita dal testo del Governo, e modifica l’elencazione delle materie di potestà legislativa esclusiva statale, inserendo all’articolo 117, secondo comma, lettera n), della Costituzione, le “disposizioni generali e comuni” sull’istruzione, e ripristinando all’articolo 117, secondo comma, lettera s), la distinzione tra “tutela” e “valorizzazione” dei beni culturali, la prima affidata attualmente allo Stato, la seconda alle Regioni;

considerato altresì che si introduce il concetto di “disposizioni generali e comuni” relative tra l’altro alle attività culturali, mentre si assegna totalmente l’ordinamento sportivo alla potestà statale, non più nella forma “attenuata” delle “norme generali sull’ordinamento sportivo”;

rilevato poi che il medesimo emendamento 26.1000 ridisegna anche la potestà legislativa regionale assegnando alle Regioni, “salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche”, la competenza legislativa “in materia di servizi scolastici, istruzione e formazione professionale, promozione del diritto allo studio, anche universitario, di disciplina, per quanto di interesse regionale, delle attività culturali, della valorizzazione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici, di valorizzazione e organizzazione regionale del turismo”;

ritenuto positivo che le proposte dei relatori attenuino la spinta centralistica contenuta nell’originario disegno di legge n. 1429;

reputato opportuno che col nuovo Titolo V sia confermato il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni atteso che, al di là delle norme scritte, ciò che conta è il mantenimento di un corretto rapporto tra i diversi livelli di governo;

condiviso pertanto il nuovo quadro della ripartizione di competenze tra Stato e Regioni così come delineato dagli emendamenti dei relatori, in quanto viene confermato l’impianto esistente sul tema dell’autonomia differenziata e viene definito un adeguato equilibrio dei ruoli, senza diminuire l’importanza del sistema regionale;

esprime, per quanto di competenza, parere favorevole con le seguenti osservazioni:

1.      con riferimento alla nomina di un contingente di senatori da parte del Presidente della Repubblica, alla luce del nuovo assetto dei poteri, si reputa che esse debbano essere ispirate da criteri di stampo esclusivamente meritocratico negli ambiti previsti dal nuovo articolo 57 della Costituzione;

2.      si rileva come le innovazioni introdotte necessitino di ulteriori specificazioni, onde scongiurare margini di ambiguità. Si invita perciò la 1a Commissione a dare molta importanza, nella stesura finale del testo, alla necessità di evitare sovrapposizioni ed indeterminatezze di ruolo e a definire tutte le attribuzioni di competenze così da non alimentare nuovi conflitti istituzionali davanti alla Corte;

3.      si raccomanda conseguentemente di valutare con attenzione i subemendamenti alle proposte emendative dei relatori proposti a questo fine dai membri della 7a Commissione, in particolare sui temi relativi all’attribuzione di competenze su istruzione, beni culturali, sport e ricerca.

Ai sensi dell’articolo 39,comma 4, del Regolamento si chiede inoltre la pubblicazione del presente parere in allegato alle relazione che la Commissione presenterà all’Assemblea.

———-

(7a Senato, 17.6.14) Il relatore MARTINI (PD) segnala che il disegno di legge n. 1429, assunto quale base dell’esame nella Commissione affari costituzionali, reca norme di competenza della 7ª Commissione per ciò che attiene alla modifica del Titolo V della parte II della Costituzione, laddove viene definito il riparto di competenze fra Stato e Regioni. In proposito fa presente che tuttavia è in corso un approfondimento nella sede di merito che porterà presumibilmente ad una modifica di tali disposizioni. Propone perciò fin d’ora di rinviare l’espressione del parere alla luce dell’andamento dei lavori nella 1a Commissione, onde conoscere meglio l’assetto che si va delineando proprio in merito al Titolo V.

Passa comunque ad illustrare il contenuto delle disposizioni  di competenza, che si suddividono a suo giudizio in due gruppi: da un lato vengono infatti modificate le norme vigenti della Costituzione relative al regionalismo differenziato, di cui all’articolo 116, comma terzo della Costituzione, e, dall’altro, si incide sulla distribuzione della potestà legislativa perciò che attiene all’istruzione, ai beni culturali e allo sport.

Con riferimento al primo aspetto sottolinea che l’articolo 25 del disegno di legge in titolo sopprime proprio il comma terzo dell’articolo 116 della Costituzione, in base al quale nelle materie di legislazione concorrente – che includono anche istruzione, ricerca scientifica e valorizzazione dei beni culturali – e nelle materie esclusive statali inerenti l’istruzione e la tutela dei beni culturali può essere attribuita maggiore autonomia alle Regioni. Ritiene però che l’eliminazione della possibilità di un regionalismo differenziato non sia totale in quanto il successivo articolo 26, comma 3, del testo in esame – nell’abrogare la competenza concorrente – stabilisce al contempo che con legge dello Stato l’esercizio della funzione legislativa, in materie o “funzioni” di competenza esclusiva statale, possa essere delegato a una o più Regioni anche su loro richiesta.

Sul piano del riparto di competenze osserva anzitutto l’introduzione del concetto di “funzione” accanto a quello di “materia”, che recepisce la giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui in molti settori esiste una sorta di “materia-funzione”, ad esempio laddove sussiste un compito di natura trasversale che lo Stato deve comunque perseguire. Dopo essersi soffermato sulla distinzione tra il concetto di norme generali e quello di principi fondamentali, ripercorre brevemente le pronunce della Corte costituzionale sulla definizione di norme generali sull’istruzione, attualmente riservate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, rilevando come sul tema sia in atto una profonda discussione tra le Regioni. Precisa altresì che, nel testo costituzionale vigente, alla potestà legislativa concorrente spetta “l’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con l’esclusione dell’istruzione e formazione professionale”, demandata alla competenza esclusiva regionale. Sul punto, prosegue il relatore, l’articolo 26, comma 3, del disegno di legge n. 1429 conferma l’attribuzione dell’istruzione e formazione professionale alla competenza esclusiva regionale della quale fa parte anche “l’organizzazione in ambito regionale dei servizi scolastici”, salva l’autonomia delle scuole. In proposito osserva che nella sede di merito sono stati presentati diversi emendamenti volti, alternativamente, ad ampliare la potestà esclusiva statale ovvero quella esclusiva regionale.

Rammenta altresì che la “ricerca scientifica e tecnologica e il sostegno all’innovazione per i settori produttivi” fanno attualmente parte delle materie di competenza concorrente, soppresse dalla proposta in esame. Nel testo proposto, pare dunque che lo Stato si riappropri della materia della ricerca, nonostante l’espressione “programmazione strategica”, utilizzata per definire gli ambiti di potestà legislativa esclusiva statale, lasci intendere solo la fissazione di indirizzi da parte statale senza escludere interventi operativi da parte delle Regioni, sulla scia di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella recente giurisprudenza.

Quanto ai beni culturali e allo sport, segnala che l’eliminazione della competenza legislativa concorrente ha come effetto principale il venir meno della distinzione, attualmente esistente, tra la “tutela dei beni culturali”, attribuita esclusivamente allo Stato e la “valorizzazione dei beni culturali”, condivisa tra Stato e Regioni. Rammenta peraltro che nell’attuale potestà legislativa concorrente rientrano anche la promozione e l’organizzazione di attività culturali nonché l’ordinamento sportivo.

Riferisce invece che l’articolo 26, comma 2, del disegno di legge n. 1429 assegna allo Stato la “materia-funzione” dei beni culturali, nonché le “norme generali sulle attività culturali, sul turismo e sull’ordinamento sportivo”. Anche in questo caso, segnala che è in corso un dialogo con le Regioni per ridisegnare la potestà legislativa esclusiva loro spettante, trattandosi peraltro di materia ancora in via di definizione.

Con riferimento all’ordinamento sportivo, ricorda che la Corte costituzionale ha ricondotto a tale materia la disciplina degli impianti e delle attrezzature sportive riconoscendo la facoltà dello Stato di determinare i principi di carattere generale della materia, che attualmente rientra nella competenza concorrente. Poiché nel testo proposto si assegna alla potestà esclusiva statale la definizione delle “norme generali sull’ordinamento sportivo”, il relatore ipotizza che tale definizione ricalchi in maniera sostanziale, seppur non formale, l’attuale assetto di competenze, nel senso che lo Stato sarà in ogni caso chiamato a definire la cornice di riferimento. Secondo questa impostazione, potrebbe pertanto mantenere una sua valenza l’attuale qualificazione, operata dalla giurisprudenza costituzionale, dei principi generali dell’ordinamento sportivo. In conclusione, ribadisce la proposta di rinviare l’espressione del parere al fine di comprendere gli indirizzi che la 1a Commissione elaborerà proprio sugli aspetti sopra descritti.