Non più “diversi”
di Antonio Stanca
Eduardo Savarese è nato a Napoli nel 1979, è magistrato e studioso di Diritto Internazionale. Già a ventisette anni, nel 2006, ha cominciato a scrivere di narrativa con il racconto Cicatrici inserito nella raccolta La città difficile, Edizioni Ippogrifo. Sono seguiti altri racconti che in altre raccolte sono stati compresi. Savarese vive a Napoli, si adopera per i diversamente abili tramite corsi di scrittura creativa ed altro segnale del suo interesse per chi è “diverso”, del suo impegno a procurare ai “diversi” un valore, un’identità è l’ampio saggio del 2009 circa il travestitismo nell’opera lirica.
Il suo primo romanzo, L’amore assente, è comparso nel 2010 ed è stato finalista al Premio Italo Calvino. L’opera, rielaborata, diventerà nel 2012 il romanzo Non passare per il sangue. Ora, ad Aprile del 2014, all’età di trentacinque anni Savarese ha pubblicato, presso le Edizioni E/O di Roma, un altro romanzo Le inutili vergogne, pp. 227, € 16,50. Come nelle opere precedenti anche in questa l’autore dice di persone “diverse”, della loro “diversa” condizione sociale, sessuale, fa capire che queste diversità possono, devono essere accolte e non respinte, che queste persone hanno diritto ad essere riconosciute, a stare, a vivere insieme alle altre, a valere come le altre.
In Le inutili vergogne la situazione si fa più articolata, più complicata rispetto alle altre narrazioni. Anche qui ritorna il tema della vita di un omosessuale, il protagonista Benedetto de Notaris, ginecologo cinquantenne che proviene da un’antica, ricca e nobile famiglia napoletana, che a Napoli, in ospedale, svolge il suo lavoro. Molte, diverse saranno le circostanze nelle quali lo scrittore lo mostrerà, molti, diversi i piaceri omosessuali, gli amanti che gli farà cercare. Ma insieme alla sua vita, ai suoi pensieri, ai suoi “vizi”, Savarese mostrerà la vita dei suoi famigliari a Napoli e quella di tante altre persone legate a Benedetto ed ai suoi da quando avevano perso prematuramente il padre. In ogni posto del circondario napoletano lo scrittore farà scoprire loro parenti, amici, ovunque li farà vedere conosciuti, stimati e soprattutto presso gli ambienti religiosi, i centri di assistenza perché avevano fatto opere di beneficenza. Un’ampia costruzione risulterà il romanzo, un movimento continuo, incessante lo percorrerà, luoghi, tempi, avvenimenti vicini e lontani, passati e presenti, vecchi e nuovi lo animeranno, una lingua agile, svelta nel passare tra tante situazioni lo caratterizzerà.
Parallelamente alla vicenda principale, quella di Benedetto, della sua vita, della sua gente, dei suoi posti, dei suoi “amori”, Savarese fa scorrere, in carattere corsivo, l’altra di una sua zia, Gilda, morta in solitudine dopo un’esistenza travagliata che l’aveva fatta apparire strana, “stonata” agli occhi della gente. Nelle parti dell’opera a lei dedicate si ripercorre brevemente la sua vita, dai primi tempi nella casa della famiglia de Notaris, dai rapporti innocenti, affettuosi con il bambino Benedetto ai tempi degli studi universitari, della laurea, del matrimonio col medico ospedaliero Renato, del difficile rapporto conseguito, dell’amore sempre crescente per il giovane infermiere Ottavio mentre l’Europa veniva devastata dalla seconda guerra mondiale, della perdita prima del marito, poi dell’amante, della condizione di solitudine nella quale si era venuta a trovare e nella quale aveva scelto di continuare a vivere, del dramma che aveva sofferto per aver tradito Renato, della definitiva redenzione che aveva pensato di poter ottenere scrivendo le sue meditazioni e paragonandole alle verità della religione cristiana, cioè capaci di spiegare, accogliere anche quanto sembra colpa, peccato poiché è parte della vita, è uno dei suoi tanti aspetti, dei suoi tanti modi di essere.
Più lungo, più travagliato sarà il percorso che Benedetto dovrà compiere prima di sentirsi assolto dai suoi “peccati”. Quella di Gilda è una vita trascorsa della quale lei ricorda, quella di Benedetto una vita che si sta svolgendo alla quale lui partecipa, la prima risale agli anni ’40 e di essa non si dice molto, la seconda agli ultimi anni del secolo scorso ed è rappresentata in ogni minimo particolare. Ad unire le due vite c’è stata la donazione di oggetti sacri che la zia ha fatto al nipote. Ma è successo quando lei, invecchiata, era pervenuta alla purezza, alla salvezza tramite la fede mentre Ottavio era ancora giovane e soltanto visioni, voci misteriose gli procuravano quegli oggetti. Motivo di travaglio, di tormento gli erano perché sempre in contrasto li vedeva con la ricerca dei suoi piaceri, di quanto lo attraeva, lo seduceva. Anche padre Vittorio, il religioso amico e confessore di Ottavio, rappresenterà un ostacolo, un problema per le sue tendenze e mai si giungerà ad una qualche soluzione. Un pervertito si convincerà di essere, tra pervertiti penserà di dover vivere, alla perversione di doversi rassegnare.
Saranno, tuttavia, quelle immagini, quelle parole misteriose che provengono dai doni della zia ad avviare in lui un cambiamento, a fargli ritenere “inutili” le sue “vergogne”, a mostrargliele come una delle tante possibilità di essere, di vivere. Infine anche per lui, come per la zia, saranno la religione, la fede a fargli credere di potersi salvare, di potersi considerare uguale agli altri nonostante i suoi “vizi”. Saranno le Sacre Scritture a svelargli che ogni cosa dell’uomo è pure di Dio, che non è solo l’uomo a volerla ma anche Dio e che la sofferenza vale per il bene degli altri come era successo con Cristo.
Tra sacro e profano si muove in continuazione il Savarese di questo romanzo e al primo giunge ad assegnare il compito di comprendere il secondo, la virtù giunge a mostrare capace di contenere il vizio.
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