Parlare di scuola, tra grandi narrazioni e storytelling

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Parlare di scuola, tra grandi narrazioni e storytelling

di Piervincenzo Di Terlizzi

Di cosa parliamo, quando parliamo di scuola?

“Dalla scuola si vede il vuoto della politica”, così intitola Massimo Cacciari la sua settimanale nota su L’Espresso: mancherebbe insomma, nel disegno di legge detto della “buona scuola” un approccio complessivo, un’ampia visione politica dell’istituzione scolastica -cosa che, secondo l’ex sindaco veneziano, ne segna un elemento di debolezza.

Posto pure che si voglia riconoscere anche questo come uno dei limiti della proposta del Governo (uno tra i tanti, che in queste settimane vengono da più parti indicati), appare peraltro vero che la mancanza di una “grande narrazione” (per usare la nota immagine del libro di Lyotard del 1979) sulla scuola è cosa ben più antica del d.d.l. 2994.

Una conferma, in merito, la fornisce anche una significativa battuta del presidente del Consiglio, il quale durante una trasmissione televisiva della domenica ha affermato che è finita l’era del “sei politico” nella scuola: un riferimento, appunto, che è  parte di un immaginario collettivo sulla vicenda scolastica che rimonta, almeno, nella sua formazione, a 40 anni fa (e che è di origine universitaria), ad anni in cui le “grandi narrazioni” ancora avevano cittadinanza.

Una “grande narrazione”, peraltro, (e non certo solo da oggi) non appare propria né della scuola, né del resto del nostro vivere sociale: si tratta di uno dei noti segni della condizione postmoderna, sulla quale, quanto alla scuola, ha scritto pagine illuminanti Antonio Scurati ne Il sopravvissuto e ne Il bambino che sognava la fine del mondo.

Senza nostalgie -buone per consolarsi, ma poco utili per comprendere le cose-, una “narrazione” della scuola, più che “grande racconto” oggi ha, caso mai, le fattezze dello storytelling che nasce dalla condivisione vissuta  dell’esperienza.

Essa difficilmente può eludere lo status “iperlocale” di ogni singola scuola, la quale è nodo di una rete di relazioni, che partono dai singoli territori (magari piccoli, ma non certo semplici -cosa c’è di semplice in un sia pur piccolo quartiere di un qualsiasi luogo, oggi?) e guardano verso la complessità del mondo.

Qui entra in gioco il carattere specifico della scuola, che è la mediazione le micro e le macrodimensioni di questa complessità (giusto per fare un esempio, dando un contributo a rendere comprensibili, nelle singole comunità, quegli opendata che tanto dicono di noi, ma che vanno sempre contestualizzati), garantendo, nello sforzo di conoscenza attiva e partecipata, la coerenza sociale.

Qualunque discorso si faccia oggi sulla scuola, di qui, inevitabilmente, ogni tentativo di senso e racconto al suo riguardo ha da passare.