Con Bomprezzi se ne va un pezzo di storia del giornalismo sociale in Italia

Con Bomprezzi se ne va un pezzo di storia del giornalismo sociale in Italia

È stato il primo, il più autorevole e autoironico giornalista disabile a essere riuscito a fare passare il suo handicap in secondo piano rispetto alle sue capacità di professionista. Innovatore instancabile, ha contribuito a cambiare il linguaggio e l’approccio dei media

da Redattore Sociale
18 dicembre 2014

Franco Bomprezzi ha fatto la storia del giornalismo sociale in Italia. E’ stato il primo, il più autorevole, il più brillante e autoironico giornalista disabile a essere riuscito a fare passare il suo handicap in secondo piano rispetto alle sue eccezionali capacità di professionista. Bomprezzi è stato un marchio di qualità, un brand, uno stile che in tanti cercavano di imitare senza riuscirci. Un galantuomo, anche. Oltre che un innovatore sfrenato.

Bomprezzi è stato il punto di riferimento in Italia per una generazione di giornalisti sociali, il primo a trattare temi scomodi, come quello della sessualità ad esempio, l’unico a cercare di arginare quel lento scivolamento verso il “politically correct” che tanto male ha fatto alle persone disabili, e ai progetti di inclusione delle loro associazioni. Un giornalista vero, e un grande commentatore. Una mente fertile e giocosa, con quella leggerezza che solo in pochi riescono a mantenere quando, anche solo per scendere dalla macchina e infilarsi dietro una scrivania, doveva spendere il triplo delle energie di qualunque altro comune mortale.

“Il giornalista sociale non deve essere buono – aveva detto ad un seminario organizzato da Redattore sociale a Milano nel 2011 – Deve essere bravo e fare bene il suo mestiere”.

Sue le tante idee suggerite nel codice di autoregolamentazione della Rai per le persone disabili (un codice etico-linguistico), varato dal Segretariato Sociale del servizio pubblico radiotelevisivo nel 1998. Un documento innovatore e coraggioso per quegli anni (l’aveva curato Giuliana Ledovi, con Stefano Trasatti, Giovanni Anversa, Salvatore Nocera e lo stesso Bomprezzi), una summa di quelle “buone prassi” con cui tanti si sono sciacquati la bocca dalla fine degli anni novanta, e che pochi poi hanno messo in pratica nei loro palinsesti o anche solo sulle pagine dei loro giornali. Sulle news, ad esempio, Bomprezzi invitava a chiudere il ciclo della notizia, a tenere conto delle persone disabili anche in contesti informativi non specifici, a completare le notizie di servizio anche con le informazioni per i disabili. Poi spazio all’accessibilità, alla mobilità per tutti. Per una nuova cultura della disabilità. Facile a dirsi, meno a praticarsi.
Sul fronte del linguaggio aveva continuato a lavorare per anni, come nel 2013 quando aveva contribuito sostanzialmente alle schede sulla disabilità realizzate per “Parlare civile”, il progetto sulle parole a rischio di discriminazione realizzato da Redattore Sociale in collaborazione con l’associazione Parsec.

“Sentiamo Bomprezzi cosa dice”. La frase era ricorrente, e non solo nelle redazioni delle riviste specializzate, ma anche sul mainstream Bomprezzi da tempo aveva trovato casa. Così, tra Superabile.it e il Corriere.it, quello strano giornalista in carrozzina sempre disponibile, gentile, mai sopra le righe, ha costruito un pezzo importante di storia dell’informazione sulla disabilità in Italia. E forse il pezzo più importante.

Diceva: “Per una informazione corretta sulla disabilità, bisogna eliminare dal linguaggio giornalistico (e radiotelevisivo) locuzioni stereotipate, luoghi comuni, affermazioni pietistiche, generalizzazioni e banalizzazioni. Concepire titoli che riescano a essere efficaci e interessanti senza cadere nella volgarità o nell’ignoranza e rispettando il contenuto della notizia”. Ecco, ora come faremo? (Mauro Sarti)


Il testamento di Bomprezzi: “Forza giovani, siate leggeri. Io vorrei riposarmi”

L’ultimo articolo del giornalista morto oggi a Milano per la sua rubrica sulla rivista mensile Superabile Magazine. “Con fantasia, ironia, leggerezza, coraggio, incoscienza, dobbiamo trovare altre chiavi di comunicazione”

18 dicembre 2014

Franco Bomprezzi, morto oggi a Milano, è stato indubbiamente la persona che ha contribuito più di ogni altra in Italia a cambiare la comunicazione sulla disabilità. Aveva lavorato in diverse testate, facendo anche la “macchina” (Mattino di Padova, Agr) e occupandosi in particolare di cronaca.

Quasi in parallelo aveva condotto un’intensa attività giornalistica (divenuta pressoché esclusiva negli ultimi anni) sui temi della disabilità, fondando nel 2000 Superabile.it, portale promosso dall’Inail e il blog “Invisibili” sul Corriere della sera. Era anche direttore del sito Superando.it promosso dalla Fish.
A Superabile era rimasto legatissimo e il suo ultimo impegno consisteva nella rubrica “Dr. Jekill e Mr. Hide” sulla rivista stampata mensile “Superabile Magazine”. Questo il suo ultimo articolo nel numero doppio di dicembre 2014-Gennaio 2015, non ancora uscito.

A caccia di parole

Ci vorrebbe un concorso per creativi. Lo dico sinceramente. Sarei davvero ricco se avessi voluto o potuto chiedere royalties su almeno due titoli che sono scaturiti dalla mia mente malata, in condizioni differenti, ma con il medesimo desiderio di individuare parole comprensibili a tutti, e capaci di svegliare chi dorme, anche nel mondo della comunicazione.

“SuperAbile” e “Invisibili”: ebbene sì, in tempi diversi e in contesti editoriali lontani, sono definizioni approvate in altrettanti brainstorming, ma scaturite da mie elucubrazioni mentali, stanco come ero, e come sono, delle banalità riferite al mondo delle persone con disabilità. SuperAbile nacque sulla scia dell’epopea sfortunata di Christopher Reeve, Superman divenuto negli anni terminali della sua esistenza un grande protagonista delle battaglie statunitensi per la ricerca e per i diritti delle persone paratetraplegiche e non solo. Da quell’accostamento onirico nacque la testata del portale Inail e di questo magazine.

Ne sono felice e orgoglioso. “Invisibili” è figlio di una constatazione personale, ossia la capacità della gente, per strada, nei negozi, nei luoghi pubblici, di non vedere – nel senso letterale – una persona con disabilità motoria, sensoriale o intellettiva. Ne è nato un blog molto seguito su Corriere.it e anche di questo sono felice e orgoglioso.

Ma mi domando: è possibile che il nostro mondo non riesca a elaborare con fantasia, ironia, leggerezza, coraggio, incoscienza, qualche altra chiave di comunicazione? Possibile che l’alternativa, orrenda, sia stato solo quel “diversamente abile” che tuttora invade e inquina ogni ragionamento sensato sulla pari dignità, sui diritti, sull’inclusione sociale? Forza giovani, scatenatevi. Io vorrei riposarmi.