Le prove Invalsi? Promosse, ma non faranno parte della maturità 2015

da La Tecnica della Scuola

Le prove Invalsi? Promosse, ma non faranno parte della maturità 2015

La conferma arriva alla ‘Tecnica della Scuola’ da Anna Maria Ajello, presidente Invalsi: stiamo lavorando ad una prova collocata in uno o più momenti dell’anno scolastico e non all’interno dell’Esame di Stato. Comunque nessuna marcia indietro, anzi: dove si propongono, i test non servono per dare un giudizio sull’operato del docente, né per punire o fare classifiche tra scuole, ma per consentire agli istituti di riflettere sul proprio operato e migliorarsi. Per vincere le resistenze dei docenti diventa determinante coinvolgerli nella formazione: grazie ai fondi strutturali europei, tanti prof del Sud si sono convinti…

Cresce l’interesse per la valutazione. A livello di studenti, di insegnanti, di famiglie. E di istituti. Tra l’altro con molteplici scopi: le valutazioni possono influire, infatti, sull’assegnazione dei fondi alle scuole, sul miglioramento della didattica, sulla verifica delle sperimentazioni in corso, sull’indirizzamento degli incentivi da assegnare in base al merito. Quindi anche degli aumenti stipendiali del personale.

E allo stesso modo cresce, di anno in anno, l’interesse per i test Invalsi, le prove standardizzate che misurano le competenze degli studenti in italiano e matematica, che si vorrebbero introdurre anche in occasione degli esami finali della scuola superiore.

Ne abbiamo parlato con Anna Maria Ajello, presidente Invalsi, incontrata a Roma durante la due giorni di convegno organizzata per il decennale delle prove Invalsi.

 

Presidente, pochi giorni fa l’Invalsi ha fatto sapere, al termine di un’indagine condotta dal 2011/12 con 9.968 insegnanti, che oltre due terzi dei docenti della V primaria ritengono che vi sia corrispondenza tra i contenuti delle prove e le competenze richieste dalle nuove Indicazioni nazionali per il curricolo. Significa che avete intrapreso la strada giusta?

Si tratta di un riscontro importante del grande lavoro svolto dall’Invalsi in questi anni proprio per assicurare una maggiore rispondenza tra gli obiettivi di apprendimento prescrittivi delle nuove Indicazioni e i contenuti delle Prove. Ed è anche un dato che permette di intravedere il cambiamento avvenuto nelle relazioni tra l’Invalsi e le scuole. E soprattutto tra le scuole e la valutazione. La cultura della valutazione in Italia ha avuto vita difficile per molti anni, ma ha fatto molta strada e comincia ad essere diffusa.

 

Di recente, lei ha detto che l’Invalsi fornisce misurazioni e non valutazioni: perché molti docenti non ne sono convinti e mantengono resistenze?

Nella comunicazione sulla valutazione si è fatta sempre una certa confusione e le incongruenze nelle dichiarazioni delle istituzioni e della politica non hanno aiutato. Si è creato il sospetto, mai del tutto fugato, che l’uso finale dei dati raccolti con le prove sia quello di punire o fare classifiche tra scuole e che le prove siano l’unico elemento utilizzato per formulare giudizi sul lavoro delle istituzioni scolastiche. Per questo è importante ribadire sempre che l’Invalsi fornisce attraverso le prove misurazioni attendibili su alcuni e solo alcuni aspetti dell’apprendimento. Come dimostra il format appena pubblicato che le scuole dovranno utilizzare per l’autovalutazione, i risultati delle prove sono soltanto uno di 15 macro-indicatori per analizzare la qualità di un’istituzione scolastica.

Tuttavia diversi addetti ai lavori, anche una parte dei sindacati, si lamentano perché intravedono nelle prove la somministrazione di test nozionistici e poco pedagogici?

E’ importante sottolineare che l’Invalsi svolge una funzione di servizio alle scuole e alle istituzioni, raccogliendo e restituendo informazioni rispetto a molti aspetti del nostro sistema educativo. E’ il piano politico, quindi il ministero dell’Istruzione, il Governo ed il Parlamento, che ha potere di decidere come utilizzare queste informazioni. Per la nostra relazione con le scuole, è fondamentale che si comprenda questa distinzione di ruoli, per sostenere il crescente clima di collaborazione che troviamo tra dirigenti e docenti.

 

Ma per non pochi insegnanti, i test Invalsi vengono considerati una minaccia, una sorta di valutazione del loro operato in classe. Come si fa a convincerli che non c’è alcun intento di questo genere?

Come dicevo, fugare queste preoccupazioni è innanzitutto un compito della politica e delle istituzioni. Noi siamo impegnati a ribadire e sottolineare il nostro ruolo di servizio sia verso le scuole che verso il decisore pubblico. Le nostre informazioni possono consentire alle scuole di riflettere sul proprio operato per migliorare e servono alle istituzioni per prendere decisioni informate. C’è inoltre da dire che l’Invalsi ha sempre ribadito la parzialità delle sue misurazioni (matematica, comprensione della lettura e grammatica): quindi è insensato e non corretto scientificamente inferire da queste misurazioni gli elementi per un giudizio sull’operato complessivo di un docente, che come sappiamo bene riguarda molti aspetti altri della vita quotidiana in classe.

 

Durante il suo intervento a Roma ha parlato di “ingente impegno per la formazione ai docenti per una corretta interpretazione” dei test nazionali: se la sente di assicurare a quei docenti che sino ad oggi non hanno ancora frequentato corsi di approfondimento o aggiornamento sulle prove Invalsi che presto saranno coinvolti?

Grazie ai fondi strutturali europei siamo riusciti a coinvolgere in progetti sperimentali moltissime istituzioni scolastiche nel Mezzogiorno in attività di formazione ed accompagnamento all’interpretazione dei dati. E i risultati si sono visti, anche nell’indagine di cui parlavamo all’inizio: i docenti del Sud sono fortemente convinti dell’utilità delle prove. Quanto riusciremo a fare nei prossimi anni dipende anche dalle certezze che avremo sui finanziamenti ordinari, per fare fronte alle nuove responsabilità che il Sistema Nazionale di Valutazione ci affida. Garantisco il nostro impegno per la formazione e l’accompagnamento, ma le istituzioni competenti devono fare la loro parte per metterci in condizioni di lavorare bene.

A proposito di novità, si parla da tempo di test Invalsi anche all’interno degli Esami di Stato. Sono voci infondate o potrebbero esserci degli sviluppi, anche nel breve periodo?

Il Miur ha affidato da tempo all’Invalsi il compito di sperimentare una prova da introdurre nel quinto anno delle scuole secondarie di secondo grado. Stiamo portando avanti tali ricerche, ma saremmo orientati per una prova collocata in uno o più momenti dell’anno scolastico e non all’interno dell’Esame di Stato. Ovviamente, quando le sperimentazioni saranno concluse, spetta al ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca prendere decisioni definitive su questa questione. In ogni caso, possiamo dire con certezza che non verrà introdotta alcuna prova all’interno dell’Esame di Stato di quest’anno, almeno se è l’Invalsi che deve produrre tali prove.