Le misure di accompagnamento al RAV

Le misure di accompagnamento al RAV
Accompagnare, spiegare e anche un po’ appassionare

di Mavina Pietraforte 

 

Novembre 2014: presentazione del format Rav nella sala delle Comunicazioni del Miur.

L’elegante Elena Ugolini apre i lavori e presenta il format unico. La Ministra Giannini fa una brillante analisi di cosa voglia dire per le scuola autovalutarsi ed essere oggetto di valutazione, avendo come fine il miglioramento.

Noi dirigenti tecnici e il personale degli Uffici Scolastici Regionali a vivere quel momento, emozionante come dirà la stessa dott.ssa C. Palumbo, a capo della Direzione Generale degli Ordinamenti.

Finalmente un riordino complessivo dei vari percorsi di autovalutazione, alcuni anche molto raffinati, quali quelli afferenti al modello CAF, molto in voga in alcune Regioni, o quelli più istituzionali, come il Vales.

Il format unico del Rav rassicurava, quasi una presenza del Ministero, prima ancora che dell’invalsi, nella percezione di un dirigente del Ministero, in realtà pensiero e volere dell’Invalsi, ma comunque un pensiero razionale, un’autovalutazione su basi uniche, in cui tutte le scuole, chi più avanti nell’autoanalisi, chi meno, potessero avere l’occasione di ricominciare, di riallenarsi, di intraprendere persino un cammino così impegnativo con un afflato comune.

 

Il convincere a livello regionale che non si trattava di gettare alle ortiche quanto di importante fosse stato percorso, si pensi solo agli innovativi passi verso il bilancio sociale e la rendicontazione, sul pensiero di pionieri della valutazione come A.,Paletta, M. Castoldi , solo per citarne alcuni. Ma certamente ci si doveva e si poteva raccogliere intorno al formato unico, rileggere con attenzione le parti e le sezioni del Rav, le aree e le domande guida, capire come le scuole potessero arrivare a darsi un giudizio e prima ancora a motivarlo, ragionando intorno ai propri processi gestionali, organizzativi, per arrivare al nucleo di quelli educativi con gli esiti degli studenti e non solo quelli relativi alle prove Invalsi.

Una bella sfida, un rapporto di autovalutazione che, come è stato detto, “odora di Pof”, lascia perdere quel “cruscotto di indicatori” e quel linguaggio tecno-burocratico della Funzione Pubblica, ma invece si cala nella realtà della scuola, chiede più semplicemente alla scuola di descrivere il proprio contesto, il proprio territorio, le proprie risorse, ovvero i vincoli che ogni scuola ha e dati gli stessi quali processi la scuola è riuscita ad attivare, quindi quali le sue scelte in termini organizzativi, gestionali, tenendo a cuore gli esiti degli studenti, vero “cuore” della scuola.

 

Così accompagnare le scuole con incontri sul territorio, nelle province, è stato come chiedere alle scuole di ripensare il loro modo di guardarsi allo specchio, con un’altra messa a fuoco, più vicina ma anche più lontana perché c’è la possibilità di   guardarsi confrontandosi e in prospettiva di migliorarsi.

Una sfida è stata proporre a platee di dirigenti scolastici e dei loro collaboratori, referenti per la valutazione, un particolare punto di vista: prendere spunto da quello che il Rav non dice, a proposito delle competenze chiave di cittadinanza. Proporre ai partecipanti agli incontri territoriali un nuovo paradigma educativo: adottare una competenza chiave di cittadinanza e rispetto a quella coordinare tutta la didattica di materia. Le discipline che diventano il contenitore di una competenza chiave di cittadinanza che è il  contenuto. Un reticolo di competenze disciplinari riferibili agli assi culturali di cui al “decreto Fioroni” del 2007 per abbracciare una competenza di cittadinanza. Una delle otto, quella che il consiglio di classe vorrà scegliere e su cui impronterà una metodologia didattica tesa a rilevare i momenti in cui quella competenza si manifesta, in modo parziale o globale, in una prova coordinata interdisciplinare di fine quadrimestre.

Ecco che allora gli indicatori che si chiedono alle scuole possono essere la rubrica di valutazione, i criteri scelti per valutare i momenti dedicati all’osservazione dello studente in un contesto dato, nel corso di un team work, o di un rinforzo positivo dell’apprendimento tra pari.

Obiezioni a queste proposte: non si fa in tempo per questo Rav che sarà pubblicato a luglio.

Certo, sarà anche una lotta contro il tempo, ma si può cominciare. Occasionati dal “fare il Rav”, si può reinventare anche il modo di fare scuola che, al di là della politica del BYOD o del tablet per ogni alunno, è pensiero educativo dedicato, è trovare il modo per usare al meglio strumenti anche tecnologicamente avanzati per riuscire nella sfida millenaria di educare, attività umana per definizione.

 

Allora sì che diventa entusiasmante forgiare indicatori e descrittori per il Rav, per autodescrivere quanto si va man mano sperimentando. Un modo per andare oltre   la difficoltà manifestata, incentrata sull’affanno della definizione degli indicatori e dei descrittori, i quali banalmente potrebbero ricondursi al trovare un bel titolo per un tema (l’area del Rav) e una buona argomentazione (i descrittori), riuscendo a maneggiare abilmente il tutto.

Questa via pedagogica sotterranea del Rav per chi voglia percorrerla forse, potrebbe condurre ad una riconsiderazione della metodologia didattica che la scuola propone, aprendo a nuovi orizzonti di senso che davvero potrebbero definire la differenza tra l’una e l’altra scuola, per gli alunni, i genitori, i docenti, il dirigente scolastico, la comunità tutta e anche… per gli ispettori!