ANCORA NEL RECINTO DEGLI APPESTATI?

DIRIGENTISCUOLA-CONFEDIR: LA DIRIGENZA SCOLASTICA ANCORA NEL RECINTO DEGLI APPESTATI?

Sono oggi apparsi in gazzetta ufficiale, dopo le ripuliture e gli aggiustamenti ad opera dei tecnici del Quirinale, i due decreti legge contenenti disposizioni di straordinaria necessità e urgenza, l’uno riferito alla semplificazione e trasparenza amministrativa, l’altro alle misure per favorire la competitività e la crescita.

Ma, a dodici giorni dalla fantasmatica deliberazione, da parte del Consiglio dei ministri, del presunto disegno di legge di riforma della dirigenza pubblica, siamo ancora fermi al testo apocrifo apparso su www. eticapa.it, il cui articolo 3, rubricato Dirigenza, sembra clamorosamente smentire, a dispetto dello slogan – Repubblica semplice – che lo che lo sintetizza, tutti i capisaldi siccome figuranti nelle originarie Linee guida: ripristino del ruolo unico di tutta la dirigenza pubblica manageriale, separata dai professional, e abolizione della distinzione tra prima e seconda fascia, con la correlata armonizzazione degli odierni sperequati trattamenti economici; intercambiabilità e rotazione degli incarichi in ragione delle competenze culturali e professionali di ogni dirigente e in esito a una rigorosa valutazione degli obiettivi assegnati e delle capacità organizzative dimostrate, tal che la remunerazione risulti commisurata ai carichi quali-quantitativi di lavoro ed inerenti responsabilità, ovvero a quello che il dirigente fa e non a dove lo fa!

Ora, invece, scorrendo l’articolo, composto da tre commi e il primo dei quali contiene quindici corpose lettere (a-o), pare, prima facie, che la preannunciata, ed abusata, rivoluzione sia, più che innovativa, decisamente regressiva rispetto all’ epocale riforma Brunetta, di cui alla legge delega 15/09 e susseguente d.lgs. 150/09, ma rimasta ibernata.

Vi leggiamo che:

-è sì confermata la distinzione tra dirigenti con compiti di gestione di risorse umane e finanziarie (cioè i c.d. dirigenti manageriali o dirigenti stricto iure) ed esperti con specifiche (e indeclinate) professionalità, ma in prosieguo appare un profluvio di figure dirigenziali, più o meno in corrispondenza delle sette differenziate qualificazioni dell’onnicomprensivo termine di pubblica amministrazione. Così, accanto ai dirigenti delle amministrazioni centrali, degli enti pubblici non economici e delle agenzie ex d. lgs. 300/99, vi sono i dirigenti regionali, i dirigenti apicali degli enti locali, i dirigenti degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale, distinti in dirigenti amministrativi, in dirigenti tecnici (che, sempre stricto iure, dirigenti non sono, perché non preposti alla conduzione di strutture organizzative, ovvero non aventi compiti di gestione di risorse umane e finanziarie, se non in maniera marginale ed in via eventuale), in dirigenti professionali (presumibilmente quei centoventimila degli attuali centotrentamila medici e/o appartenenti ai ruoli sanitari regionali la cui funzione, squisitamente professionale, attiene, in misura preponderante se non esclusiva, a decisioni di natura clinico-assistenziale);

-il ruolo unico, incardinato nella Presidenza del consiglio, seguito dall’abolizione delle due fasce, è circoscritto ai dirigenti delle amministrazioni centrali (che dovrebbero comprendere i dirigenti tecnici del MIUR, già ultraspecifici ispettori scolastici), degli enti pubblici non economici e delle menzionate agenzie.

Solo per loro vale l’ordinaria mobilità nei diversi settori delle amministrazioni statali, in orizzontale e in verticale; così come solo per loro vale l’omogeneizzazione delle retribuzioni nell’ambito del ruolo unico, in esito alla riparametrazione di tutte le voci retributive. Per contro, mette conto aggiungere, solo loro sarebbero incisi da una valutazione non positiva, comportante il demansionamento, con la destinazione ad attività di supporto, ed infine il licenziamento se privi d’incarico al termine del periodo massimo di messa a disposizione;

-contrariamente ad una dirigenza che si voleva sempre più qualificata e meritocratica, al riparo dei condizionamenti politici, ne viene accentuata la gerarchia interna, reso più facile lo spoils system e ampliata la possibilità di ricorrere ad incarichi esterni, senza la previa verifica della disponibilità di dirigenti di ruolo aventi le corrispondenti competenze;

dulcis in fundo, dai ruoli unici, e dai connessi istituti or ora sunteggiati, è esclusa la dirigenza scolastica, nei cui confronti la cennata riforma Brunetta sembrava invece contenere una pur indiretta apertura, nel segno di una dirigenza normale, per avere esplicitamente prefigurato una specialità esclusivamente per la dirigenza della Presidenza del consiglio e per quella medica: nel senso di dirigenze forti, non già di dirigenze farlocche.

Il dato testuale appare inoppugnabile nel non considerare quella scolastica come dirigenza manageriale a tutto tondo, così come essa effettivamente è ex lege, e come tale riconosciuta dalle giurisdizioni superiori (Corte dei conti-Sezioni riunite di controllo, Adunanze del 7 aprile 2006 e del 14 luglio 2010, rispettivamente per la certificazione del CCNL 2002-2005 e del CCNL 2006-2009; Consiglio di Stato, Comm. Spec. P.I., n. 529 del 16 ottobre 2003); che possiede ed esercita generali competenze di tipo giuridico-istituzionle, competenze afferenti alle scienze dell’amministrazione, competenze di leadership organizzativa estrinsecantesi nella capacità di conseguire gli obiettivi coinvolgendo e motivando professionisti dell’educazione-istruzione-formazione; che è molto più complessa e più carica di responsabilità, giuridiche e sociali, delle tante attuali e debordanti figure dirigenziali quoad – più che doppia – pecuniam; che, infine, richiede per accedervi il superamento di un, più gravoso, concorso di secondo grado.

Sembrerebbe, allora e sempre, preclusa ai cirenei aventi l’unica colpa di provenire dalla docenza, ogni possibilità di uscire dal recinto degli appestati, in cui – sin dall’acquisizione di un’aggettivata altisonante, ma vacua, qualifica – sono stati reclusi (o si sono auto reclusi?) a contemplare la loro ineffabile specificità ad imbuto.

Sicché, non solo avranno precluso qualsivoglia percorso di carriera, ma non potranno – se addottorati in discipline artistiche, letterarie o filosofiche – aspirare, secondo criteri di banale normalità, ad un incarico di pari livello nel Ministero dei beni culturali, o – se laureati in materie economiche – nel MEF, o – se in possesso di laurea in giurisprudenza e affini – nel MAE o nel Ministero degli interni, o ancora – se di formazione sociologica, psicologica, pedagogica – nel Ministero della salute o nel Ministero del lavoro e politiche sociali, ovvero e latamente nelle strutture pubbliche dei servizi alla persona.

E’ la maledizione dell’ – inemendabile? – vizio d’origine di una dirigenza normata – in evidente distonia con la generale disciplina contenuta nel d.lgs. 29/93, come novellato dalla legge 59/97 – da una fonte abusiva e tracimante, nella sostanza frutto della riformulazione dell’articolo 32 del contratto nazionale di lavoro del comparto scuola, sottoscritto il 4 agosto 1995, in un assetto ordinamentale pre-autonomistico e all’epoca comprendente i presidi e i direttori didattici, ma non più gli ispettori tecnici, uscitine nel 1989 dopo l’acquisizione della qualifica dirigenziale, per essere collocati nell’area prima dei dirigenti ministeriali. Contratto che ha preteso – riuscendovi – di creare una distinta area della specifica dirigenza scolastica nell’ambito del comparto scuola, non assimilabile alla dirigenza (la generale dirigenza pubblica, inclusi i già ispettori scolastici) regolata dal d.lgs. 29/93.

Dovremmo pertanto farcene una ragione, come direbbe il nostro Presidente del consiglio?

Ma sempre in nostro Presidente del consiglio, che in cima al suo programma di governo ha posto il valore strategico della scuola e ha affermato che i docenti (estensivamente, crediamo, i professionisti che vi operano) hanno stipendi ridicoli o quasi, dovrebbe essere sensibile anche alle ragioni della sua dirigenza: che non domanda privilegi bensì equità, semplicemente non volendo permanere nel suo status di figlia di un dio minore.

Non sarebbe quindi da escludersi che la ministra Madia, nell’impostare la sua riforma, abbia voluto riservarsi un trattamento migliore per una dirigenza che produce cultura, formazione, uomini e cittadini; mentre la dirigenza normale produce pratiche, carte e provvedimenti amministrativi.

Le chiederemo, perciò, un incontro ufficiale e urgente per saperlo dalla sua viva voce, sebbene – ancor prima – dovremmo chiederlo alla sua collega Giannini, che nelle irrefrenabili quotidiane dichiarazioni all’universo mondo dei mass media non ha mai speso una sola parola sulla dirigenza scolastica.

E ci piacerebbe essere affiancati, e sostenuti, sia dai sindacati del comparto scuola, ai quali la categoria ha attribuito la maggioranza assoluta della propria rappresentanza, sia dal sindacato più autorevole e, relativamente, più rappresentativo della dirigenza scolastica. O, almeno, ci aspettiamo che battano un colpo.