Troppi compiti a casa? Ma i problemi sono a monte

da Il Sole 24 Ore

Troppi compiti a casa? Ma i problemi sono a monte

di Flavia Foradini

Sciabordati da sguardi veloci all’ultimo approfondimento Ocse («In Focus 46») sullo studio domestico dei 15enni di 65 Paesi, che vede l’Italia al secondo posto, con 8,7 ore alla settimana, è facile essere indotti a lanciare anatemi contro i compiti a casa. Una lettura più accurata suggerisce però altro. Per esempio: in ambito Ocse, chi fa più compiti a casa ha mediamente migliori risultati in matematica.

Con il loro “usus magister est optimus”, i latini celebravano l’esercizio e la pratica come grandi maestri e forse non è casuale che molte altre culture abbiano detti dello stesso tenore. Come risulta ora dallo studio Ocse, la matematica ne è una buona dimostrazione, ma non è l’unica. Molte altre materie vivono di una ripetizione a spirale, che approfondisce sempre più i contenuti, fissandoli attraverso l’esercizio anche domestico, creando automatismi importanti, quelli che formano basi solide. Ci sono per esempio le lingue straniere. Lo sa chiunque si occupi di materie in asse linguistico: senza esercizio si dimentica piuttosto velocemente pure la propria lingua materna. Provate a stare in un Paese straniero per qualche tempo, senza più contatti con l’idioma di origine, e comincerete a non trovare più le parole per scrivere una email ai vostri genitori.
Provate a non dare il via ad una certa procedura col vostro computer per un po’ di tempo: quando servirà di nuovo, farete fatica a ricostruirla.
E non c’entra nulla l’intelligenza. C’entrano l’esercizio, la prassi quotidiana. Un’ulteriore conclusione Ocse, al di là delle singole materie: fra i 510mila studenti in rappresentanza di circa 28 milioni di quindicenni, coloro che studiano di più a casa hanno risultati migliori nei test di competenza alfanumerica Pisa.
Demonizzare lo studio a casa tout court appare come una conclusione affrettata. Chi plaude al forfettario fondamentalismo del “niente compiti a casa” dimentica di diversificare: per ordine di scuola, per numero di ore trascorse sui banchi, per materia, per didattica di classe, per tipo di utenza, per tipologia di compito assegnato.
Un altro dato messo in luce dal Focus Ocse n. 46: c’è un divario anche notevole, nelle ore trascorse settimanalmente a casa facendo compiti, tra chi è avvantaggiato socio-economicamente e chi no. I ragazzi con situazioni di tranquillità domestica, studiano di più. Per questo parametro, l’Italia fa registrare il divario massimo di quasi 4 ore (contro 1,6 di media Ocse). Un dato su cui riflettere, perché se è vero che chi si esercita di più in matematica (in inglese, in informatica), ha anche migliori risultati, e se è vero che a casa chi studia di più è avvantaggiato da situazioni famigliari relativamente serene, allora ci sono elementi per temere che la scuola italiana stia andando verso una deriva fortemente classista: chi può (economicamente, socialmente) studia e va avanti, chi non può, resta indietro. Alla faccia delle eque opportunità e degli ascensori sociali, perché invece ci sono molti Paesi nei quali il divario tra studenti avvantaggiati e svantaggiati è minimo, in fatto di opportunità di ore di studio a casa: per esempio in Estonia e Montenegro, Brasile e Danimarca, o Tunisia. In Serbia e Turchia non vi è alcuna differenza nel monte ore tra chi è agiato e chi no.

Rispetto al mero conteggio del tempo dedicato ai compiti a casa, questo dato deducibile dall’approfondimento Ocse appare assai più rilevante.
Naturalmente, leggendo sia l’approfondimento, sia il volume IV Pisa 2012 cui esso fa riferimento, vi sono molte altre domande che sorgono spontanee, e a cui sarebbe utile non rispondere con una sciabolata trasversale: qual è la qualità dei compiti assegnati a casa? Quali e quanti compiti sono sensati?
E facendo un imprescindibile passo indietro: com’è la didattica in classe? Si avvale di strumenti – i libri di testo in primis, ma anche altro – all’altezza delle nuove sfide? La digitalizzazione delle scuole italiane non ha affrontato ancora a fondo il nodo della qualità di testi e strumenti di lavoro, e gli editori vanno in ordine sparso. Uno sterile pdf di un libro di Storia (a carissimo prezzo – come mai non costano 2,99€?), anche se occhieggia da uno schermo di computer o tablet, non rende di per sé la Storia più fruibile o più interessante, né in classe, né a casa.
E appunto: su quali materiali lavorano i ragazzi nelle loro stanzette? E cosa significa “8,7 ore sui libri”? Come lavora un ragazzino tutto il pomeriggio a casa da solo perché i genitori sono fuori a cercare di sbarcare il lunario? Magari è effettivamente alla scrivania per 2 ore al giorno. Ma per quanto di questo tempo è concentrato sullo studio?
I giovani italici apprendono a sufficienza, prima dai genitori e poi dalla scuola, cosa siano pertinenza, efficienza ed efficacia? Lavorare concentrati per poco tempo, è meglio che dilungarsi per ore sui libri aperti sul tavolo. I finlandesi e i coreani a casa si esercitano meno di tutti: meno di tre ore. Ma evidentemente in modo efficiente ed efficace, visto che hanno le migliori competenze. Gli analisti dell’Ocse affermano del resto che ciò che supera le quattro ore alla settimana, non aiuta la prestazione scolastica in modo significativo. Forse invece che mettere sotto accusa i compiti a casa, andrebbe riconsiderata la filiera a monte.