Andrea Jublin “Banana”, un film da non perdere
di Mario Coviello
Nella settimana che vede l’inizio del Festival di Giffoni ( Salerno), una esperienza che consiglio a tutti di fare,voglio raccomandarvi un film “Banana” di Andrea Jublin , disponibile in dvd.
Giovanni ha 11 anni e, nel campetto da calcio dove passa tutti i pomeriggi, i suoi compagni di squadra lo chiamano “Banana”, per i suoi piedi non proprio adatti a un gran calciatore. Lo piazzano in porta e lì deve rimanere. Fermo immobile ad affrontare la realtà: lui è il più scarso della squadra. Giovanni però nella realtà ci sta davvero stretto, così quando deve rilanciare la palla, immagina tutto lo stadio che lo incita a partire di corsa verso la porta avversaria, come un fantasista del calcio brasiliano. Perché per Banana la vita va vissuta “alla brasiliana”, ovvero con coraggio, determinazione, volontà di rischiare. Peccato che Banana si muova nell’Italia di oggi, in cui tutti hanno paura di sognare.
Banana è un piccolo film che fin dalla prima scena si pone un problema grosso: come si fa a essere felici, oggi? Felici: non “contenti”, distinzione tragica che separa questo ragazzino , bruttino, grassottello (l’ottimo Marco Todisco) dal resto del suo mondo. Un mondo di adulti “contenti” nel senso letterale della parola. Accontentàti. O meglio: rassegnati, sconfitti, disperati. Dalla sorella archeologa (Camilla Filippi), sospesa tra ambizioni frustrate, un fidanzato superficiale e un possibile futuro ancora più superficiale, alla cupa, feroce, esilarante professoressa Colonna (Anna Bonaiuto), uno di quei personaggi che un autore usa per dire cose vere, orribili e divertentissime. Dai genitori di Banana, ormai incapaci di comunicare, alle amiche feroci e buzzurre di Jessica. E a Jessica, compagna di classe tamarra e rovinosamente ignorante. Banana vuole aiutarla perché rischia di essere bocciata per l’ennesima volta. Così potranno ancora restare in classe insieme, perché lui è innamorato di lei. Banana è ingenuo, quindi coraggioso. Patetico, quindi tragico. Continuamente sconfitto e umiliato, quindi mai rassegnato. Banana è l’unico che lotta. Lotta per una sua personalissima idea di felicità, assoluta, confusa, disordinata e nata sconfitta, come sono le idee che hai a dodici anni. Eppure limpida, senza compromessi. Con un’unica speranza: che “non faccia tutto schifo”. A Banana la vita non fa che prenderlo a sberle, metaforiche e letterali. Ma lui non molla. E, nel suo piccolo, diventa un esempio. Chi non molla e resta se stesso, alla fine, riesce a cambiare un pochino anche gli altri.
Banana è l’opera prima di Andrea Jublin, esordiente già noto per essere stato candidato all’Oscar per il miglior cortometraggio con Il Supplente , disponibile su Youtube, e che oggi è anche docente alla scuola Holden di Torino. Jublin racconta una storia dagli echi francesi ambientata in una periferia romana che non diventa mai grigia, tetra, che è sempre vivacizzata da colori forti, quasi da cartoon, ben sottolineati nella fotografia di Gherardo Gossi. Il cast molto azzeccato, a partire proprio dai più giovani protagonisti, vede tra le sue fila anche Giorgio Colangeli, nei panni di un preside innamorato. Scritto con una fluidità, una serietà e un rispetto della materia trattata che impressionano, vanta anche una consapevolezza della vera lingua parlata dai ragazzi (non i termini gergali e di moda ma l’atteggiamento, gli insulti, le insicurezze e le arroganze) che rischiara tutto il racconto di plausibilità. Anche la confezione apparentemente naif è opera di un team di professionalità affermate che affianca Jublin nella sua veste di regista, sceneggiatore e attore, ex fidanzato della sorella di Banana. Con lui Esmeralda Calabria al montaggio, Nicola Piovani alle musiche, Ginevra Elkann e Luigi Musini alla produzione.
Film come Banana in Italia, semplicemente, non se ne fanno. Lungometraggi in cui i ragazzi sono protagonisti e vengono trattati con la medesima complessità e sfaccettatura degli adulti, non come figli ma come coetanei, non come esseri umani cretini ma come esseri umani diversi (un filo più idealisti e ingenui, ma solo di una sfumatura), non tutti per bene ma all’occorrenza anche bastardi, piccini e meschini senza salvezza come il resto dell’umanità. Mentre all’estero questo tipo di cinema è abbastanza florido, lo sa solo chi frequenta il Festival di Giffoni o la sezione Alice nella città del Festival di Roma, da noi non ne esiste una vera tradizione, solo sporadiche incursioni che, anche nei casi migliori, non ricevono il credito che meritano. E’ anche per questo che lo consiglio a genitori e docenti in questo luglio così caldo per capire un po’ meglio i nostri ragazzi e perché come dice Banana “Certo non si può mica essere felici del tutto. Però, forse, basta esserlo di qualcosa. Che poi quel qualcosa illumina tutto il resto e siamo salvi”.
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