Part time: non discriminazione e proporzionalità sono i principi cardine

Part time: non discriminazione e proporzionalità sono i principi cardine *

a cura di Anna Maria Bellesia

Sull’applicazione del part time e sulla proporzionalità del lavoro per il personale docente continua a regnare molta confusione. Chi cerca informazioni su internet e sui siti specializzati non trova risposte chiare e soprattutto aggiornate.
Anche da parte degli USR, che hanno ricevuto innumerevoli richieste esplicative, sono stati emessi dei pareri legali piuttosto arzigogolati e “cerchiobottisti”. Solo l’USR del Veneto si è pronunciato in coerenza con la norma, che è oggi assimilata a quella europea.
Per il part time il riferimento fondamentale è il D.Lgs 25 febbraio 2000, n. 61, richiamato nel CCNL all’art.39, attuazione della Direttiva Comunitaria 97/81/CE, e che si applica ai rapporti di lavoro di tutte le amministrazioni pubbliche. Il Decreto stabilisce il principio di non discriminazione, che vieta qualsiasi trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno, e il principio di proporzionalità.
Ciò nonostante, ancora oggi continuiamo a trovare in internet risposte come questa: le 40 ore relative ai collegi docenti, programmazione, dipartimenti e altro (il comma 3, lettera a, dell’art. 29 del CCNL/2007) “non devono essere proporzionali all’orario settimanale, quindi andranno svolte tutte”. Una leggenda metropolitana, praticamente insostenibile. Non a caso, sono sempre meno i dirigenti scolastici che si ostinano su queste posizioni.
Anni fa invero, l’appiglio normativo era dato dall’O.M. 446/1997, che riconosceva esplicitamente la proporzionalità solo per i consigli di classe (il comma 3, alla lettera b dell’art. 29 del CCNL/2007).
Ma oggi, l’O.M. del 1997 è in gran parte superata. Diverse norme successive hanno cambiato il quadro complessivo. Non tenerne conto significa guardare erroneamente al fuscello e non vedere la trave portante.

L’EVOLUZIONE NORMATIVA
SINTESI RAGIONATA

La prima applicazione del part time

L’O.M. 22 luglio 1997, n. 446 dettava le disposizioni per la “prima applicazione” del part time, in attuazione dell’articolo 46 del CCNL del 1995. Oggi, di fatto la norma è superata sotto molti aspetti. Per esempio, le “Tipologie del rapporto a tempo parziale per il personale docente” ivi indicate sono due, e non le tre attuali:
“In sede di prima applicazione e per motivi di continuità didattica, la costituzione dei posti a tempo parziale può essere realizzata con una articolazione delle prestazioni del servizio su tutti i giorni lavorativi (tempo parziale orizzontale), ovvero su non meno di tre giorni alla settimana in relazione alla programmazione educativa deliberata dal richiamato organo collegiale (tempo parziale verticale)”.
Negli anni seguenti, sono intervenute altre norme che hanno affermato il diritto alla fruizione del part time “in modo pieno”. Si tratta di Circolari esplicative, di norme contrattuali, di norme di rango superiore.
Da sottolineare che la C.M. 19.02.1998, n. 62 “raccomanda” ai capi di istituto di “facilitare” la prestazione di servizio a tempo parziale, in particolare quello verticale. Mentre, la successiva C.M. 17.02.2000, n. 45 scrive della “necessità” che “nella individuazione delle possibili articolazioni della prestazione lavorativa sia favorita quella segnalata dall’interessato (ad esempio prestazione su tre giorni settimanali invece che su quattro al fine di rendere meno oneroso l’impegno lavorativo)”.

CM 19.02.1998, n. 62
“Si raccomanda, infine, alle SS.LL., all’atto della trasmissione della presente ordinanza ai capi di istituto, di invitarli a facilitare, nella massima misura consentita dalle esigenze generali di organizzazione didattica, la prestazione di servizio a tempo parziale segnalando, in particolare, l’opportunità di contenere in tre giorni per settimana l’orario di servizio del personale che opti per il tempo parziale verticale.”
C.M. 17.02.2000, n. 45
“Considerato quanto sopra, si desidera attirare l’attenzione delle SS.LL. sulla necessità che :
– nella individuazione delle possibili articolazioni della prestazione lavorativa sia favorita, nella salvaguardia della esigenza della continuità didattica delle classi e del principio della unicità del docente per ciascun insegnamento, quella segnalata dall’interessato (ad esempio prestazione su tre giorni settimanali invece che su quattro al fine di rendere meno oneroso l’impegno lavorativo, come già raccomandato nella C.M. n. 62 del 19 febbraio 1998, con la quale è stata trasmessa l’O.M. n. 55 del 13 febbraio 1998);
… Quello che preme sottolineare è la necessità che, in tutte le situazioni di impiego del personale part-time, laddove sia possibile scegliere tra più soluzioni, sia adottata quella che, compatibilmente con le esigenze del servizio, risulti la meno gravosa per il dipendente, al fine di garantire che il diritto alla fruizione del part-time possa essere esercitato in modo pieno e non venga nei fatti reso difficoltoso”.


Il Contratto del 2007

Il rapporto di lavoro a tempo parziale è disciplinato dal CCNL 2007, articolo 39, che prevede la forma del contratto individuale scritto (comma 6), stabilisce la proporzionalità del trattamento economico (comma 10) e l’applicabilità degli istituti normativi previsti per il tempo pieno “tenendo conto della ridotta durata della prestazione e della peculiarità del suo svolgimento” (comma 8).
Il comma 7, distingue le tre tipologie di verticale, orizzontale e misto, con esplicito riferimento al D.Lgs 25 febbraio 2000, n. 61.

7. Il tempo parziale può essere realizzato:
a) con articolazione della prestazione di servizio ridotta in tutti i giorni lavorativi (tempo parziale orizzontale);
b) con articolazione della prestazione su alcuni giorni della settimana del mese, o di determinati periodi dell’anno (tempo parziale verticale);
c) con articolazione della prestazione risultante dalla combinazione delle due modalità indicate alle lettere a e b (tempo parziale misto), come previsto dal decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61.


La norma fondamentale

Il D.Lgs 25 febbraio 2000, n. 61, e successive modificazioni, richiamato nel CCNL all’art.39, è oggi la norma di riferimento fondamentale, attuazione della Direttiva Comunitaria 97/81/CE, norma più recente, di rango superiore, che si applica ai rapporti di lavoro di tutte le amministrazioni  pubbliche. Il decreto recepisce i principi generali della Direttiva europea: non discriminazione e proporzionalità.

– All’art.2 stabilisce che “Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta” nella quale “è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno”.
– All’art.4, comma a, stabilisce il principio di non discriminazione: “il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile”.
– All’art.4, comma b, stabilisce il principio di proporzionalità: il trattamento del lavoratore a tempo parziale è “riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa”.
– All’art.10 prevede che “le disposizioni del presente decreto si applicano anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.

Corollario n.1 – Nessun aggravio rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile
Il principio di non discriminazione vieta che il lavoratore a tempo parziale possa avere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile.
Esempio: se le 18 ore a tempo pieno sono svolte in 5 giorni, articolare 12 ore su 4 giorni diventa molto penalizzante qualora il lavoratore abbia chiesto il verticale e non il misto, a fronte della decurtazione di 1/3 di stipendio.
La consuetudine delle 18 ore su 5 giorni settimanali è radicata e generalizzata, costituisce fonte del diritto. A questa dobbiamo fare riferimento per il “ lavoratore a tempo pieno comparabile”.
Lo stesso Ministero aveva riconosciuto che una prestazione a part time su 4 giorni piuttosto che 3, rende più oneroso l’impegno lavorativo (CM 45/2000). Si tratta pertanto di una disparità di trattamento manifestamente in contrasto alla norma.

Corollario n.2 – Proporzionalità anche per le attività funzionali
In base al principio di proporzionalità, il trattamento del lavoratore a tempo parziale va riproporzionato “in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa”.
Il principio è recepito nel CCNL: “il trattamento economico del personale con rapporto di lavoro a tempo parziale è proporzionale alla prestazione lavorativa” (art.39, comma 10). La proporzionalità della retribuzione è riferita all’intera prestazione lavorativa per 9/18, 10/18, 12/18, a seconda dei casi.
Quindi, se per il docente a tempo pieno gli obblighi di lavoro contrattuali relativi alle attività collegiali sono “fino a 40 ore annue”, per il docente a part time sono automaticamente “riproporzionati” nella retribuzione. Lo dice il D.Lgs 25 febbraio 2000, n. 61. Lo dice il Contratto.
E prima ancora lo dice la Costituzione, che all’articolo 36 riconosce il diritto ad una retribuzione proporzionata al lavoro. Imporre obblighi non retribuiti sarebbe illegittimo, discriminatorio, e perfino incostituzionale.

La Nota chiarificatrice
Riconoscere l’evidenza non è stato facile. Ci sono voluti anni di contenziosi e una marea di lamentele presso i sindacati.
Il parere risolutivo è stato quello della Nota dell’USR Veneto del 13 dicembre 2010, a firma dell’allora direttore generale Carmela Palumbo, oggi a capo della Direzione generale per gli Ordinamenti scolastici e la Valutazione del Sistema Nazionale di Istruzione. La comunicazione è stata inviata ai Dirigenti Scolastici, ai Dirigenti degli Uffici Scolastici Territoriali del Veneto, ai Responsabili regionali delle Organizzazioni Sindacali.
La Nota riconosce il principio di proporzionalità con riferimento all’articolo 29, comma 3, lettere a) e b) del CCNL vigente, ovvero alle attività sia del Collegio sia dei Consigli di classe.
Di conseguenza, “dovranno essere adottate, dalle Istituzioni scolastiche soluzioni organizzative che consentano al docente part time di partecipare a quelle attività collegiali valutate indispensabili. Il Dirigente Scolastico dovrà quindi fornire al docente part time un calendario individualizzato delle attività funzionali all’insegnamento, ove risulti esplicitato l’ordine di priorità delle sedute, compatibili con il suo orario di servizio e ritenute assolutamente necessarie all’espletamento del servizio medesimo”.
“Quanto sopra -conclude la Nota- in coerenza con la ratio della norma che presuppone una stretta correlazione tra monte di insegnamento e partecipazione alle attività a carattere collegiale”.


Le nuove norme sulla trasformazione del rapporto

Negli anni recenti, nuove norme hanno introdotto delle novità circa la trasformazione del rapporto.
L’accoglimento della domanda è oggi subordinato ad una “valutazione discrezionale dell’amministrazione interessata”, che può rigettare l’istanza nel caso di sussistenza di un pregiudizio alla funzionalità dell’amministrazione stessa (art. 73 ex DL 112/2008, convertito in Legge 133/2008).
Nelle intenzioni, l’eliminazione di ogni automatismo aveva lo scopo di razionalizzare e ottimizzare l’utilizzo delle risorse umane. L’effetto però è stato l’aumento del contenzioso, conseguente ad una errata interpretazione a danno soprattutto delle lavoratrici donne, spesso impegnate nella cura dei figli e dei familiari bisognosi di assistenza.
Per questo è intervenuta la Circolare Funzione Pubblica 30 giugno 2011, n. 9, che detta gli indirizzi applicativi a tutte le amministrazioni.
L’attenzione si concentra soprattutto sulla “valutazione discrezionale dell’amministrazione interessata” e ne fissa i criteri. La valutazione dell’istanza si basa su 3 elementi: 1) la capienza dei contingenti fissati dalla contrattazione collettiva in riferimento alle posizioni della dotazione organica; 2) la possibilità di conflitto di interessi con altri lavori eventualmente svolti dal dipendente; 3) l’impatto organizzativo della trasformazione, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, alla congruità del regime orario e alla collocazione temporale della prestazione lavorativa proposti.
La valutazione va fatta attraverso “una seria ponderazione degli interessi in gioco: da un lato l’interesse al buon funzionamento dell’amministrazione, dall’altro l’interesse del dipendente ad organizzare la propria vita”. In certi casi, il lavoratore può essere titolare di un interesse protetto, di un titolo di precedenza o di un vero e proprio diritto alla trasformazione del rapporto (v. paragrafo Le situazioni da tutelare).
In caso di diniego, “le scelte effettuate devono risultare evidenti dalla motivazione”, per permettere al dipendente di conoscere le ragioni dell’atto, di ripresentare nuova istanza o consentire l’attivazione del controllo giudiziale. Si raccomanda di adottare una motivazione puntuale, evitando l’uso di clausole generali o formule generiche “per limitare il rischio di pronunce giudiziali sfavorevoli all’amministrazione”.
Se la domanda è ritenuta accoglibile, ma con diverse modalità, per “perfezionare l’accordo” è necessaria una nuova manifestazione del consenso da parte del lavoratore interessato. In pratica, un ri-negoziazione.
Una “eventuale modifica” del rapporto di lavoro richiede comunque l’accordo tra le parti, che è condizionato al rispetto dei principi di correttezza e buona fede.
Prima della trasformazione, va comunque accordato al dipendente un “congruo periodo di tempo, in modo che questi possa intraprendere le iniziative più idonee per l’organizzazione della vita personale e famigliare”.
In sostanza, viene ribadito che il Contratto individuale presuppone un accordo tra le parti e che le scelte dell’amministrazione, se diverse dall’opzione indicata dal lavoratore, devono essere motivate da oggettive circostanze organizzative.

“La valutazione circa la sussistenza dei presupposti per la concessione o delle condizioni ostative, come pure quella relativa alla collocazione temporale della prestazione proposta dal dipendente e alla decorrenza della trasformazione, non può che essere svolta in concreto, in base alle circostanze fattuali particolari che l’amministrazione è tenuta ad analizzare. In caso di esito negativo della valutazione, le scelte effettuate devono risultare evidenti dalla motivazione del diniego, per permettere al dipendente di conoscere le ragioni dell’atto, di ripresentare nuova istanza se lo desidera e, se del caso, consentire l’attivazione del controllo giudiziale. In proposito, anche per limitare il rischio di pronunce giudiziali sfavorevoli all’amministrazione, si raccomanda di adottare una motivazione puntuale, evitando l’uso di clausole generali o formule generiche che non sono utili allo scopo. Qualora l’amministrazione ritenesse accoglibile la domanda del dipendente ma con diverse modalità rispetto a quelle prospettate, al fine di perfezionare l’accordo, sarebbe comunque necessaria una nuova manifestazione del consenso da parte del lavoratore interessato”.

“In ordine all’impatto organizzativo, la relativa valutazione deve essere operata analizzando le varie opzioni gestionali possibili, ad esempio, verificando la possibilità di spostare le risorse tra più servizi in modo da venire incontro alle esigenze dei dipendenti senza sacrificare l’interesse al buon andamento dell’amministrazione. Inoltre, la valutazione va fatta attraverso una seria ponderazione degli interessi in gioco: da un lato l’interesse al buon funzionamento dell’amministrazione, dall’altro l’interesse del dipendente ad organizzare la propria vita personale nella maniera ritenuta più soddisfacente per le esigenze famigliari o di cura, per le aspirazioni professionali o semplicemente nel modo che considera più gradevole”.


Le situazioni da tutelare

Nella trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, il dipendente può essere titolare di un interesse protetto, di un titolo di precedenza o di un vero e proprio diritto alla trasformazione del rapporto.
L’articolo 7, comma 3, del D.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce il principio generale secondo cui le amministrazioni “individuano criteri certi di priorità nell’impiego flessibile del personale, purché compatibile con l’organizzazione degli uffici e del lavoro, a favore dei dipendenti in situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare e dei dipendenti impegnati in attività di volontariato”.
L’articolo 12-bis del D.Lgs 25 febbraio 2000, n. 61 specifica alcuni casi. Hanno diritto alla trasformazione del rapporto i lavoratori del settore pubblico e di quello privato affetti da patologie oncologiche con ridotta capacità lavorativa. Hanno titolo di precedenza nella trasformazione del rapporto: a) i lavoratori il cui coniuge, figli o genitori siano affetti da patologie oncologiche; b) i lavoratori che assistono una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa; c) i lavoratori con figli conviventi di età non superiore a tredici anni; d) i lavoratori con figli conviventi in situazione di handicap grave. Altra situazione meritevole di tutela è quella dei familiari di studenti che presentano la sindrome DSA (legge n.170 del 2010).
L’intesa siglata il 7 marzo 2011 dal Ministro del lavoro e da tutte le parti sociali, a sostegno delle politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro e di crescita dell’occupazione femminile, prevede fra l’altro la possibilità della trasformazione temporanea del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale, per un periodo corrispondente almeno ai primi tre anni di vita del bambino, ovvero per oggettive e rilevanti esigenze di cura di genitori e/o altri familiari, entro il secondo grado, con diritto al rientro a tempo pieno. L’intesa ha lo scopo di rendere la flessibilità “family friendly” un elemento organizzativo positivo.
Oltre alla casistica tipizzata nella normativa sopra richiamata, il dipendente è comunque titolare di un interesse tutelato alla trasformazione del rapporto a tempo parziale “per organizzare la propria vita personale nella maniera ritenuta più soddisfacente per le esigenze famigliari o di cura, per le aspirazioni professionali o semplicemente nel modo che considera più gradevole” (Circolare Funzione Pubblica 30 giugno 2011, n. 9).


Le sentenze del Giudice del Lavoro e i nodi da sciogliere

Per il docente che sceglie il part time verticale resta aperto il problema della calendarizzazione degli impegni funzionali all’insegnamento.
Se guardiamo il il D.Lgs 25 febbraio 2000, n. 61, il contratto individuale deve contenere la “puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno”.
Ma due sentenze del Giudice del Lavoro non lasciano spazio alla richiesta che le attività funzionali ricadano nei soli giorni lavorativi. Del resto, anche il lavoratore a tempo pieno comparabile può avere alcune attività funzionali nel giorno libero. Dunque sembra non esserci “discriminazione”.
La prima in ordine di tempo è la sentenza n. 322 del 08/02/2008 del Tribunale di Ferrara. Il Giudice ha riconosciuto “una certa controvertibilità dei criteri in punto di determinazione degli orari”, tanto da stabilire la compensazione delle spese per il ricorso. Ma ha concluso che la partecipazione agli impegni di carattere funzionale “è doverosa, a prescindere dalla circostanza che gli stessi ricadano nelle giornate o nelle ore contrattualmente prescelte per lo svolgimento della attività lavorativa”. Tanto più che, nello specifico caso, il dirigente aveva calendarizzato tali impegni in modo proporzionato alla quantità di part time pattuito.
Sulla stessa linea si colloca sostanzialmente la sentenza n. 896 del 17/11/2011 del Giudice del lavoro di Perugia, pur con una angolazione diversa. Se il dirigente fissa le riunioni nei giorni liberi, non si può parlare di mobbing.

Resta aperto il problema: il part time verticale è reale o virtuale?
La soluzione potrebbe essere nelle “clausole flessibili e clausole elastiche” che i contratti collettivi possono stabilire (D.Lgs 25 febbraio 2000, n. 61, articolo 3). Bisognerà però attendere il prossimo Contratto Scuola.

RIEPILOGO FONTI NORMATIVE (in ordine cronologico)

  • O.M. 22 luglio 1997, n. 446.
  • CCNL 29.11.2007, Art. 39 – Rapporti di lavoro a tempo parziale (personale docente).
  • Circolare MPI 19.02.1998, n. 62 (Trasmissione O.M. n. 55 del 13.2.1998).
  • C.M. 17.02.2000, n. 45, Rapporto di lavoro a tempo parziale del personale della scuola.
  • D.Lgs 25 febbraio 2000, n. 61 (attuazione della Direttiva Comunitaria 97/81/CE), modificata di recente dalla L. 12.11.2011, n. 183; e L. 28.06.2012, n. 92.
  • Circolare Funzione Pubblica 30 giugno 2011, n. 9.

 

* pubblicato sul sito di Gilda degli insegnanti di Venezia