Capaci di stare al mondo

Capaci di stare al mondo

di Cosimo De Nitto

I tempi della scuola non sono quelli della società, specie quella attuale così veloce, economicistica, utilitaristica, individualistica, precaria, competitiva, atomizzata.

Nella “Buona Scuola” di Renzi manca assolutamente la consapevolezza di questa differenza. Il principio dal quale muove è unico e univoco: “la scuola per la società”, dove la “società” è considerata sinonimo di economia, sistema di produzione, distribuzione, vendita di prodotti, accumulo; dove l’organizzazione delle relazioni e della governance aziendale diventano modello unico anche per istituti e organizzazioni, come la scuola, che sono affatto diversi, diversi per missione costituzionale, diversi per contenuti, finalità, mezzi, strumenti, relazioni ecc.
Per l’economia e per l’azienda il futuro è oggi, il futuro sono l’andamento e gli indici di borsa di oggi, il futuro è il tempo che passa tra la produzione di un oggetto e la sua distribuzione e vendita sul mercato. Il passato… semplicemente non esiste se non come insieme di cifre e rendicontazioni utili come parametri per il presente produttivo.

La scuola no, non è fatta così, non ha questi tempi, non può adeguarsi a questi parametri, a queste finalità, semplicemente perché è “cosa” affatto diversa.

La scuola ha un passato lunghissimo quanto quello dell’umanità che si studia, ha un passato meno lungo quanto la vita dei soggetti che la popolano, alunni, genitori o insegnanti che siano. Il passato nella scuola è fondamentale, non è fatto di cifre e conti economici, è esistenza e storia delle persone dalle quali non si può prescindere pena la miopia nel presente e la cecità assoluta per ciò che attiene il futuro.

La scuola ha un futuro lungo quanto si possa proiettare in avanti come rappresentazione della società e come sue implicite possibilità, ma lungo anche quanto la vita degli allievi che molti e molti anni dopo si ritroveranno a vivere in quella società, che certamente sarà cambiata, si spera in meglio.

Schiacciare e appiattire la scuola sul presente è un errore gravissimo. Un gravissimo errore schiacciarla sul “lavoro” che c’è/non c’è oggi, vista la rapidità con cui aziende, prodotti e processi produttivi compaiono e più spesso scompaiono superati da nuove forme produttive, da nuove tecnologie, da nuovi “bisogni” essenziali o indotti che siano.

La “Buona Scuola” dichiara che vuole essere “utile”. Utile al soggetto affinché trovi lavoro, cosa che spesso oggi appare una chimera, un sogno, una presa in giro talvolta. Utile più probabilmente alle aziende il cui orizzonte di interessi è circoscritto al massimo profitto qui ed ora, come è ovvio che sia.

Una scuola buona (potenza della posposizione), invece, della categoria dell’utile non fa parametro, principio, valore unico, ma secondario e integrato. Integrato in un contesto valoriale principale più ampio che comprende ed abbraccia la persona in tutti i suoi aspetti. A partire dal suo diritto alla libertà, alle opportunità, alle possibilità di scegliere e persino di costruire nuovi lavori, nuove “imprese”, alla possibilità e libertà di scegliere il proprio ruolo nella società in relazione ai propri sogni, alle proprie ambizioni, al proprio progetto di vita. Con l’aiuto della sua libertà interiore (frutto dell’educazione e della cultura), con l’aiuto del suo ingegno (frutto di una scuola che “allena” la divergenza), con l’aiuto di contesti favorevoli che ribaltino l’assunto e, accanto e prima della “scuola per la società” vedano quello che rivendica una “società per la scuola”.

Il lavoro, dimensione economica ed esistenziale ancorché importantissima, non assorbe tutto l’arco delle finalità costituzionali e costitutive del sistema formativo. Compito della scuola non è costruire “macchine per lavorare”, ma buoni cittadini, colti, capaci anche di lavorare, ma prima ancora capaci di stare al mondo, non solo in questo mondo, ma anche in quello di domani, dopodomani e di quanti dopodomani e quante società sarà possibile vivere, e per le quali le persone devono avere le capacità, la libertà, gli strumenti culturali al fine di accettarle così come sono, oppure poterle modellare e trasformare come essi ritengono.