Dalla parte degli “esclusi”: A Sud
con Riccardo Cucciolla e Matteo Salvatore
di Carlo De Nitti
Tramandare storie di vita, pensieri, idee, visione del mondo delle classi subalterne è sempre stata storicamente impresa ardua se non impossibile, essendo l’unico veicolo della cultura popolare l’oralità, la trasmissione oro-auricolare. Il mondo contadino meridionale e pugliese non ha fatto e non fa eccezione rispetto a tutti gli altri sud del mondo al punto da apparire ab extrinseco, muto.
Raccontare ‘il lungo silenzio’ della cultura contadina è l’obiettivo che si è posto Giovanni Rinaldi – esperto di cultura orale, autore di interessanti ed importanti ricerche in campo demo-antropologico – curando A Sud. Il racconto del lungo silenzio, recentissimamente pubblicato a Roma dalla casa editrice Squilibri. Un volume di cui è parte integrante uno splendido CD. “Un silenzio che si tentava di rompere, con la ricerca e la documentazione di feste, cerimonie e rituali popolari, con i loro canti devozionali, le pratiche magico-religiose, gli ex voto per grazia ricevuta” (p. 11).
Nel volume e nel CD, si trova il resoconto vocale di una performance vocale polifonica, che si tenne a Bari il 14 gennaio 1978, presso la Biblioteca Provinciale ‘De Gemmis’, a margine della mostra Puglia ex voto, promossa e curata da Emanuela Angiuli, di cui Giovanni Rinaldi è stato testimone diretto: il grande attore teatrale e cinematografico (chi, avendone l’età, non serba memoria della su partecipazione al film del 1973 di Florestano Vancini, Il delitto Matteotti, in cui impersonava A. Gramsci?) barese Riccardo Cucciolla (Bari, 1924 – Roma, 1999), il cantastorie garganico Matteo Salvatore (Apricena, FG, 1925 – Foggia, 2005) ed il fotografo barese Paolo Longo intrecciano parole, suoni ed immagini in uno straordinario documento che, oggi, trentasei anni dopo, non è possibile non definire storico: evocativo di esperienze individuali e collettive che mai avevano avuto modo di essere diffuse e conosciute.
Un evento straordinario in una temperie storica, culturale, economica, politica tutt’affatto diversa dall’attuale: come non ripensare, evocando il 1978, alla stagione del terrorismo che raggiunse il suo culmine con l’assassinio di Aldo Moro (1916 – 1978), ai governi di “solidarietà nazionale”, all’elezione di Sandro Pertini (1896 – 1990) al Quirinale, ai due Conclavi (che elessero rispettivamente al soglio pontificio Albino Luciani, prima e dopo poco più di un mese Karol Woytila)?
In un momento storico-politico in cui nessuno dei grandi partiti di massa, con ruoli diversi, era escluso dal governo del Paese e, quindi, le masse erano ‘nello Stato’ era, probabilmente, il momento migliore per riflettere sulla cultura contadina in tutto il Paese: come non rammemorare che, proprio nel 1978, il regista bergamasco Ermanno Olmi, realizzò il film L’albero degli zoccoli – considerato dalla critica il suo capolavoro assoluto – che vinse la Palma d’oro al 31° Festival di Cannes? Senza contare in tutt’altra prospettiva, l’attenzione che alla civiltà contadina aveva prestato, due anni prima, Bernardo Bertolucci con il suo film Novecento…
Raccontare il lungo silenzio non era, e non è, finalizzato – illo tempore, ma anche oggi – alla creazione di una ‘vetrina’ (una sorta di marketing territoriale ante litteram) ma a dare voce, corpo e spazio alla testimonianza di istanze sociali e politiche individuali e collettive delle classi subalterne, storicamente escluse dalla Storia e dallo Stato (‘di classe’, si sarebbe detto un tempo), che le vede come a sé antagoniste in quanto minacciato nei suoi privilegi delle sue classi dirigenti. “E’ fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi/ con i panni e le scarpe e le facce che avevamo” (p. 15), così recitava Riccardo Cucciolla i noti versi di Rocco Scotellaro.
Anche al ricercatore etnologo le persone materia del suo studio possono apparire come qualcosa di ‘sostanzialmente convenzionale’ – come spiega il grande etnologo Ernesto De Martino (1908 – 1965), ma “io entravo nelle case dei contadini pugliesi come un ‘compagno’ […] che vuole rendersi partecipe, insieme agli uomini incontrati della fondazione di un mondo migliore” (p. 15).
In una stagione di grande engagement politico, quale quella degli anni ’70 del secolo scorso, tre uomini del sud, tre intellettuali pugliesi, si incontrano per dare voce a chi una voce non l’aveva mai avuta. Così vengono ascoltati autori come Rocco Scotellaro (1922 – 1953) – il poeta contadino, sindaco per una breve stagione del suo paese, Tricarico, in Basilicata – Ernesto De Martino, il politico meridionalista (e non soltanto) Tommaso Fiore (1884 – 1973), con l’accompagnamento di un cantastorie come Matteo Salvatore.
Giovanni Rinaldi, con la sua eccezionale testimonianza, ha consentito che questo materiale, digitalizzato, entrasse nell’Archivio sonoro della Puglia presso la Cittadella della Cultura di Bari a disposizione gratuita: il volume è un passo verso la diffusione verso un pubblico, di studiosi e non solo, sempre più vasto dei materiali sonori digitalizzati.
Leggendo questo volume ed ascoltando il CD, a chi scrive, per ragioni anagrafiche e di formazione, non può non associarlo ad uno dei propri livres de chevet: Filosofia e potere che il filosofo Giuseppe Semerari (1922 – 1996) pubblicò nel 1973. In esso, Semerari teorizzava il ‘filosofare dal basso’. Questa prospettiva – connotata da un atteggiamento radicalmente empiristico e dal riconoscimento della finitezza, complessità e precarietà dell’umano – configura la conoscenza come un processo ’transazionale’ e parte dalla pluralità dei soggetti, in vista della comunicazione reciproca, dando la priorità al ‘domandare’.
I ricercatori in scienze sociali – come il Giovanni Rinaldi testimone dell’evento che ha dato origine al volume che ora, dopo trentasei anni cura – praticavano e praticano una metodica di ricerca sicuramente molto vicina alla pratica filosofica teorizzata da Giuseppe Semerari. Altresì, pochi anni dopo quella serata evento, il decano dei sociologi italiani Franco Ferrarotti, nel 1981, pubblicava a Bari con la casa editrice Laterza il suo volume Storia e storie di vita, che assumeva un’analoga prospettiva teoretica.
A Giovanni Rinaldi va attribuito il sicuro merito di aver restituito, con il suo volume, alla più ampia fruizione e problematizzazione, anche delle giovani generazioni, di un florilegio di ‘voci del Sud’ che hanno fatto emergere, in una sera d’inverno di tanti anni fa, il lungo silenzio della civiltà contadina da leggere “con lo sguardo aperto, come espressioni di cultura senza aggettivi (alta/bassa), e ci diranno di più di quello che già conosciamo di una terra complessa, la Puglia, ricchissima di storia e di esperienze collettive” (p. 11).
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