A Gabriele Boselli e alla scuola 2015

A Gabriele Boselli e alla scuola 2015

di Claudia Fanti

 

Gentile Gabriele Boselli, dopo avere letto la Tua recensione al mio libro, “2014, odissea nella scuola”, entro subito in argomento non prima di avere augurato a Te, a colleghe e colleghi, a bambine, bambini e genitori, un 2015 gentile verso la scuola e una calza della Befana colma di buone cose per tutti.

Domani rientrerò a scuola: è il giorno dopo quello della “Befana”.

So già che i bambini mi voleranno addosso e mi abbracceranno fino a travolgermi e tutti insieme baldanzosi vorranno raccontarsi e non basteranno le mie raccomandazioni a non esagerare, a stare calmi e così salteranno tutti i turni e tutte le campanelle. So che vorranno esprimersi uscendo come lo spumante dalla bottiglia e inonderanno l’aria con decine e decine di parole dai vari accenti possibili: rumeno, albanese, dialetto napoletano, romagnolo…alcuni mi chiederanno quanti giorni sono passati e gli anticipatari si scandalizzeranno perché per loro è passato un anno e non due settimane e mi diranno che no, io non ho il senso del tempo, loro sì! E mi chiederanno una poesia sulla Befana o una canzone sul Natale già passato sul calendario, ma non nella loro mente e vorranno che io continui a leggere quel libro che è nel cassetto da tempo in attesa dei ritorni di alcuni dopo le assenze per malattia.

So già per esperienza che la mia esperienza salta come un canguro di fronte alle loro diversità, fra un carattere e l’altro, fra un soggetto e l’altro, fra me ora e loro ora, uguali a nessun altro che ho conosciuto nel passato.

So che mi chiederanno parole, gesti, sguardi, che ogni mio sguardo non può essere uguale a quello che do a uno o all’altra.

Lo so. So che sempre essi desiderano che io e le colleghe che lavorano con me e con loro dobbiamo essere più che colleghe, amiche del cuore, perché ci vogliono così, unite, e vogliono che la mano destra sappia quello che fa la sinistra, che le nostre materie d’insegnamento parlino un’unica lingua, che si fondano l’una con l’altra. Lo so e con le colleghe proviamo giorno per giorno a mettere in pratica ciò che sappiamo da sempre.

Bambini e bambine sono soggetti speciali, capaci di imparare qualsiasi cosa se uniti tra di loro, con segreti da condividere, compleanni da festeggiare, litigi dopo i quali fare la pace, danze e musiche corali, capaci di tutto se insieme.

So che a tutti e a tutte dobbiamo garantire stima, fiducia, amore, serenità e che capita di arrabbiarsi, ma poi noi maestre, come loro, dobbiamo provare a ripensare alle nostre azioni, alle nostre parole se per caso esse hanno offeso, sono state incomprese, fraintese e che il giorno dopo si ricomincia a cercare risposte con le discipline d’insegnamento, con tutte, purchè insieme e con rigore.

So che le opinioni dei malpensanti ritengono il nostro modo di essere in classe un modo buonista, ma così non è: noi siamo semplicemente buone, di quel buono che ama le persone e i loro diversi modi di apprendere, per la qual cosa, come maestre siamo perennemente alla ricerca di modi diversi di avvicinare bambini e bambine a noi e ai saperi, per accedere, nel futuro, al sapere in modo rispettoso e conscio di ciò che la cultura può offrire. Noi non siamo la cultura, la cultura è quella che loro sapranno rileggere, reinterpretare, reinventare e inventare sulle basi che noi abbiamo il dovere di fornire loro penetrando fra una richiesta e l’altra, fra una gioia e una malinconia, fra un avanti e un indietro, fra un’andata e un ritorno.

Io non so, come molte altre maestre, che scuola abbiano in mente i Grandi. Non lo so proprio, perché chiarezza nelle scelte di politica scolastica di governo in governo non ne vedo proprio.

Di una cosa sono però certa: essi non sanno che la parola riforma ha bisogno di lasciar fare ai soggetti, agli alunni e ai docenti in ogni ordine di scuola.

Se non si riuscirà a capire ciò, riforma nulla. Niente di niente.

E supponiamo che gli ormai unici soggetti che per alcuni sono possibili, i soldi, si trovassero rinunciando ai privilegi di molti in favore di pochi, secondo Te, Gabriele, secondo me e quelli come noi, sarebbe possibile una qualsivoglia riforma, senza i soggetti in carne e ossa, con le loro identità, con la loro voglia di sogni e di sapere, di unità?

Io non credo. Ebbene, lasciami dire, da maestra, che certi adulti, i quali disquisiscono di tecnologie, lim, spazio, tempo e edilizia, non hanno idea di cosa siano i nostri bambini, i ragazzi, le bambine e le ragazze, e di cosa siamo noi. Non lo vogliono neppure sapere, altrimenti ci verrebbero incontro a braccia aperte, richiedendo a gran voce o in un sussurro (la scelta di quale voce adottare dipende dalla volontà e dalla coscienza pedagogica di lor signori) che cosa “vediamo”, che cosa “percepiamo”, “odoriamo” in situazione di insegnamento/apprendimento. E capirebbero immediatamente che le priorità sono queste in elenco prima e durante ogni incontro con i saperi, con le materie:

  • il racconto
  • le emozioni
  • la conversazione
  • l’empatia verso le persone
  • la disponibilità a entrare in crisi
  • il coinvolgimento totale nel fare, nel muoversi e nel pensare
  • un linguaggio denso di metafore spiazzanti
  • il superare insieme le difficoltà senza sottrarle
  • la considerazione per le diversità di situazioni parentali, di credo religioso, di genere
  • l’intero, e cioè nessuna barriera tra una disciplina e l’altra come intero è il soggetto in apprendimento/insegnamento
  • la presa d’atto che i sensi sono da riattivare e utilizzare, nessuno escluso
  • l’attenzione alla valutazione
  • la presa di coscienza della potenza del sé e di quella dell’altro
  • la gestione illuminata dei conflitti
  • la cooperazione senza competizione nell’apprendimento
  • il gioco come momento di conoscenza dei propri e altrui limiti e rispetto delle regole condivise

Dopo di che capirebbero immediatamente che è vitale il ridare valore alle discipline trattate e insegnate come mediatrici tra il sé, l’altro e la comunità, e non come insiemi di competenze da divorare per essere bravi, meritori di qualche premio; capirebbero che le discipline hanno valore come strumenti che giocano fra di loro, si conoscono, si integrano, che si possono dominare senza mai divenirne padroni e senza che mai ci facciano pentire di essere entrati in una scuola sia come insegnanti sia come studenti.

E capirebbero quanto valgono il rigore e l’onestà nella conduzione delle classi, nella conoscenza della propria disciplina, nell’uso della didattica, nelle relazioni, nel dubbio, nelle domande e nelle risposte nel momento del contatto con alunni e alunne.

Capirebbero che il resto, senza ciò, è contorno che rischia di marcire ben presto e di contaminare il buono dei soggetti che imparano e insegnano, rischia di far degli oggetti dei miti (forse per molti lo sono già e per altri lo diverranno presto se tanti grandi firme della pedagogia se ne staranno silenziose dinanzi al cosiddetto nuovo che avanza).

Il resto fatto di registri elettronici, di quiz Invalsi, di tagli al personale senza immissioni di precari e senza turn over, di elettronica subito marcescente, di voti alle elementari e alle medie (proprio nel momento in cui l’essere umano è più disposto a studiare per il gusto di sapere e potrebbe apprendere con l’unico interesse di apprendere, amare ciò che apprende e prendere slancio per le sfide dei saperi) è contorno, in certi casi pure costoso, di cui si potrebbe fare a meno se non ci fosse tutto ciò che ho detto prima.

Chiedo ai signori della scuola, a quelli che ci riversano addosso ricette di ogni tipo, di avere riguardo per i genitori e per i figli di tutti. Come mai ci è stato sottratto il tempo pieno? Come mai ci sono state imposte regole stritolanti qualsiasi forma di libertà tramite una burocrazia che avvilirebbe anche il più incosciente degli incoscienti? Modulistica per tutto, registrazione di ogni attimo di respiro didattico, tabelle da riempire di numeri, relazioni su ogni bambino/a che presenta qualche disagio di cui il mio essere insegnante non ha la presunzione di tutto sapere.

Voglio che nelle mie mani di maestra sia lasciato il tempo della conoscenza mai conclusa, ma attenta e puntuale, di ogni bambino/a con cui, grazie al caso, vengo in contatto dentro una classe; voglio che alla mia esperienza e “sapienza” venga lasciato il tempo di lasciare il tempo a ogni bambino/a di radicare sul terreno le basi per poi dirigersi sicuro e pronto a scoprire e a approfondire altro.

Le maestre sono qui per far costruire basi su cui erigere castelli immateriali e materiali, ma lo possono fare se ascoltate da chi pensa a riformare la scuola un’ennesima volta, se lasciate libere di scegliere modi di valutare e di insegnare, se si dà di nuovo loro la possibilità di lavorare insieme con le altra colleghe alla pari, senza gerarchie, semplicemente con la voglia di essere in classe con bambini e bambine.

Merito, differenziazioni, gerarchie, scalette di vario tipo non fanno che rendere impossibile un sereno e onesto lavoro di squadra con unità di intenti fra soggetti che si sentano degni di valere gli uni come gli altri.

Grazie per la Tua recensione, gentile Gabriele Boselli. Ciò che scrivi Tu, e non soltanto ora, mi ha sempre coinvolto umanamente e professionalmente e aiutato a proseguire più sicura e serena: per noi maestre e per il nostro complesso lavoro la fiducia è molto importante. E’ fondamenta su cui costruire il presente prima ancora del futuro.