“BUONA SCUOLA” E LA BUONA GOVERNANCE?

“BUONA SCUOLA” E LA BUONA GOVERNANCE?

di Alessandro Basso e Piervincenzo Di Terlizzi

 

Uno dei passaggi più controversi del testo, che è stato presentato per la questione di fiducia al Senato della Repubblica, è quello legato alla definizione degli organi collegiali. In prima battuta la questione era destinata ad essere affidata ad un decreto legislativo in applicazione della “Buona scuola; durante la trattativa estenuante dell’ultimo mese l’argomento è stato espunto ed è quindi scomparso del testo approvato.

La ragione sarebbe legata alla necessità di affrontare la questione all’interno di un dibattito parlamentare, senza lasciarla in mano al governo, come se negli anni passati non si fosse mai tentato di mettere mano a questi organismi democratici che sottendono il governo della scuola.

Tutti si sono accorti che il mondo è cambiato dagli anni Settanta e gli addetti del mestiere si sono accorti ancor di più che questi meccanismi di democrazia, sicuramente indispensabili, sono minimamente interconnessi con la stagione dell’autonomia e soprattutto con l’attribuzione della dirigenza scolastica ai capi d’istituto.

Lascia perplessi la dilazione di una delle questioni fondanti della vita delle scuole, poiché è lecito pensare che la trattativa sugli organi collegiali non sarà semplice, tanto più che in molti ci hanno provato negli anni passati. Ci sia consentito affermare che si poteva fare di più, perché la contraddizione emerge ampiamente, laddove si va a ridisegnare un sistema formativo, si potenzia o perlomeno si prova ad attuare la tanto agognata autonomia scolastica, senza rivedere la governance complessiva delle istituzioni scolastiche.

Ci preoccupa proprio il passaggio parlamentare per i tempi e perché, da sempre, questa istanza non trova nella calendarizzazione delle Camere priorità e attenzioni. Si tratta forse della materia che più delle altre avrebbe avuto bisogno di un intervento in sede tecnica, magari attraverso la formulazione di un decreto ad hoc, anche perché il confronto sugli organi collegiali è stato ampio nel corso degli ultimi anni ed era approdato ad una sintesi, condivisa dai due schieramenti politici principali, a partire dal testo originariamente a firma di Valentina Aprea.

È probabile chela tensione attorno al ddl sua stata talmente alta, che qualsiasi ragionamento concernente la collegialità avrebbe potuto minare la sopravvivenza stessa dell’impianto della riforma: ciò è comprensibile; non sono così comprensibili, però, i passaggi che saranno affrontati nelle scuole per garantire la concreta realizzazione di un’autonomia che vede, ancora, nella norma degli anni Settanta diverse attribuzioni che si sovrappongono, tra Consiglio d’Istituto e dirigenza scolastica, senza chiamare in causa la Giunta esecutiva del Consiglio d’Istituto, che da molti anni non ha senso di esistere in quanto ibrido formale e sostanziale.

Parimenti, risulta piuttosto singolare l’assenza di un ragionamento sugli organi collegiali, considerando parallelamente la grande ed impegnativa stagione per il rinnovo del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione -organo recentemente quanto artatamente nato-, che per il momento pare abbia unicamente avuto la funzione di misurare la rappresentatività delle varie sigle sindacali,non apportando peraltro nessuna novità interessante in merito.

L’attenzione del legislatore andrebbe richiamata su un altro aspetto, che ad oggi appare come il grande assente in questa riforma: l’ elemento territoriale.

L’intera stagione dell’autonomia scolastica si fonda sul principio che la scuola insiste all’interno di un territorio e che da questo territorio deve carpire le istanze formative e trasformarle in proposte per gli studenti e le loro famiglie. Non pare proficuo dilazionare la presenza di un elemento territoriale all’interno degli organi collegiali: ad oggi la responsabilità di attivare i contatti con il territorio è affidata esclusivamente al dirigente scolastico e questo può essere bene: però, se la responsabilità dell’offerta formativa va condivisa, a nostro avviso va condivisa anche la generazione di queste istanze formative, attraverso la presenza di soggetti del territorio all’interno degli organi collegiali. La presenza di soggetti esterni all’interno della scuola spaventa, peraltro, e non poco: l’esempio più recente lo offre la discussione sul comitato di valutazione, per il quale l’emendamento al ddl 1934 ha cercato di proporre una sintesi, che tenesse conto sia dell’impianto originario del governo sia, allo stesso tempo, delle richieste della base, fortemente spaventata dall’allargamento ai genitori.

Pensando ad una riformulazione di un sistema per la valutazione e avviando questo percorso culturale all’interno della scuola, avremo dei vantaggi che potranno essere costituiti anche dalla presenza dei genitori e degli studenti.

Risulta per ora più difficile immaginare la codificazione della presenza del membro esterno, per ragioni di natura organizzativa e perché rischia di creare una nuova figura o una nuova attribuzione in capo ai dirigenti e quindi di diventare tra una nuova formalità: speriamo non un formalismo.