Rufin, non più guerre
di Antonio Stanca
Il francese Jean-Christophe Rufin è un medico di sessantatré anni, è nato a Bourges nel 1952, è cresciuto con i nonni in un paese di provincia, ha studiato a Parigi, ha preso parte a missioni umanitarie nei paesi sottosviluppati, è stato consulente del Segretario di Stato Francese per i diritti umani, ha fondato il movimento “Medici senza Frontiere”, è membro dell’Académie Française, è stato ambasciatore in Senegal, è l’autore del “Rapporto Rufin”, un’analisi dettagliata circa il fenomeno dell’antisemitismo in Francia, ed è anche un giornalista, un saggista ed uno scrittore. Il suo primo libro, La trappola umanitaria, è un saggio che risale al 1986, il primo romanzo, L’Abissino, è del 1997, quando aveva quarantacinque anni, e nel 2001 col romanzo Rosso Brasile vinse il Premio Goncourt. Altri riconoscimenti ha ottenuto Rufin per la sua attività in ambito sociale e per quella in ambito letterario. Tra le due non c’è differenza perché animate sono dagli stessi principi, mosse dalle stesse aspirazioni, quelle di operare per il bene comune, d’intervenire in situazioni difficili, di lottare in nome della giustizia, della libertà dell’individuo e dei popoli, di compiere azioni che servano ad aiutare e che valgano come esempio. Questo ha fatto finora Rufin e di questo ha pure scritto. Servizi umanitari ha reso e valori umani ha perseguito nelle sue opere letterarie. Eroi sono i protagonisti dei suoi romanzi, per gli altri si sacrificano, l’amore, il bene, la pace vogliono per tutti, le distanze, le differenze, le barriere, le guerre vogliono che finiscano. Moderni, attuali sono per questa loro volontà di cambiare il mondo, di renderlo migliore pur essendo a volte le loro vicende ambientate nel passato.
Anche nel romanzo più recente, Il collare rosso, pubblicato nel 2014 in Francia dalle Éditions Gallimard di Parigi e in Italia dalle Edizioni E/O di Roma, il protagonista, Jacques Morlac, è un eroe. Egli ha partecipato alla Prima Guerra Mondiale, è stato sul fronte orientale con gli alleati russi e contro i nemici bulgari. Nonostante la situazione ha cercato di avviare un rapporto di scambio, di comunicazione anche con gli avversari, ha pensato di estenderlo a tutti i soldati presenti sul fronte. Ha operato, si è impegnato perché finissero di scontrarsi, di uccidersi, abbandonassero le armi e si unissero, formassero un corpo unico all’insegna della fratellanza, dell’amore, della pace. Il progetto non riuscirà a causa di un imprevisto e di questo Morlac si farà una colpa tale da giungere ad offendere, durante una manifestazione pubblica, gli alti rappresentanti della nazione francese venuti nel suo paese a guerra finita. Li accuserà di essere, insieme a quelli delle altre nazioni, i veri responsabili delle guerre, delle morti di migliaia di persone, di alimentare con le guerre le proprie ambizioni di potenza, di ricchezza, di ostacolare ogni iniziativa che potrebbe portare alla fine degli scontri armati. Sarà imprigionato ma non rinuncerà mai ai suoi ideali anche se questo lo farebbe assolvere, anche se il giudice glielo consiglia. Fedele rimarrà ad essi come fedele gli è rimasto il suo cane dal “collare rosso”. Fuori dalla prigione ha abbaiato in continuazione, giorno e notte, fino a finire stremato.
Un’altra vicenda commovente, poetica che coinvolge il lettore già dall’inizio, che diventa un lungo, interminabile dialogo tra l’imputato e il giudice, che sorprende con le sue continue rivelazioni, che si risolve in nome di una fedeltà ancora maggiore, ha costruito Rufin. Un altro eroe ha creato, un altro interprete di quei principi, di quei valori altamente umani, profondamente morali che sono pure suoi, che egli persegue. Tramite i personaggi ai quali li fa impersonare nei romanzi Rufin vuole diffonderli, vuole farli giungere ovunque e ci sta riuscendo se si tiene conto che Il collare rosso è un romanzo che in Francia sta ai primi posti nella classifica delle opere più lette.
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