L’autonomia scolastica resta fragile nonostante il super preside

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da ItaliaOggi

L’autonomia scolastica resta fragile nonostante il super preside

Senza un disegno organico, Non basta dare maggiori poteri

Giovanni Bardi

Non basterà il super preside per far decollare la scuola dell’autonomia, su cui punta il ddl Buona scuola di Renzi. La riforma mancata degli organi collegiali territoriali e la perdita di importanza dei ruoli intermedi sono la prova dell’assenza di un vero sistema a supporto del progetto educativo dell’autonomia. Pensata per affrontare la fase successiva all’alfabetizzazione degli italiani, nel concerto del decentramento amministrativo e degli sviluppi della società della conoscenza, la scuola dell’autonomia avrebbe dovuto innestarsi nel solco della riforma dei decreti delegati per connettere tradizione con innovazione, scuola al territorio. La riforma degli organi collegiali territoriali, l’istituzione di funzioni obiettivo e della dirigenza scolastica costituivano pezzi di un disegno organico rimasto però solo sulla carta.

La frettolosa indizione in questi giorni delle elezioni del Consiglio superiore della pubblica istruzione sta a ricordarci quanto fragile sia rimasta l’autonomia scolastica. Ragioni tecnico-amministrative, complicate forse dal continuo turn over di ministri e dallo spoil system, hanno contribuito ad impedire l’istituzione dei consigli locali e regionali pensati sin dall’estate del 1999, subito dopo lo storico varo, in primavera, del regolamento dell’autonomia scolastica. Essa è così nata senza il contrappeso collegiale territoriale, il che ha favorito il ripiegamento verso l’autoreferenzialità delle scuole da una parte, dell’amministrazione dall’altra.

A proposito poi dello stato giuridico docente: perché gettare alle ortiche l’esperienza delle funzioni strumentali? Inserite sin dal primo contratto collettivo nazionale, le funzioni strumentali alla realizzazione del Pof rappresentavano un trait d’union unico tra passato e futuro della professione docente. Senza contare il fatto che la funzione strumentale costituiva oggetto di consenso, dal momento che risultava eletta dal collegio dei docenti. Invece di vederne aumentati i margini operativi, giuridici, valutativi e contrattuali si è assistito al suo progressivo indebolimento. Quest’anno per le funzioni strumentali i soldi arrivati con il fondo di istituto sono stati dimezzati.

Ecco allora la brusca sterzata tecnocratica degli ultimi tempi e il riferimento inevitabile, nella riforma targata Matteo Renzi, alla figura del superpreside. Il dirigente scolastico è chiamato a garantire l’unitarietà del sistema, esercitando la propria autonomia nel rispetto degli organi collegiali, di cui in qualche caso è anche presidente. Non a caso se ne parla accostandolo alla figura del sindaco. Allo stesso tempo però resta escluso dal ruolo unico dei dirigenti della pa, quelli cioè con funzioni manageriali, per finire assimilato alla dirigenza professionale, come un medico. Se non se ne chiariscono i contorni, la questione dei presidi rischia di prendere una piega pirandelliana. All’alba della Buona scuola, insomma, serve soprattutto chiarezza di intenti, a partire dall’idea di progetto educativo incarnato dall’autonomia scolastica e dal corrispettivo sistema organizzativo e di valutazione che lo supporta.