E se ritornassimo a Cartesio?

E se ritornassimo a Cartesio?
Per una metafora della didattica del dubbio  

di Mariacristina Grazioli

 

 

Tra le mille ipotesi, una cosa è certa: la società di oggi – così come la viviamo, la pensiamo o anche solo la ipotizziamo – ci introduce nell’area del “se”, del “ma”, del “forse”.

E’ il probabile il luogo più certo della vita.

La liquidità di Baumann e la trasparenza di Vattimo sono ancora ben radicate e non certo superate.

Il dubbio alberga nelle anse più solide di ogni strato sociale e nelle pieghe private delle menti, siano esse giovani ed agili che adulte, ben consapevoli ma un poco attardate.

Occorre che il dubbio e il metodo dell’errore consapevole non rimangono sul precipizio dello spaesamento.

Partiamo allora da una certezza, quasi un assioma.
Partiamo da lontano, anzi lontanissimo: partiamo da Cartesio.

 

E come diceva Cartesio: se l’unica cosa certa è il dubbio, dunque…

 

 

Lesperienza filosofica del pensiero: il valore del dubbio

Cogito ego sum, o meglio esisto perché penso.

Come dice Cartesio, agire attraverso il pensiero equivale ad assumere il metodo (mathesis) che non può che coincidere con il dubbio. In effetti laddove la mente umana si realizza nella scienza (cartesiana), e si occupa solo di oggetti che conosce perfettamente, tendenzialmente esclude tutto ciò che è dubitabile.

Attraverso un attento procedimento di analisi dell’evidenza, di sintesi e di enumerazione, l’intuito e la deduzione aprono le frontiere al pensare.

La conoscenza e gli oggetti del sapere sono sottoposti insindacabilmente al test del dubbio: è attraverso una radicalizzazione del concetto di Indubitabile e di Vero che il nostro Cartesio fissa il procedere della “meta-fisica”.

Nel pensiero cartesiano il dubbio crea: il dubbio determina l’IO pensante.

Si tratta allora di un dubbio metodico e antiscettico, capace di costruire conoscenza; anzi pare proprio l’unico metodo possibile per procedere alla conquista della verità.

La conoscenza è un atto dinamico e dipende dalle nostre idee che sono la facoltà di pensare a qualcosa, attraverso passaggi graduali. Leibniz identifica in conoscenza oscura ciò che non pare sufficiente a far riconoscere la cosa rappresentata; chiara ma confusa ciò che non è sufficiente a far riconoscere le caratteristiche che distinguono una cosa rispetto alle altre simili. Sarà solo la conoscenza chiara e distinta l’area di massima espressione del pensiero.

Nel Trattato sull’emendazione dell’intelletto, Spinoza descrive tre generi di conoscenza con cui noi percepiamo le cose e forniamo nozioni universali quali immaginazione, ragione e scienza intuitiva.

Tre autori del razionalismo ante litteram, tutti da riscoprire in un mondo dove le competenze e le conoscenze sono da rifondare, alla luce del nuovo linguaggio digitale e in relazione agli orizzonti socio-culturali post moderni.

Sembra propio che il processo di conoscenza sia tutt’altro che immediato, tutt’altro che stabile, ben diverso dal concetto di apprendimento per assimilazione mnemonico e di acculturazione per sedimentazione…

Siamo agli albori delle ricerche metafisiche sulla mente, nella piena ricerca speculativa del concetto di pensiero e ragione. Il desidero di scoperta e di senso del razionalismo metafisico ha riscoperto l’evidenza del mondo.

Oggi, un nuovo desiderio di scoperta avanza: il funzionamento delle mente ora domina la scena culturale e scientifica.

Ma è l’esercizio del dubbio di cartesiana memoria che ci invita al cogito e dunque alla prudenza…

 

Le attività didattiche e le neuroscienze

Non vi qui è la necessità di fare un trattato di analisi di matrice neuroscientifica, ma è certo che le nuove frontiere della ricerca hanno dato interessanti sviluppi alla nuova concezione sulle capacità di apprendimento, anche in contesti formali quali la scuola.

Il tema della didattica inefficace è al centro di dibattiti di ricerca sempre più estesi e si esprime in un fenomeno che fa discutere anche l’opinione pubblica, se pensiamo alla spesa nazionale pro capite che sostiene la Repubblica per l’Istruzione nazionale e i risultati deludenti delle performance degli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, ben conclamati nei numeri dell’abbandono scolastico.

Non è infatti un mistero che la scienza dell’apprendimento e dell’insegnamento sia intrisa di falsi miti. E’ proprio questa è l’area di analisi di Paul Howard Jones che ha esplorato le credenze e le certezze dei docenti in ambito neuroscientifico.

In uno dei suoi ultimi lavori sostiene che i pregiudizi culturali e la confusione linguistica che proliferano tra i neuoscienziati e gli esperti dell’educazione non fanno certo bene al potenziale dell’apprendimento delle persone.

Molti insegnanti basano le loro tecniche didattiche ed educative su false credenze, non supportate da basi scientifiche; anche le loro competenze sulle modalità di funzionamento della mente e del cervello – in quanto organo – risultano non tempre adeguate.

E’ stupefacente vedere come chi deve pilotare una macchina non ne conosca la struttura del motore, e sono ancora più stupefacenti le resistenze alle necessarie attività professionali di formazione ed aggiornamento – che sarebbero assai utili a conoscere le condizioni neuro-scientifiche – per avere un approccio corretto alla costruzione di un attività didattica significativa.

L’auspicio è quello di una sempre maggiore e più stretta collaborazione tra le neuroscienze (che devono imparare a sfatare i cosiddetti neuromiti) e il mondo dell’educazione. A partire dalla costruzione di campi di ricerca comuni e di comuni linguaggi, ricerca scienza ed educazione devono imparare a cooperare, a tutto a vantaggio della didattica di aula e al fine di promuove lo sviluppo delle capacità cognitive attraverso il pensiero e – conseguentemente – il pensiero attraverso la conoscenza.

 

Strumenti per pensare

L’apprendimento senza pensiero è mero esercizio mnemonico. Dunque occorre pensare o quantomeno avere il coraggio di voler pensare. In effetti pensare costa fatica, pensare è difficile.

“Pensare a certi problemi è così difficile che il solo pensiero di pensare a quei problemi può fare venire il mal di testa”.

Sono parole del filosofo Daniel Dennett che non nasconde la sua personale apprensione per lo strumento principe delle sue attività, ma non cede alla tentazione dell’abbandono al conformismo e lascia tanti piccoli sassi nello stagno della conoscenza: ecco che nascono i suoi magnifici e singolari “strumenti per pensare”. Certo non si tratta di un ricettario di idee e risposte, ma invero di una sfida al conformismo in cui spesso il ragionamento si accomoda supinamente.

Tra gli “strumenti” di Dennett (strumenti per pensare al significato, per pensare all’evoluzione, alla coscienza e al libero arbitrio) sono assai stimolanti le modalità per accendere la mente e per liberare le energie di un apprendimento innovato, dove l’errore è già parte della conoscenza stessa.

Errore e dubbio come metafora del pensiero; l’errore è in fondo la chiave più giusta per fare progressi…

L’uomo di cultura ha un compito: seminare dubbi e non raccogliere certezze. Norberto Bobbio auspica un modello di neo-umanesimo che si rifà all’idea del divenire e che relega il pensiero unico tra le armi antidemocratiche.

L’invito allora è quello di dare maggior attenzione ad una didattica caratterizzata dal ricorso al valore dell’errore, basata

sull’esperienza ragionata, fondata sul dubbio razionale. Per certi versi siamo in pieno accordo con le migliori esperienze della didattica della ricerca, ma l’auspicio è di andare oltre.

 

Le 5 intelligenze, e forse qualcuna in più…

Intelligenza disciplinare, intelligenza sintetica, intelligenza creativa, intelligenza rispettosa, intelligenza etica: ecco le cinque chiavi di H. Gardner per accedere al futuro incerto.

Non si fa mistero – nel pensiero sotteso al testo – che le nuove forme di apprendimento richiesto dallo straordinario e vorticoso processo evolutivo della società attuale non possano prescindere da nuovi modi di pensare, sia a scuola che sul lavoro, nella vita privata, così come nella vita pubblica.

Pare quindi assodato che il dubbio rappresenti lo strumento per eccellenza delle capacità del pensiero dell’uomo, tanto da creare un’area che supera l’intelletto e porta all’intelligenza, intesa come massima forma di adattamento all’ambiente, tanto per citare il mai banale Piaget.

Il contesto scolastico, dove gli apprendimenti sono organizzati con forma e metodo costante, deve sapere sviluppare una didattica del dubbio. Dubbio come cogito cartesiano: dubito dunque penso e se penso sono…

L’esperienza didattica deve pertanto assumere i connotati della formazione life long learning che massimizza l’esposizione ai modelli formativi, indipendentemente dai contesti scolastici di riferimento. Attraverso il superamento del modello lineare e cumulativo di acquisizione nozionistica, il nuovo uomo del terzo millennio adatta le sue competenze metacognitive alla luce dei “nodi di competenze diverse e interscambiabili”, tra le “reti delle conoscenze”, nelle “relazioni tra apprendimenti disciplinari e multidisciliplinari”.

Inevitabile pensare che la complessa sfida per la conquista del sapere sarà garantita dal metodo del dubbio.

 

Il dubbio nellera digitale

L’era digitale ha diffuso un sottile entusiasmo tra vecchi e nuovi adepti dei sistemi tecnologici.

Il New Millennium Learning però ci consegna un quadro piuttosto sconcertante: le tecnologie digitali modificano i comportamenti sociali e cognitivi e nascono nuovi abitanti del sapere, chiamati nativi digitali. Non è una idea vaga, ma una ipotesi fondata da analisi comparate e sostenute da vari campi di ricerca.

Da questi studi emerge che – incredibilmente – l’uso a scuola delle tecnologie digitali non è così rilevante come quello dei contesti familiari e sociali.

L’utilizzo delle tecnologie digitali nei nostri Istituti (sia quelli italiani che quelli degli scenari internazionali più avanzati) è limitato ai docenti “immigranti digitali” più preparati (e il dato a volte è sconfortante), ma il setting di esperienze educative dei ragazzi non coincide del tutto con il mondo digitale, poiché la scuola sa offrire ancora contesti alternativi.

E ciò è un bene, anche se da qualche pulpito questo è un indice di arretratezza…

I nativi vivono in un mondo dove il “virtuale” è una manifestazione del “reale”.

Essi ”crescono, apprendono, comunicano, socializzano all’interno di questo nuovo ecosistema mediale, vivono nei media digitali, non li utilizzano semplicemente come strumenti di produttività individuale e di svago, sono in simbiosi con loro”.

Se questo è il quadro, la capacità di pensare è condizionata dalle nuove forme digitali, dai codici e dai generi del multimediale.

I nativi hanno un approccio pragmatico alla cognizione: essi sperimentano naturalmente la pedagogia dell’errore.

L’apprendimento per successive approssimazioni, secondo la logica abduttiva di Peirce, allontana i nativi dal pensiero aristotelico, ma anche da quello galileiano. In effetti il modello di acquisizione per ricerca e per pratiche – tipico dei nativi – prevede una scarsa valorizzazione dell’errore in senso cognitivo: l’errore fa cambiare strada repentinamente per ottenere il risultato sperato, ma non fa pensare con la lentezza necessaria a ponderare e a sedimentare.

In ogni caso, il nuovo approccio alle conoscenze attraverso la cultura partecipativa tipica del learning by doing e del learning by experience, unitamente all’interazione transmediale dei contesti digitali, impone all’istituzione scuola un ripensamento delle didattiche, necessariamente adattate alle indiscutibili richieste di apprendimento dei nativi.

Ecco allora che il “pensiero” cartesiano fa necessariamente capolino, onde evitare che l’epoca nuova possa approssimare la massima da “cogito ergo sum” a “digito ergo sum”.

Il dubbio nell’era digitale ha dunque a che fare con la pazienza e l’attesa e la frustrazione che ne può conseguire. Si costruirà conoscenza e sapere solo arginando l’onnivoro multitasking digitale con il più sapiente e lento cogito.

 

La metafora della nuova didattica: il relativismo buono

Raymond Boudon traccia le linee del relativismo cognitivo sintetizzandolo in “un punto di vista sulla conoscenza”.

Tra il pensiero degli scienziati, e quello dell’uomo comune con cultura ed istruzione (ma anche dell’uomo senza istruzione) non vi è differenza: semmai la differenza è di grado, ma non di natura.

Tutti sono in grado di ragionare poiché non esiste un ragionamento pre-logico o primitivo. Esiste un concetto di razionalità non di tipo esclusivamente strumentale: una versione cognitiva secondo cui le persone hanno come obiettivo la ricerca del vero, non dell’utile e lo raggiungono attraverso un ragionamento soggettivo.

Il concetto che ci suggerisce l’autore è permettere all’individuo di sviluppare il ragionamento che gli è proprio in contesti differenti, sia sociali che mentali, imparando ad analizzare bene “l’apparente caos del divenire”.

In conclusione l’auspicio che l’individuo sia preparato al domani, comporta una profonda responsabilità didattica dell’agire quotidiano di coloro che sono deputati a curare lo sviluppo del massimo potenziale dei nostri alunni. In altri termini ”da questo dipende la comprensione dell’Altro, del mondo, del divenire storico, così come l’approfondimento della democrazia e l’accantonamento del relativismo cattivo”.

Si deve passare dal fascino della comunicazione, allattrattiva della razionalità”: il cogito e l’esercizio del dubbio ritornano prepotentemente tra gli strumenti indispensabili del nostro futuro.

 

La sintesi dei pensieri di questo piccolo sunto non vuole rivelare certezze, semmai vorrebbe prospettare uno scenario educativo da esplorare nel prossimo futuro.

Ecco allora il valore del dubbio e il senso della metafora di un didattica del pensiero che dubita e si scopre come metodo fondante dell’agire umano: un buon regalo per l’avvenire radioso dei nostri diciottenni a caccia di verità, in un mondo di probabili certezze…