Riti legittimi incomprensibili

RITI LEGITTIMI INCOMPRENSIBILI

di Alessandro Basso

 

La polemica nei confronti del D.D.L La buona Scuola di questi giorni non mi rappresenta e forse non sono l’unico, non tanto perché non si possano trovare degli elementi di criticità da esprimere nelle forme e nei modi opportuni, ma perché i caratteri che sta assumendo questa protesta a tutto porteranno meno che al bene della scuola.

Di fronte ad un protagonismo critico a volte incomprensibile, quanto legittimo e democratico, si coglie un silenzio assordante da parte dei docenti che stanno già facendo la Buona Scuola.

Chi li rappresenta? Forse siamo noi presidi a rappresentare i buoni docenti, perché siamo perfettamente in grado di individuarli e di sostenerli e nei confronti della nostra utenza e nei confronti dell’opinione pubblica.

La preoccupazione di fronte ad un cambiamento è fisiologica, ma il terrore preventivo pare assolutamente ridondante.

Quale preside non è in grado di elencare, uno per uno, i buoni docenti di cui dispone? Perché, parimenti, non può avere la possibilità di intervenire nei confronti di quelli che sono meno brillanti?

Non è forse questo che le famiglie ci chiedono? Proviamo, ogni tanto, a metterci dalla loro parte, quando vengono da noi preoccupati quando si verifica qualche criticità a scuola. Perché dobbiamo dir loro, a volte parafrasando, che non possiamo fare niente? È corretto?

Troviamo, invece, dei margini di garanzia per poter sostenere politiche di ri-orientamento del personale, di formazione in servizio obbligatoria.

Come è evidente agli occhi di tutti, la maggior parte dei docenti sono buoni docenti e non sono interessati a questo. Non è giusto non poterli gratificare e non eliminare quell’egualitarismo che nemmeno Don Milani aveva promosso. A chi serve? Quale miglioramento ha prodotto nella scuola?

Nessuno si sta preoccupando dell’immagine che si sta dando di questa scuola nei confronti del mondo di chi lavora nella scuola.

Ieri sera abbiamo assistito, in molti, alla trasmissione “Porta a Porta” e che cosa può aver pensato la gente comune?

Penserà che, ancora una volta, ci sono migliaia di persone da piazzare nel pubblico impiego, perché quello che emerge è proprio questo: il dato occupazionale, prima di tutto. Assumere tutti, subito, poi si vedrà cosa fare di loro.

Possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che ci siano spazi di perfezionamento, così come è assolutamente fisiologico che chiunque possa esprimere il proprio malcontento anche in maniera molto franca.

Lascia perplessi, mi sia consentito dirlo, che questa critica sia rivolta ad una riforma di un governo di centro-sinistra dopo che per lunghi anni si è acclamato l’intervento sulla scuola da questa parte politica.

Non sono stati gli insegnanti a non volere la riforma dei Cicli di Berlinguer? Non sono stati gli insegnanti a non volere il tutor e il portfolio?

Forse sarà il caso di riflettere su questo paradigma storico, perché non è così altrettanto filologico che si metta in continuazione mano sulla scuola per preservare alcune sacche di privilegi, che non sono più nemmeno privilegi.

Sul lavoro non si scherza e il dramma del precariato italiano non va assolutamente minimizzato, in quanto c’è stata una complicità diffusa nell’inventare forme di reclutamento incomprensibili (PAS, TFA, concorsi riservati, lauree abilitanti, poi non più abilitanti, poi di nuovo abilitanti).

Non deve sicuramente suonare sinistro che un vertice politico riaffermi il principio che alla Pubblica Amministrazione si accede per concorso, lo dice addirittura la Costituzione.

Non si può riflettere sul fatto che la patologia è diventata ordinaria (le abilitazioni selvagge) e l’ordinario appare patologia (i concorsi).

Allo stesso modo, suscita imbarazzo il dibattito politico sulla necessità o meno di una valutazione del personale. Non è dal D. lgs 29/93 che il rapporto di lavoro nella P.A. è di tipo privatistico? Allora dove sta la sorpresa sul fatto che si debbano valutare le performance delle persone? Non avviene quotidianamente nel privato?

E per primi dovrebbero essere valutati, a mio avviso, i dirigenti scolastici. Gli ultimi assunti, di cui faccio parte, sono pronti e hanno anche effettuato un percorso ad hoc per avviare il sistema, siamo pronti a dare l’esempio.

Non facciamo bella figura, come comparto, a sostenere che la valutazione è l’ultima delle priorità della scuola, da docenti che valutano i loro alunni quotidianamente.

In conclusione, un appello ai buoni docenti e a chi organizza gli eventi di critica televisiva o giornalistica: diamo spazio a questi docenti perché raccontino la bella e buona scuola, perché spieghino che la si può ancora risollevare le sorti di una professione così delicata e così importante.

Questo è quello che auspico dalla Buona Scuola.