Per una succinta eziologia dei “superpoteri” dei ds

Per una succinta eziologia dei “superpoteri” dei ds

di Mavina Pietraforte

 

Sono stata docente a lungo, in un passato prossimo ancora vicino.

Mentre in un passato remoto ricordo il passaggio all’autonomia, un collega convinto che affermava “c’è già l’autonomia” e io perplessa, “ma dove? Come?”.

Non vedevo cambiamenti. Solo successivamente seppi che la preside stava facendo un corso per diventare “dirigente”. Dissero che l’aveva superato con ottimi punteggi. Molti di noi rimasero increduli, conoscendo la nostra preside come persona introversa, poco cordiale, se non a tratti.

Per sua natura era piuttosto diffidente, sostanzialmente incapace di aprirsi alla relazione con l’altro,  quasi spaventata delle dinamiche che avrebbero potuto scaturire dal richiedere collaborazione ad altri che non fosse la sua eterna vicepreside, unica depositaria della sua fiducia.

Tutti noi conoscevamo questo assetto strutturale della sua presidenza, ci chiedevamo come potesse tramutarsi in una persona che non solo comanda, ma dirige, coordina.

La delusione venne strada facendo: le cose non cambiarono affatto.

Ma l’autonomia c’era, insomma, e allora e noi un pomeriggio ci riunimmo, docenti di diverse discipline per attuare una programmazione interdisciplinare (allora non si parlava ancora di competenze), addirittura arrivando ad ipotizzare una diversa articolazione dell’orario. Eravamo in una auletta di fianco al bar, di pomeriggio, finite le lezioni, sinceramente ispirate da questo slancio didattico.

La preside (o meglio la già dirigente) irruppe nel corso della riunione, chiedendoci conto del nostro essere lì, finite le lezioni, ancora a scuola. Le illustrammo il progetto, io le chiesi “si può, preside?”.

E lei no, assolutamente, cosa ci veniva in mente di cambiare, stravolgere gli orari. E la vigilanza? Come faceva lei a sapere chi in quell’ora doveva essere in classe, quale materia si dovesse impartire in quell’ora e non un’altra.

Capimmo che non era possibile. Se c’era l’autonomia, era da un’altra parte. Il volere del dirigente era il volere della legge che prima di tutto significa ordine, disciplina, vigilanza e tutti al suo posto.

Controllo.

Controllo che poi si accentuò, con la dirigente che subentrò a quella ormai andata in pensione, sentito l’affanno greve di tener dietro a tutte le novità legislative che dal 2000 in avanti si andavano succedendo.

E venne questa nuova dirigente, insieme con la “riforma Brunetta” (dlgs 150/09) e si suoi poteri disciplinari in mano al dirigente. Il responsabile della struttura, ovvero a scuola (che è pubblica amministrazione – dlgs 165/01 art. 1, comma 2 ),  il dirigente scolastico (art. 25 comma 2 dlgs 165/01), istruisce e conclude il procedimento disciplinare per fatti di minore gravità, o per quelli di maggiore gravità, deferisce gli atti all’Ufficio Procedimenti disciplinari (l’art. 55 bis nel dlgs 165/01 come introdotto dall’art. 69 dlgs 150/09.

Ma non avevamo già il T.U. 297/94, con il   rimprovero scritto, la censura, la sospensione?

Il caro, vecchio Testo Unico, pensato, riflessivo, articolato in tanti aspetti, proprio solo dedicato al mondo della scuola. Non bastava?

No, non basta più. Ora c’è un dirigente a scuola.

I docenti sono impiegati dello Stato e come tali possibili fannulloni. E allora il dirigente può e deve punirci, altrimenti sarà lui stesso punito.

Così assistemmo noi docenti di quella scuola un passaggio strano: da una preside autoritaria, ma tutto sommato goffa e in fin dei conti rispettosa di quelli di cui riconosceva il valore, seppure distorta nel suo sguardo sui docenti da un’onnipresente vicepreside che catalogava a suo modo e distingueva tra “simpatici” e “antipatici”, ad una nuova dirigente ben contenta dei suoi “superpoteri” disciplinari che anzi, non vedeva l’ora di mettere alla prova.

Al minimo scontro con qualche facinoroso che di sicuro non sarebbe mancato, vista l’usura quotidiana del dover eseguire a volte senza trovare il senso di quello che si doveva fare, se non ritrovandolo in classe con gli alunni, di sicuro quel decreto 150 sarebbe tornato utile.

Ecco, questi due passaggi, autonomia e dirigenza li ho visti così, nelle mani dei presidi prima e dei dirigenti poi.

Infine sono uscita dalla scuola, ma la nostalgia per un mondo possibile, dove i docenti si scelgono il proprio rappresentante, affinché non debbano sentirsi umiliati, affinché il loro lavoro sia solo quello libero di esprimere le proprie idee cercando di spiegarle alle nuove generazioni, apprendendo anche dalle loro risposte, e comprendendo il tempo che passa e quali siano i valori che riescono a tener desta l’attenzione dei giovani, quella nostalgia me l’ha evocata una docente fra gli scioperanti di ieri, quando l’ho sentita esclamare, in uno dei tanti cortei ripresi in TV, “siamo noi che facciamo la scuola, noi che entriamo in classe”.