A proposito dell’orario di lavoro dei docenti, per una rivoluzione ragionevole

A proposito dell’orario di lavoro dei docenti, per una rivoluzione ragionevole *

di Andrea Avon

 

Nell’ultima parte della scorsa Legislatura (novembre 2012) è balzata agli onori della cronaca l’ipotesi governativa di aumentare unilateralmente l’orario settimanale di docenza degli insegnanti di Scuola Secondaria, portandolo da 18 a 24 ore. La proposta non ha avuto successo, prefigurando un’intollerabile assegnazione di ben 12 classi ad un insegnante (conseguenza che avrebbe riguardato i docenti di discipline con 2 ore settimanali di lezione), ma ha avuto il merito di inserire nell’agenda della prossima tornata contrattuale la necessaria rielaborazione della disciplina dell’orario di lavoro dei docenti.

La verità inconfessabile: retribuzione senza prestazione

A parere di chi scrive non vi è alcuna necessità di modificare unilateralmente il dettato contrattuale in argomento, essendo sufficiente riprendere in mano il vigente C.C.N.L. per confrontarlo con lo specchio della realtà, in nome degli ordinari principi della logica e della coerenza giuridica in materia di diritto del lavoro.

L’art.28 del Contratto distingue le prestazioni dovute da parte dei docenti per “attività di insegnamento” da quelle “funzionali” all’insegnamento. Le prime vengono quantificate in modo differenziato tra i vari ordini di scuola su base settimanale (25 per la Scuola dell’Infanzia, 22 più 2 di programmazione per la Scuola Primaria, 18 per la Scuola Secondaria di I e II grado). Il C.C.N.L. non precisa per quante settimane all’anno vanno garantite le prestazioni di insegnamento, limitandosi ad inquadrarle “nell’ambito del calendario scolastico” regionale.

Sulla base dei calendari disposti dalle diverse Regioni negli ultimi anni i docenti di Scuola dell’Infanzia prestano il proprio orario di insegnamento per 36 settimane all’anno mentre i colleghi della Scuola Primaria e della Scuola Secondaria lo fanno per 33-34 settimane.Va rilevato che nella Scuola Secondaria puòessere stimato un ulteriore impegno individuale di circa 2-3 settimane per lo svolgimento degli Esami di Stato (che non impiegano la totalità dei docenti e vedono un’anomala retribuzione aggiuntiva per i soli insegnanti del II grado).

Si può quindi affermare che la generalità dei docenti italiani ottempera ai propri obblighi di insegnamento mediamente per 36 settimane all’anno. Tale semplice considerazione di fatto deve tenere conto che su 52 settimane che compongono l’anno solare 6 corrispondono alle ferie spettanti e 2 possono essere ascritte alla sommatoria delle “feste comandate”, con un conseguente buco di 8 settimane (52 settimane – 36 – 6 – 2 = 8 settimane): in pratica per circa due mesi all’anno i docenti vengono regolarmente retribuiti senza prestare alcuna attività di insegnamento.

Nell’ambito di tali 8 settimane di mancato insegnamento rientra la prima quindicina del mese di settembre, periodo nel quale gli Organi Collegiali cominciano a riunirsi per impostare l’avvio dell’anno scolastico. Tra le 36 settimane sopra conteggiate “di insegnamento” rientrano invece per tutti anche gli ultimi 15-20 giorni del mese di giugno, durante i quali vengono svolte anche sedute degli Organi Collegiali conclusive dell’anno scolastico. Da tali elementi può essere quindi tratta la conseguenza che mediamente per almeno 6 settimane all’anno tutti i docenti italiani di ruolo percepiscono regolarmente lo stipendio senza offrire alcuna prestazione lavorativa.

Una scontata conseguenza di tale situazione è costituita dal teatrino amministrativo costituito dall’annuale richiesta delle ferie estive da parte del personale docente (regolata dall’art. 13 del C.C.N.L.): ognuno è infatti tenuto a formalizzare una richiesta di fruizione delle ferie non godute in corso d’anno (che possono essere già state fruite per un massimo di sei giorni di lezione, con la rigorosa prassi di non richiedere mai alcun giorno di ferie durante le sospensioni delle lezioni – Natale, Carnevale, Pasqua, Elezioni, etc. -). Si assiste quindi nei mesi di luglio e agosto all’imbarazzante finzione della richiesta delle ferie per qualche settimana, mentre in realtà ciascun docente starà lontano dal luogo di lavoro per almeno nove settimane di fila.

Quanto sin qui riportato costituisce esclusivamente un’analisi di dati di fatto, incontestabili e forse inconfessabili, che possono rappresentare una delle basi di partenza per riconsiderare in modo complessivo la disciplina dell’orario annuale di lavoro dei docenti della scuola italiana.

 

L’altra faccia della medaglia: grandi fatiche e prestazioni diversificate

Nelle 38 settimane annuali in cui i docenti lavorano (33-34 di insegnamento nella Scuola Primaria o 36 di insegnamento/Esami negli altri ordini di scuola e, rispettivamente, altre 4-5 o 2 di non insegnamento), essi sono tenuti a garantire, in base al C.C.N.L., una serie innumerevole di prestazioni:

–       40 ore di Consiglio di Intersezione/Interclasse/Classe (art.29);

–       40 ore di Collegio dei Docenti (art.29 );

–       i rapporti individuali con famiglie e studenti nel numero di ore fissato dal Consiglio di Istituto (art.29);

–       la preparazione delle lezioni e delle esercitazioni nel numero di ore necessario (art.29);

–       la correzione degli elaborati nel numero di ore necessario (art.29);

–       lo svolgimento degli scrutini con la compilazione dei relativi atti di valutazione nel numero di ore necessario (art.29);

–       5 minuti di vigilanza precedenti l’inizio delle lezioni e l’assistenza degli alunni al momento dell’uscita, quotidianamente (art.29);

–       ogni altra attività necessaria di programmazione, progettazione, ricerca, valutazione, documentazione, studio e sistematizzazione della pratica didattica, aggiornamento e formazione prevista dagli ordinamenti scolastici (artt. 27 e 29).

Tali prestazioni rientrano nel concetto di “funzione docente”, introdotto dal Contratto del 1988 (che allora aveva la forma del Decreto del Presidente della Repubblica), per la quale venne introdotto un considerevole incremento retributivo, superiore al 10%, da allora sempre confermato nelle diverse tornate contrattuali successive. Si tratta, quindi, di prestazioni particolarmente gravose, ricomprese a pieno titolo nella retribuzione mensilmente percepita dai docenti.

L’intero complesso delle prestazioni di insegnamento e di quelle relative alla funzione docente si caratterizza inoltre da una diversa intensità di lavoro, che risale alle motivazioni ed alle caratteristiche culturali e professionali proprie di ciascun singolo docente: in particolare gli sforzi di ideazione e valutazione didattica e la relazione formativa con alunni e famiglie risultano evidentemente di entità quantitativa molto diversa tra docenti impegnati al massimo nel perseguire il successo formativo dei propri allievi e colleghi invece più propensi ad un ruolo di spettatori dei vari percorsi di crescita.

In realtà tali sottili e fondamentali differenze di atteggiamento professionale non possono trovare formali distinzioni in sede contrattuale, se non nella parte dedicata al codice disciplinare: prestazioni di qualità devono essere ordinariamente pretese da parte del personale ed eventuali carenze a riguardo non possono che sottostare al rigoroso setaccio della rispondenza o meno ai doveri professionali.

Altri fattori che possono differenziare le prestazioni degli insegnanti, con particolare riferimento a quelle relative alla funzione docente, afferiscono alle distinzioni ipotizzabili tra i diversi profili professionali presenti nella categoria: si ritiene generalmente che il peso di “preparazione e correzione” delle attività didattiche sia inferiore per i docenti di Scuola dell’Infanzia e per gli insegnanti di alcune discipline che non prevedono esercitazioni scritte.

Nel caso della Scuola dell’Infanzia va rilevato innanzitutto che un eventuale minor carico relativo alla “funzione docente” viene compensato dalla maggiore entità dell’orario settimanale di insegnamento e da un calendario scolastico mediamente prolungato per 2-3 settimane all’anno. Per i docenti di alcune discipline (in particolare nella Scuola Secondaria) nelle quali si riscontra un minor numero di esercitazioni da preparare e correggere va invece rilevato che tali insegnanti sono generalmente impegnati in misura molto più cospicua nel ricevimento e nelle attività collegiali della decina di Consigli di Classe di cui fanno parte.

Sull’argomento, tuttavia, va evidenziato soprattutto che un docente serio, qualsiasi sia la disciplina di insegnamento o l’ordine scolastico di appartenenza, dedica un gran tempo alla preparazione delle esercitazioni/attività ed altrettanto alle rilevazioni emergenti, utili per le osservazioni e le valutazioni del caso.

Ancora una volta, quindi, le supposte differenze di fatica professionale richiesta dal Contratto ai diversi profili della docenza appaiono non particolarmente rilevanti sotto l’aspetto contrattuale, che giustamente ne parifica le responsabilità; il ruolo unico dei docenti può apparire quindi un orizzonte ragionevole, nel quale risolvere anche l’inspiegabile differenziazione retributiva e di orario settimanale di insegnamento tra docenti dei diversi ordini scolastici (permangono infatti un numero sensibilmente minore di ore di lezione ed una maggior retribuzione per i docenti di Scuola Secondaria anche nell’attuale situazione, in cui non vi è più alcuna differenza di titolo di studio d’accesso ai diversi profili di insegnamento).

 

Alla ricerca di un equilibrio contrattuale

L’elemento da ultimo segnalato, costituito dal necessario graduale orientamento verso un quantum orario ed un livello retributivo omogenei tra i docenti dei diversi ordini di scuola, appare molto delicato e complesso. Si ritiene vada affrontato nel medio periodo, tenendo conto delle ineliminabili connessioni con l’orario settimanale ed il calendario scolastico previsti per gli allievi dei diversi ordini, evitando rivolte socio-professionali e contraccolpi economici non sostenibili per le casse dello Stato: appare necessario indirizzarsi verso un orario comune (su base annuale) delle ore di insegnamento (con possibili leggere distinzioni debitamente motivate), generalizzando gli impegni minimi di programmazione collegiale settimanale, non prima però di essere intervenuti seriamente sulle finzioni contrattuali sin qui denunciate.

Per una risistemazione della disciplina contrattuale dell’orario di lavoro degli insegnanti la prima mossa indispensabile è infatti rappresentata dalla necessità di considerare a livello annuale il complesso degli impegni professionali: nel confronto con le altre categorie di lavoratori non appare più sostenibile mantenere la classe degli insegnanti in una posizione retribuita anche nei periodi in cui non viene effettuata alcuna prestazione.

In tale ambito può essere riconosciuto che i docenti siano soggetti ad una particolare usura psico-fisica, inevitabile per sostenere sempre il confronto formativo con alunni e famiglie ai massimi livelli di efficienza; di conseguenza può essere accettata l’idea che all’eccellenza delle prestazioni (di cui evidentemente bisogna rendere conto) risultino funzionali frequenti periodi di sospensione. In base a tali considerazioni possono essere valutate come salutari le periodiche pause didattiche (feste comandate, eventuali ponti,interruzione delle lezioni per Natale, Carnevale, Pasqua, Elezioni e nei mesi estivi): in modo corrispondente, però, le prestazioni retribuite ma non rese nelle giornate lavorative comprese in tali periodi vanno evidentemente redistribuite sulla restante parte dell’anno solare.

 

Prime prospettive per un graduale riordino dell’orario di lavoro dei docenti

Senza intervenire in modo traumatico sulla base oraria settimanale delle ore di insegnamento dovute da parte dei docenti dei diversi ordini di scuola, appare quindi possibile sin d’ora dare applicazione alle vigenti previsioni del C.C.N.L. con il correttivo della loro distribuzione sull’intero anno solare.

Si tratterebbe di esplicitare nell’imminente tornata di rinnovo contrattuale che il quantum settimanale di ore di insegnamento va calcolato su base annuale, ricomprendendovi cioè un numero di settimane di lavoro non prestato, da ridistribuire nell’arco dei restanti mesi, dando applicazione ad una disciplina che mantenga in equilibrio le ragioni di unitarietà del sistema e le opportunità che si vogliono offrire all’Autonomia scolastica.

Abbiamo visto in precedenza che le settimane nelle quali in un anno i docenti non offrono alcun servizio ma vengono regolarmente retribuiti (dopo aver fruito delle ferie e delle altre garanzie contrattuali) sono quanto meno 6, in tutti gli ordini scolastici; in ciascuna di esse attualmente non vengono prestate 25 ore di insegnamento nella Scuola dell’Infanzia, 22 nella Scuola Primaria e 18 nella Scuola Secondaria.

Se si volesse procedere per gradi, si potrebbero richiedere tali prestazioni in una prima fase nella misura corrispondente a 3 settimane di lavoro all’anno (già retribuite). In tal modo, tenendo presente che la parte economica del Contratto considera 1 ora di insegnamento equivalente a 2 ore di non insegnamento, da subito si potrebbe contare per ciascun docente sulle seguenti risorse orarie:

–   Scuola dell’Infanzia: annualmente 75 (=25×3) ore di insegnamento o 150 di non insegnamento (o un mix equipollente tra le due tipologie orarie).

–   Scuola Primaria: annualmente 66 (=22×3) ore di insegnamento o 132 di non insegnamento (o un mix equipollente tra le due tipologie orarie).

–   Scuola Secondaria: annualmente 54 (=18×3) ore di insegnamento o 108 di non insegnamento (o un mix equipollente tra le due tipologie orarie).

Le risorse in tal modo disponibili sarebbero una manna per rispondere a numerosissimi punti critici dell’attuale ordinamento: le compresenze necessarie per il lavoro a gruppi nella Scuola dell’Infanzia e nella Scuola Primaria (da estendere anche nella Scuola Secondaria), le supplenze orarie interne (quanto meno per eliminare le pluri-dannose distribuzioni degli alunni scoperti tra le varie classi), il confronto collegiale programmato tra colleghi di classe (fortemente deficitario soprattutto nella Scuola Secondaria, in ore di non insegnamento), il rinforzo di gruppi di ricerca – coordinamento didattico (anch’esso in orario di non insegnamento) e così via.

Naturalmente se si volesse completare l’opera in una seconda fase nella quale richiedere le prestazioni non rese anche per le restanti 3 settimane annuali, le risorse così a disposizione verrebbero a raddoppiare, senza costi aggiuntivi per lo Stato.

 

Vie d’uscita per amore della verità e per rivendicare la dignità professionale

Prospettare soluzioni come quelle sin qui descritte significa esprimere la volontà di dare piena attuazione alle vigenti disposizioni contrattuali, facendo venir meno una finzione che ha sempre caratterizzato il rapporto di lavoro degli insegnanti.

Anche le migliori espressioni della qualità docente, fortunatamente numerose, stanno pagando nella nostra società un discredito che deriva sicuramente dal mancato intervento disciplinare nei casi di prestazioni scadenti, ma che è almeno in parte dovuto anche alla vox populi che accusa la categoria di godere di un numero eccessivo di giornate di lavoro retribuite pur in assenza di prestazioni.

Eliminare la fondatezza di tali posizioni indiscriminate (attraverso una puntuale ed integrale applicazione delle previsioni contrattuali) significherebbe poter confinare le critiche rivolte alla categoria alle sole situazioni concrete di disservizio, quando cioè diverrebbe possibile distinguere le personali responsabilità dei docenti in fallo e dei rispettivi dirigenti.

Oltre all’auspicato recupero della credibilità professionale della classe degli insegnanti, non più criticabili per un iniquo sconto di prestazioni lavorative, le misure qui proposte consentirebbero al contempo di fornire al sistema una formidabile entità di risorse umane aggiuntive, equamente dovute in identica misura su tutto il territorio nazionale, ma opportunamente modulabili da parte di ciascuna istituzione scolastica autonoma. Competerebbe infatti a ciascun Collegio dei Docenti (con il decisivo ruolo dei dirigenti scolastici) determinare per ciascun docente, in una visione organizzativa di sistema, la distribuzione delle prestazioni dovute tra ore di insegnamento e ore di non insegnamento ed i relativi campi di intervento. La tanto bistrattata autonomia riceverebbe così una potente iniezione di risorse e di corrispondenti responsabilità ideative e realizzative, tutti elementi necessari per iniziare a compiere il salto di qualità atteso da anni.

Una ricalibratura del Contratto nazionale per l’attuazione dell’orario di lavoro su base annuale consentirebbe infine di creare le condizioni per il successivo passaggio al ruolo unico dei docenti, con carichi lavorativi e retribuzione omogenei.

Una volta entrati nell’ordine di idee di rivedere l’entità quantitativa complessiva delle prestazioni dovute, potrebbe essere posta come base di calcolo settimanale per l’intera categoria lo schema delle 20 ore di insegnamento + 2 di programmazione collegiale (da ridistribuirepoi sull’intero anno solare, come sopra descritto), fermi restando i doveri professionali attinenti alla “funzione docente”. A tale riferimento di ordine generale potrebbero essere apportati i necessari correttivi: per esempio il surplus di fatiche richiesto ai docenti di Scuola Secondaria (le 2-3 settimane da spendere per gli Esami di Stato) potrebbe tradursi nella riduzione della base di calcolo settimanale al modello 18 ore + 2, eliminando naturalmente ogni residua indennità aggiuntiva. Contemporaneamente per gli insegnanti di Scuola dell’Infanzia l’oggettivo minor carico relativo agli impegni di valutazione formale ed alla preparazione grafica del materiale didattico necessario per le esercitazioni potrebbero comportare l’adozione del modello 22 ore + 2.

La nuova uniformità retributiva dovrebbe essere ricalibrata in sede di rinnovo contrattuale, per esempio con un aumento medio generalizzato del 5% annuale, nettamente ricompensato per le casse dello Stato dalle ben maggiori prestazioni rese. La misura potrebbe essere sarebbe salutata con favore da gran parte della categoria e contemporaneamente si potrebbe contare sulle risorse necessarie per colmare le attuali carenze più evidenti nell’organizzazione scolastica. In tutti gli ordini scolastici si recupererebbero in termini orari le risorse perdute con la graduale eliminazione del Fondo di Istituto, indispensabili per assicurare le prestazioni di coordinamento interno; nelle Scuole dell’Infanzia e Primarie le “ore non prestate” (per 6 settimane all’anno) consentirebbero un considerevole aumento delle possibile lavoro per gruppi mentre nelle Scuole Secondarie, oltre a detto vantaggio, si potrebbe finalmente contare sugli obblighi contrattuali necessari per assicurare l’indispensabile collegialità dell’azione dei Consigli di classe, il relativo coordinamento ed il superamento delle annose difficoltà relative alle supplenze interne.

Ciascun dirigente ed ogni Istituto, infine, sarebbero tenuti a sostenere una concreta prova di Autonomia, in quanto dovrebbero trovare il miglior modo per l’impiego di risorse effettivamente disponibili per dare tangibili risposte alle esigenze organizzative e formative emergenti nel proprio contesto.

 

* Lo scorso anno, sul n.11/2013 della rivista “Dirigere la scuola” è stato pubblicato un contributo dello scrivente sul tema dell’orario di lavoro dei docenti. Nell’estate 2014 l’argomento è ritornato d’attualità e, su gentile concessione di Euroedizioni, viene qui riproposto quell’articolo, dal titolo L’orario di lavoro annuale dei docenti, tra fatiche e finzioni contrattuali: cambiamenti per rilanciare la scuola dell’Autonomia”