“Resistere non serve a niente” di Walter Siti,
Rizzoli 2013
di Mario Coviello
In questo luglio infuocato, trovate un posto all’ombra ed immergetevi nella lettura di questo romanzo saggio che ha vinto nel 2013 il premio Strega. La storia racconta di Tommaso Aricò, personaggio dal nome pasoliniano. Tommaso è il nome del protagonista di Una vita violenta. In quel caso si tratta di un sottoproletario, qui di un miliardario, che viene dalle borgate e da una storia umile e amara. Walter Siti, che è conosciuto come uno dei principali “esperti” di Pier Paolo Pasolini, non poteva non portare in questa sua fatica il suo autore più amato. Nel romanzo emerge subito il contrasto tra la concretezza del corpo del protagonista, ex obeso che da piccolo parlava con le proprie feci, («il suo corpo esisteva, non era solo un’idea» pag.64) e la finanza intangibile. Di finanza si occupa Tommaso da grande, i soldi hanno preso il posto del cibo, anche se il bello è non usarli. La vita di Tommaso è la grande metafora dei nostri tempi che viene raccontata da Siti con una piacevole, caustica brillantezza di linguaggio. L’autore sceglie la finzione per indagare la “zona grigia” tra l’alta finanza e la criminalità. Un mondo più che mai reale che viene raccontato attraverso personaggi a tutto tondo, che si muovono come pedine intelligenti sulla scacchiera della politica corrotta e dell’economia internazionale, incarnazione di una società che versa in uno stato di completo deterioramento morale, in cui “opprimere è un piacere, essere primi un imperativo e il possesso è l’unica misura del valore.”
Il romanzo si apre con l’agghiacciante scena di un’ esecuzione di stampo mafioso e con un breve intervento-saggio sul divario tra prostituzione reale e prostituzione percepita nella nostra società. Il lettore viene immediatamente trascinato dentro un mondo dominato da logiche alternative a quelle condivise, nel quale “la fluidità di mercato equipara il corpo a una cedola” e il denaro non è altro che un “necessario passaggio intermedio per una transazione psicologica” attraverso la quale l’escort fa sentire l’uomo padrone, mentre lui la fa sentire libera di usare il proprio corpo come vuole. Si impara, così, a familiarizzare con Tommaso, matematico mancato e oggi broker affermato che tenta con donne, lusso, appartamenti e viaggi di coprire quel senso di inadeguatezza che il suo passato gli ha lasciato in eredità: l’adolescenza vissuta alla periferia del sistema, l’eterna lotta contro la “crudeltà cannibale degli specchi”, un padre di cui deve nascondere l’identità e la storia. Uomo-elefante, uomo-cicatrice che cerca di salvarsi con la leggerezza della sua materia grigia, Tommaso accetta di raccontarsi sul teatro del romanzo, un po’ per vanità un po’ per bisogno di un esame di coscienza “egoistico, affannoso perché in ritardo.” La definizione del personaggio va di pari passo con il racconto della sua storia e con la descrizione del sistema marcio in cui si muove: creatura d’autore, scopre se stesso con la fabulazione e arriva a chiedere allo scrittore “ Devi dirmelo tu chi sono”.La struttura narrativa è complessa, multi-livello: da un lato l’autore fa agire e parlare i personaggi, dall’altro interviene – figura tra le altre – a muovere le fila di un discorso articolato. Come Svevo con il suo Zeno, Siti sa che i suoi personaggi sono bugiardi e spesso omettono le proprie ragioni vergognandosene, e allora racchiude in note il proprio pensiero su di loro, postille di un giudizio che – nonostante tutto – non appare mai insindacabile. Si addentra in un mondo che va osservato senza smettere mai di problematizzare perché i valori assoluti sono definitivamente caduti e la distinzione tra bene e male è quanto mai labile. Ma in fondo i due grandi attori del romanzo sono “utili” l’uno per l’altro: Tommaso racconta i propri tormenti perché “delle ossessioni bisogna toccare il fondo.. e poi risalire a piedi”, Walter dichiara di averlo usato come “stuntman, quello che esegue le scene pericolose”. Si è servito di Tommaso e dei suoi amici/nemici per raccontare il tema che da sempre cattura i lettori: la fascinazione del male. Tommaso, sembra trovarsi di fronte una summa di vite che si scontrano con gli eventi attuali: è una figura complessa: «Come nei romanzi settecenteschi, il mio protagonista-racconta Siti in una intervista- è uno “spostato” socialmente che attraversa la società a lui contemporanea, dandoci l’occasione di vederla nei suoi diversi strati. Portando però con sé uno stigma originario che è la bulimia, trasposta dal fisico allo spirituale. Tommaso a forza di desiderare tutto,finisce per desiderare l’infamia.”
Il problema è che oggi viviamo in una situazione sociale in cui una partita a poker tra amici è illegale, da considerarsi un vero e proprio crimine; al contrario sale scommesse, poker on line ecc. dove gente comune si gioca il proprio stipendio nell’arco di un paio di giorni, sono legali perché gli organi governativi arrivano a riscuotere, in alcuni casi, anche l’85% delle giocate. «Legalità è un concetto legato alla convivenza e all’autorità – è ancora Siti che parla in una intervista sul suo romanzo- spesso l’eccesso di leggi, magari contraddittorie, mostra la crisi dell’autorità e favorisce l’infrazione; molte operazioni finanziarie in grande stile giocano sulle diversità di legislazione tra i vari Stati: in nessuno di essi sono strettamente illegali, ma sarebbero illegali se le considerassimo nel loro complesso. Se sia lecito ribellarsi a leggi ingiuste è un problema che ha duemila anni di storia; dotarsi di un sistema semplice e ordinato di leggi preserverebbe la comunità dalla falsa idea che l’illegalità possa essere una scorciatoia necessaria».
Siti ha uno stile dissacrante e veloce che riesce perfettamente nell’intento di evidenziare i dislivelli sociali e a mettere in mostra un’elite schifosamente oligarchica che impera con cattivo gusto sulle spalle del popolino. Di noi che ancora adottiamo la pratica di contare i soldi che abbiamo in tasca, che tentiamo di non comprare i sentimenti con gli assegni e che tentiamo di dare un senso al nostro agire, tenendo sempre a mente che, anche senza yacht a Porto Cervo, e forse grazie a questa mancanza, un sorriso di serenità riusciremo sempre a concedercelo.
Un senso di fastidio, di disperazione ci avvolge nel leggere quelle pagine, nel rendersi conto di quanto sia reale quel mondo e seppur così lontano dal nostro quotidiano, quanto condizioni ogni nostra azione per renderci schiavi di un padrone invisibile, servi inconsapevoli di colonne colorate negli schermi di un computer.
Un romanzo non solo bello, ma anche importante per capire, con il filtro della finzione, il mondo che ci circonda, il sovvertimento dei valori e allo stesso tempo il bisogno di ridefinirli per poterli vivere. Mentre si leggono le pagien di “Resistere non serve a niente “, oltre a sentirsi minuscoli come formiche, pedine al servizio di altri, non ci si può non interrogare su ciò che facciamo ogni giorno, di come nel nostro piccolo ci comportiamo e chiedersi cosa faremmo se all’improvviso ci trovassimo in quel mondo, quanto la nostra moralità sarebbe forte e quanto non si farebbe seppellire dalla ricchezza prima e dal potere che quella ricchezza compra poi.
Questo romanzo agisce a tantissimi livelli, pone un’infinità di dubbi, si entra nelle pagine sicuri di noi stessi e se ne esce un po’ meno forti, un po’ più dubbiosi, ma di sicuro arricchiti di un’opera che lascia il segno nella letteratura contemporanea. E la grandezza del libro sta nel fatto che lo fa con la letteratura che è rimasta forse “l’unico guardiano che non si lascia corrompere”.
Resistere non serve a niente, «Il titolo è interno alla storia, è adeguato (spero) alla storia che racconto,- è Siti che parla- non ha nessuna pretesa prescrittiva…. È ovvio che resistere serve molte volte, bisogna vedere a che cosa si resiste; la cosa a cui oggi principalmente mi pare che si debba resistere è alle interpretazioni superficiali e consolatorie del mondo».
Ma c’è un passaggio in cui sembra che il senso di questa frase sia da attribuire al contesto economico e finanziario che controlla le nazioni, causa la crisi e continua a dominare anche dopo: «c’è chi teme che, come nel secolo breve, la recessione conduca alla violenza e alle guerre mondiali; ma al tempo delle rivoluzioni russa e fascista l’età media era la metà di oggi e il sangue ribolliva il doppio. Ormai le masse sono atomizzate e disperse, i ragazzi che saccheggiano i negozi rubano gli i Pad e si contemplano compiaciuti in differita; gli striscioni nelle manifestazioni degli indignados dicono “dividiamo la grana”. Nessuno vuole davvero rinunciare al potere salvifico del consumo, le vittime sono invidiose dei carnefici ed è facile ingannarle con l’elemosina di un simulacro anche miserabile» (pag.282).
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