Piacente non sono io docente

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177 PIACENTE NON SONO IO DOCENTE di Umberto Tenuta

Canto 176 Non mi pagano per farmi piacere i ragazzi.

Mi pagano per impartire una lezione.

I ragazzi dovrebbero impararla.

Io dovrei impartirla.  

Loro dovrebbero impararla.

Caso chiuso.

(Assunta Cappelletti, in B.E.S. IC Torre de’Passeri-Casauria− 17 giugno 15.38.04)

 

Caso unico, caso strano?

Unico? Strano?

No, banale! Nel senso di quotidiano, di uso comune, generalizzato.

Quanti sono i docenti che fanno di tutto per farsi temere dai propri alunni?

Plagosus magister!

O addirittura per farsi odiare?

Timor dei initium sapiente!

Sembrerebbe che non ci sia altra strada, altro itinerario, altro metodo per costringere i giovani a stare seduti per ore ed ore, nei banchi ortopedici, ad ascoltare e memorizzare quanto il docente va dicendo nelle sue tre consecutive ore di lezione, esposizione, dimostrazione di lontane vicende storiche, di esoterici discorsi filosofici, di inverosimili problemi geometrici.

Impartire, imbandire, scandire una lezione.

Fare parti eguali tra diseguali.

Simposi con tavolini biposti imbanditi di cibi preconfezionati a mille chilometri di distanza.

Lezioni lette dai fogli ingialliti dall’usura che i genitori sono costretti a subire per fornire i figliuoli dei libri di testo prescritti anzitempo.

Il docente fa il suo dovere.

Le tavole sono parate.

La lezione è servita.

Io ho fatto il mio dovere.

Ora, ragazzi, imparate!

Se non imparate, le mie rampogne ascoltate.

Altro che posso fare?

Bene, lo faccio.

Le ragazze dell’ultima fila saranno interrogate.

E voi della prima fila il voto che meritano senza riserve a loro date.

Chiuso!

È finita.

È finita per voi che non avete ascoltato, che non avete rielaborato, che non avete studiato.

Potevate ascoltare in religioso silenzio, e non avete ascoltato.

Potevate riascoltare la videoregistrazione della mia lezione, e non l’avete degnata di alcuna vostra attenzione.

Ora c’è solo la punizione!

Imparate, voi, solo con la punizione.

Altro che gratificazione.

Altro che premiazione, riservata solo ai capaci e meritevoli della mia attenzione.

Questo è il gioco della scuola.

Questo è il mio gioco.

Mica il vostro gioco!

La scuola non è la casa dell’amore, nemmeno dell’amore del sapere.

La scuola è il luogo del dolore.

Per lei si va nella città dolente!

Ed io perciò sono il più bravo dei docenti.

Rendo docile ciascuno di voi, e tutti sarete miei docili studenti.

È la contraddition che nol consente?

Studio è amore, è amore del sapere, è filosofia!

Tutti lo sanno, tutti lo cantano, tutti lo osannano.

Certamente, qualcuno di voi si salva, almeno Sofia.

No, Sofia, tu non sei d’accordo, tu non sei d’accordo con me, tu stai dalla parte del tuo ammiratore, solo perchè ti dedica tutto il suo amore?

Te lo dedicava, te lo dedicava, prima di venire a questa scuola, te lo dedicava nell’altra scuola, in quella della Via Vittorino da Feltre che ha una insegna luminosa ai led con la scritta CA’ ZOIOSA?

Là promettono amore.

Lo promettono a voi giovincelli le professoresse coi pantaloncini stretti stretti.

Lo promettono a voi giovincelle i docenti insolenti che presto delle patrie galere saranno assidui clienti.

Sappiatelo bene, giovani studenti e giovani studentesse, questa non è la casa dell’amore, questa è la CASA DEL DOLORE.

Altro che amore, qui ne avrete tanto, e tanto, e tanto di dolore!

La mia grande professionalità è il DOLORE, mica l’amore!

Io non sono pagato per farmi piacere a voi.

Io sono pagato per offrirvi dolorose lezioni.

A voi il doloroso compito di prendervele tutte, di non perderne nessuna, nemmeno quelle estive da me severamente imposte.

 

REPETITA IUVANT

Mi pagano per impartire una lezione.

I ragazzi dovrebbero impararla.

Io dovrei impartirla.  

Loro dovrebbero impararla.

Caso chiuso!