Prolegomeni per una dirigenza vera alla luce della Riforma Madia

Prolegomeni per una dirigenza vera alla luce della Riforma Madia

di Francesco G. Nuzzaci

 

1.1 Il disegno di legge n. 1574, c.d. Riforma Madia, volta a semplificare l’organizzazione della Pubblica amministrazione, all’articolo 10 riconfigura la dirigenza pubblica come soggetto attributario di autonomi poteri di gestione di risorse umane, finanziarie e strumentali per la loro ottimale combinazione preordinata alla realizzazione dello scopo-programma-progetto predefinito dal committente politico o assegnato dal dirigente di vertice (esempi paradigmatici articoli 16 e 17 del D. Lgs 165/01), ovvero direttamente prescritto da fonte normativa (esempio paradigmatico art. 1, comma 2 del D.P.R. 275/99), con esclusiva responsabilità di risultato.

1.2 La nuova dirigenza è quindi una figura non eccessivamente specializzata, può dirsi una figura generalista o organizzatoria, in ciò distinta dai professional, caratterizzati, invece, dal possesso e dall’esercizio di competenze circoscritte di natura tecnica, erogate all’interno della struttura organizzativa , privi di compiti di gestione di risorse umane e finanziarie, se non in misura marginale ed eventuale, come nel caso di quasi tutta l’articolata odierna dirigenza medica, eccetto gli ex primari ospedalieri che, pur preposti alla conduzione di strutture dipartimentali complesse, hanno comunque anch’essi, come funzione preponderante, il compimento dell’atto medico.
Coerentemente, vengono istituiti tre ruoli unici (dirigenza dello Stato,      dirigenza delle regioni, dirigenza degli enti locali), coordinati e compenetrabili, per  essere contrassegnati dalla loro piena mobilità, con abolizione delle gerarchizzate fasce poiché gli incarichi, ad tempus, si vogliono basati sul principio del merito, in esito alla formazione continua e al previo ed omogeneo sistema di reclutamento, affidato alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione; con consequenziale omogeneizzazione-perequazione giuridica ed economica, ciò implicando la revisione e la razionalizzazione delle voci retributive nei limiti delle risorse complessivamente destinate dalle vigenti disposizioni legislative e contrattuali. Coerentemente, si passa da una dirigenza career based ad una dirigenza position based. Ovvero: dal dove fai il dirigente a come lo fai ( Marianna Madia).
Istituito il ruolo unico, per la dirigenza statale è possibile l’eventuale confluenza nello stesso del personale appartenente alle – non precisate – carriere speciali, con ulteriore previsione, nell’ambito del ruolo, di – sempre non precisate – professionalità speciali.

1.3 Senonché, tranne che in una delle bozze ufficiose fatte circolare, nelle altre tre, compresa quella finale effettivamente rassegnata nella Commissione cultura del Senato, dal ruolo unico – rectius e testualmente: dai suddetti ruoli unici – è esclusa la dirigenza scolastica, perché evidentemente non ritenuta dirigenza manageriale, di gestione di risorse umane e finanziarie, ovvero perché supposta prevalentemente dirigenza professionale, quasi che la sua funzione fosse quella di un esperto disciplinare che insegni la propria materia e tutto quel che la integra e la supporta (ciò che invece è tipico della funzione docente: cfr. artt. 1 e 395 del D. LGS. 297/94 e art. 27 del CCNL Scuola del 29.11.2007). Che dunque non è collocabile nella dirigenza amministrativa, per così dire ordinaria, e neanche nelle sezioni delle carriere speciali o delle professionalità speciali. Non vi è collocabile perché ne difetta il presupposto: per l’appunto il suo (negato) inserimento nei ruoli unici. Insomma, la sua tanto declamata e, in punto di diritto, evanescente specificità – che appare solo in un passaggio dell’art. 25 del D. LGS 165/01, dove si parla di valutazione dei risultati ad opera di un nucleo istituito presso l’Ufficio scolastico regionale, che tiene conto della specificità delle funzioni – è talmente preponderante da trasformarla in non dirigenza!

 

2.1.  Per contro, non può dubitarsi che la dirigenza agita nelle istituzioni scolastiche – che nella statuizione del vigente, ancorché parzialmente, D. LGS. 150/09 possono ben qualificarsi strutture organizzative complesse – è una dirigenza pleno iure.

2.2.   Al di là dell’inequivoca lettera del dato normativo – che già di per sé spazza via tutte quelle elucubrazioni sparate in assolutà libertà, tipo l’essere la dirigenza scolastica una forma differenziata dell’unica funzione docente! – lo attesta l’unanime giurisprudenza delle corti superiori ( da ultimo Corte dei conti per la sezione Sicilia, 04.03.2014; Corte dei conti-Sezioni riunite di controllo, adunanze del 07.04.2006 e 14.07.2010; Consiglio di Stato-Sez. II, n. 1603/99 e id. 26.07.2000; Consiglio di Stato-Comm. Spec. P.I., n. 529 del 16.10.2003). E lo conferma l’altrettanto unanime dottrina ( tra i tanti PAOLUCCI, POGGI), secondo cui il dirigente scolastico, seppure con caratteri di peculiarità, partecipa comunque della funzione dirigenziale pubblica ed in particolare statale.

2.3. Ma è d’accordo anche il nostro Presidente del Consiglio, nel suo programma La buona scuola, da cui estrapoliamo i seguenti passaggi, testuali, sulla dirigenza scolastica:

  •  Mantenimento e rafforzamento delle indiscutibili competenze gestionali necessarie per promuovere l’efficienza di un’organizzazione complessa;
  • Valorizzazione e salvaguardia delle competenze professionali connesse alla promozione della didattica e della qualificazione dell’offerta formativa;
  • Caratterizzazione della dirigenza scolastica, al tempo stesso dotata di esperienza diretta e approfondita dei processi educativi, ma anche delle competenze necessarie per gestire un’organizzazione complessa;
  • Piena responsabilità della gestione generale e della realizzazione del progetto di miglioramento definito sulla base della valutazione;
  • Unici reclutamento e formazione affidati alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione (già prescritti dalla legge 128/13), la stessa istituzione che seleziona e forma tutti i dirigenti dello Stato.
  • E, riassuntivamente, anche i presidi sono prima di tutto dirigenti!

Dopodiché, se non si voglia ritenere irrimediabile la schizofrenia del Legislatore, il rampante inquilino di Palazzo Chigi dovrebbe rendersi avvertito dell’aberrazione consumata dagli anonimi, e non disinteressati, burocrati che hanno materialmente scritto il D.D.L. 1577. E prima di lui e insieme a lui dovrebbero rendersi avvertite la volitiva ministra della Pubblica Amministrazione – che pure ha dichiarato sul Il Messaggero del 28 maggio 2014 che ci sarà una perequazione delle retribuzioni, nell’ambito del ruolo unico, per tutte quelle dirigenze che gestiscono risorse umane e finanziarie – e la collega titolare del MIUR, finora sul punto completamente silente.

3.1 Sono sincera, né io e neanche, credo, i miei colleghi parlamentari sappiamo alcunché della dirigenza scolastica. Diteci, insomma, quello che volete, provando anzitutto, se ci riuscite, a mettervi d’accordo tra di voi: E’ la confessione, più o meno letterale, e degna del massimo apprezzamento, di una componente della Commissione cultura della Camera dei deputati al Convegno organizzato dalle associazioni professionali della dirigenza scolastica ANDiS e DISAL, presenti i sindacati di categoria – ad eccezione di CGIL, UIL, SNALS, che invece l’invito l’hanno declinato – e tenutosi in Roma, Camera dei deputati-Sala del refettorio il 13 gennaio 2015.

3.2 Il problema è proprio questo: che cosa vuole – che cosa vuole essere – la   dirigenza scolastica. Meglio: se vuole essere dirigenza oppure un’entità definita in negativo, come un tempo era il Personale non docente, adesso ATA.
Volutamente un po’ estremizzando, vi sono due opposte posizioni, ma entrambe non meritevoli di condivisione.

3.3 La prima, minoritaria, sembra propendere per l’assimilazione della dirigenza scolastica alla dirigenza amministrativa, magari sgravata da tutte quelle eterogenee molestie burocratiche che quotidianamente le si scaricano addosso: Ciò nel presupposto, in fatto incontestabile, della permanenza di un coriaceo mantra connaturato alla nascita, con il D.P.R. 748/72, della dirigenza pubblica come una dirigenza tipicamente ed esclusivamente amministrativa, e che ancora fa capolino nel menzionato D.D.L. 1577. E’ il mantra secondo cui l’unica dirigenza vera è quella burocratica, garante della sola legittimità formale degli atti e della regolarità delle procedure, cioè dell’esatto adempimento; nel mentre tutte le altre dirigenze – quanto più connotate dell’ossimoro professionali, per non dire specifiche – vengono confinate in una sorta di retro bottega dove farvi stazionare gli scarti della dirigenza pubblica.

3.4 La seconda posizione, maggioritaria, teorizza, nella sostanza, un dirigente scolastico – anzi, a questo punto e con piena coerenza, un preside, e difatti il termine figura non infrequentemente nei vari documenti ultimamente prodotti – completamente svincolato da ogni incombenza burocratico-amministrativa-contabile-negoziale, in una parola gestoria, che possa esclusivamente dedicarsi al coordinamento della didattica, secondo un modello già superato dai decreti delegati degli anni Settanta (cfr. art. 3 del D.P.R. 417/74, ora trasfuso nell’art. 396 del D.LGS. 297/94) e risalente al Regio decreto 30.04.1924, n. 965, artt. 10 ss., con il preside preposto alla conduzione – collegiale – della struttura didattica e – gerarchicamente sottoposto al provveditore – alla struttura amministrativa dell’istituto, con funzioni di sovraintendenza al buon andamento didattico, educativo e amministrativo.

3.5 E’ incontestabilmente vero che, con progressione geometrica, il dirigente scolastico è stato, ed è, sempre più assorbito da compiti e responsabilità, a volte necessariamente ed ineludibilmente strumentali alla sua precipua funzione fondamentale e istituzionale, a volte e più spesso del tutto inconferenti e inutilmente ultronei, con personale esposizione a pesanti sanzioni, anche di natura penale. Non per questo però – come proposto da alcuni – è necessario riscriverne il profilo strutturale e funzionale, perché già disciplinato dal diritto positivo. Semmai sarebbe opportuno licenziare un testo ricognitivo che sollevi i tanti interpreti dalla fatica di ricavare in via ermeneutica la norma dal complesso delle disposizioni disseminate nell’ordinamento giuridico di settore e generale, con esiti, inevitabilmente, controversi per definizione. Volendo richiamare velocemente alla memoria quelli di più diretta e ricorrente afferenza, i riferimenti, già citati, sono il D.LGS 165/01 e s.m.i.; il D.P.R. 275/99, Regolamento dell’autonomia; il D.LGS 297/94, in materia di competenze degli organi collegiali che vanno ad incrociarsi con quelle che, per ius superveniens, sono ora da ritenersi intestate al dirigente scolastico e/o attribuite alla fonte negoziale; il Regolamento di contabilità delle istituzioni scolastiche autonome, di cui al D.I. 44/01; i Contratti collettivi nazionali di lavoro, posto che gli stessi siano ora legittimati, sia pure in modo surrettizio, a dettare norme di organizzazione o, addirittura, di status, dopo l’avvenuta emanazione del menzionato D. LGS 150/09, c.d. Riforma Brunetta.
La predetta riscrittura sarebbe, peraltro ed in concreto, preordinata a spogliare la dirigenza scolastica di tutti quei compiti asseriti impropri, con il risultato, invero paradossale, di impoverire la sua funzione, che invece la si vuole rinforzata per renderla idonea alla conduzione di un ente dotato di autonoma soggettività giuridica e, nel contempo, organo dello Stato, con tutte le conseguenze ex lege, che qui è solo possibile rimettere all’intuizione del lettore.
A nostro giudizio, non potendosi in questa sede neanche accennarsi al più vasto problema del necessario riassetto della governance del sottosistema scolastico, si dovrebbe agire – in parte principiando da altre disposizioni normative contenute nel D.D.L. 1577, in parte sviluppando il programma della Buona scuola – con un sapiente mix imperniato su tre misure:
a) creazione di un middle management all’interno di ogni istituzione scolastica, vale a dire di figure professionali intermedie dotate di competenze specialistiche o specializzate, sia sul versante della didattica (le vecchie e mai nate figure di sistema tratte dalla docenza?) che sul versante amministrativo-strumentale, ivi stabilmente incardinate (e previamente formate), tutte differenziate funzionalmente e non collocate lungo un’impropria catena gerarchica, operanti con precise responsabilità, prevalentemente su direttive del dirigente scolastico, unico rappresentante legale e unico soggetto di imputazione esterna;
b) valorizzazione dell’ art 8 del disegno di legge 1577, che dal generale contenitore o genus di Pubblica amministrazione, estrapolando la species denominata Amministrazioni di istruzione e cultura, a tal fine distinte dalle Amministrazioni statali, cancella l’automatismo di cui è parola nell’art. 1, comma 2 del D. LGS 165/01, che – salvo un’espressa previsione di legge di segno contrario – oggi impone alle istituzioni scolastiche l’applicazione automatica di disposizioni pensate per realtà ben più consistenti e/o aventi più ampi raggi di azione ovvero differenti missioni;
c) costituzione di ambiti territoriali ottimali, sul modello delle reti di scuole ex art. 7, D.P.R. 275/99. Gli stessi devono specializzarsi – con il   concorso di adeguate risorse attualmente allocate presso i resuscitati, sotto mentite spoglie, provveditorati agli studi e/o attingendo dal personale in esubero in altre amministrazioni pubbliche – per gli adempimenti amministrativi di carattere seriale, pure necessari, così rendendo servizi più professionali alle istituzioni scolastiche, decongestionate di tutte quelle procedure inerenti – l’elenco è parziale e sbrigativo – la formazione e gestione delle varie graduatorie per i supplenti, le attività contrattuali necessarie per la provvista di servizi, beni e forniture, la complessa gestione dei progetti comunitari, gli adempimenti fiscali, tutta quella serie di monitoraggi richiesti incessantemente, et similia, a prescindere da un credibile avvio e dall’implementazione del processo di dematerializzazione.

3.6 Alla luce di queste premesse, si può e si deve raccogliere l’invito della parlamentare nel Convegno innanzi citato, rilanciato ai presenti dalla presidenza a conclusione dei lavori: un incontro, a breve, tra tutte le associazioni professionali e sindacali della dirigenza scolastica per provare a concordare e scrivere un emendamento comune all’art. 10 del pluricitato D.D.L. Del quale, conclusivamente, offriamo una nostra versione, opportunamente ridondante per neutralizzare colpi di mano in sede dei decreti legislativi di attuazione della delega, a valere come proposta di discussione:

Espunzione dall’art. 10 del D.D.L. delega n. 1577/14 del sintagma “Esclusione dai suddetti ruoli unici della dirigenza scolastica” ed inserimento del seguente emendamento:

Sono inclusi nel ruolo unico dei dirigenti dello Stato i dirigenti preposti alla conduzione delle istituzioni scolastiche ed educative.

Gli stessi potranno essere collocati in una delle previste sezioni per le professionalità speciali in ragione della complessa funzione dirigenziale che sono chiamati a svolgere, integrante competenze di ordine gestionale, con diretta ed esclusiva responsabilità, e peculiari competenze di natura tecnico-professionale, senza pregiudizio della piena mobilità in uscita e della generale applicabilità degli istituti connotanti l’intera dirigenza pubblica.

Il rapporto di lavoro è regolato dall’unico contratto di area della dirigenza statale, ovvero in una sezione dello stesso, assicurandosi in ogni caso un trattamento economico complessivo non inferiore a quello delle altre figure dirigenziali.