Valutazione: né quisquilia, né pinzellacchera

Valutazione: né quisquilia, né pinzellacchera

di Cosimo De Nitto

Ci sono due tipi e due modi di fare valutazione in base agli obiettivi che ci si pone:
1) per differenziare, punire, premiare, escludere, includere (competizione, emulazione, convergenza sul modello);
2) per migliorare tutti e ciascuno.

La valutazione è interna al processo formativo (valutazione formativa), è una componente per cui ciascuno ha i propri obiettivi di crescita, non in competizione, ma insieme agli altri che non limitano ma potenziano il processo formativo.
La relazione cooperativa, empatica, l’aiuto reciproco tra pari potenziano e migliorano la qualità dell’apprendimento. L’apprendimento ha una forte dimensione sociale oltre quella individuale. Escludere la dimensione sociale e limitare l’apprendimento e la formazione ad un processo esclusivamente individuale sviluppa l’individualismo, la competizione, inquina le relazioni sociali, la cittadinanza, limita le capacità e le potenzialità delle persone.

A scuola si vogliono valutare gli insegnanti per assegnare un premio ad alcuni (pochi) ed escludere gli altri (molti), non per farli crescere professionalmente, non per mettere tutti in condizione di migliorare le proprie competenze didattiche.

Quando si parla della valutazione degli insegnanti si chiariscano prima di tutto gli obiettivi, si faccia poi la scelta del modello di valutazione. Nel ddl le scelte valutative del governo sono del primo tipo, si valuta per premiare e per punire nella vana speranza, forse, che l’interesse individuale del piccolo premio o la paura della punizione, della umiliazione e stigmate professionale automaticamente producano effetti di stimolo e miglioramento. Gli insegnanti non rifiutano la valutazione, ma non accettano che questa sia usata come arma per mortificarli, discriminarli più ancora di quanto non avvenga già da parte delle politiche scolastiche del governo, oltretutto sarebbe inefficace perché demotivante, ansiogena. La valutazione deve essere, ed essere vissuta, come un processo che aiuta a crescere e a migliorarsi, non ad attribuire punti Conad per ottenere un regalino a fine anno.

Dopo gli obiettivi, la valutazione si dà delle procedure basate sulla scelta di chi deve valutare, sul merito di ciò che si vuole valutare, sul metodo da seguire. Soggetti, procedure e metodi devono essere accettati e condivisi nella loro obiettività, trasparenza, equanimità. I soggetti chiamati a valutare devono essere competenti su tutti i fronti, e sono molti, che compongono l’articolato e complesso mondo che troppo sinteticamente indichiamo come “competenza didattica”. La valutazione dei docenti non può essere assegnata ad una sola persona, ma ad un organo collegiale e composito che copra l’arco delle competenze specialistiche che si richiedono per valutare la professionalità dei docenti.

Il ddl e la Buona Scuola avevano in prima istanza assegnata al solo dirigente la “responsabilità” di valutare i docenti, ma la responsabilità senza la competenza è un potere vuoto e pericoloso, suscettibile di deviazioni e inquinamenti, comunque origine di conflitti e turbamenti di un ambiente come quello scolastico che ha bisogno invece di armonia, rispetto, collaborazione, tranquillità, accoglienza.

Nella versione passata alla Camera il ddl assegna la “responsabilità” di valutare gli insegnanti al dirigente assistito da due docenti e due rappresentanti dei genitori, o, nelle superiori, da un genitore e uno studente. Non si dice altro, si delega, come sempre in tutto il ddl, a disposizioni governative e ministeriali (burocratico-amministrative) che interverranno dall’alto successivamente. Si sa solo che gli insegnanti saranno valutati da questo soggetto con l’obiettivo di premiarne alcuni e discriminare tutto il resto. L’effetto della premiazione dei “salvati” è previsto, non sono previste le conseguenze della discriminazione/punizione professionale e personale sui “sommersi”.

Come si può accettare una valutazione di questo tipo? Mancano tutti i requisiti affinché essa sia ritenuta una cosa seria. Mancano gli obiettivi, i soggetti competenti, manca il merito di ciò che si valuta, mancano metodi e procedure che garantiscano trasparenza, obiettività, assolutezza, generalità, equanimità.

Come si fa, davanti a questo pericolosissimo dilettantismo, a non rilevare le penose carenze e il penoso digiuno di benché minime cognizioni in materia di valutazione? Se si deve “valutare” per scegliere a chi dare il piccolo premio e solo per sacrificare la pelle dei più sull’altare della grande divinità, la “meritocrazia”, allora meglio soprassedere. Il campo è difficile, non impossibile, ma si tratta della vita e della morte professionale di un personale che è entrato nella scuola avendone il diritto riconosciuto da un percorso di studi, esami, concorsi e prove di tutti i tipi, esperienze professionali pluriennali. Meglio procedere non con imposizioni dall’alto, ma con un dibattito in cui possa registrarsi un ampio consenso e una larghissima condivisione degli insegnanti.

Come si risponde a questi rilevi critici di merito? Con lo slogan/spot/mantra che gli insegnanti si rifiutano di essere valutati, addirittura rifiutano la valutazione in quanto tale.
Come si fa a rispondere con argomenti di merito, non di principio vuoto, ad uno spot che non è un argomento ma un’accusa/insulto? Viene alla mente il famoso adagio da spaghetti western: quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto. Lo stesso dicasi quando un’argomentazione incontra uno spot, l’argomentazione soccombe, o almeno così si vorrebbe da parte del coro da stadio e dei pifferai magici di turno che lo imbeccano.