Contro la fine del mondo
di Antonio Stanca
Una raccolta di brevi saggi dell’americano Kurt Vonnegut, Un uomo senza patria, è uscita a Ottobre del 2014 per conto della casa editrice Minimum Fax di Roma. La traduzione è di Martina Testa. Il Vonnegut la pubblicò nel 2005 quando aveva ottantatré anni e dopo essersi impegnato in una vasta e varia produzione di romanzi, racconti, saggi e opere teatrali. Era nato a Indianapolis nel 1922 e sarebbe morto a New York nel 2007 a ottantacinque anni. Molte esperienze aveva vissuto prima di dedicarsi all’attività letteraria: lasciata l’Università nel 1943 si era arruolato nell’esercito alleato durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1945 era in Germania, a Dresda, rifugiato insieme ad altri prigionieri in una grotta mentre la città veniva bombardata e distrutta dall’aviazione alleata, tornato negli Stati Uniti aveva ripreso gli studi universitari e svolto il lavoro di cronista, poi di pubblicitario ed infine di autore di racconti. Durante questi anni risiede prima a Chicago e in seguito a Barnstable. Nel 1952 pubblica il primo romanzo, Piano meccanico, nel 1959 il secondo, Le sirene di Titano, entrambi di genere fantascientifico anche se nel secondo la fantascienza tende a cedere il posto a contenuti diversi. Dagli anni ’60 agli anni ’70 Vonnegut scrive i romanzi che lo renderanno celebre e faranno di lui uno dei maggiori scrittori americani contemporanei. Quello che ancora oggi è considerato il suo capolavoro è Mattatoio n.5 o la crociata dei bambini pubblicato nel 1969 e nel quale rievoca la drammatica esperienza vissuta a Dresda durante i giorni del bombardamento. In questo e negli altri romanzi di tale periodo lo scrittore non fa più fantascienza e si mostra impegnato in narrazioni che intendono criticare i tempi moderni poiché ritenuti responsabili dei gravi problemi che hanno investito l’umanità e le hanno fatto perdere la sua dimensione naturale. Semplice, chiaro è il linguaggio, lo stile di queste opere. La scrittura s’identifica con la semplicità, con la spontaneità degli argomenti, li fa giungere facilmente a chi legge. Quelle di un amico sembrano le parole dello scrittore e l’umorismo che spesso le accompagna rientra perfettamente nel tipo di discorso che può avvenire tra chi si conosce. A questa dimensione familiare riduce Vonnegut i grossi problemi che affronta e che sono quelli derivati all’individuo, alla sua anima, alla sua vita, alla sua società, alla sua storia dai moderni, inarrestabili processi di industrializzazione, meccanizzazione, dai nuovi costumi, dai nuovi modi di essere, di stare. Partecipi di questi problemi vorrebbe rendere lo scrittore quante più persone possibili, un discorso che coinvolgesse tutti vorrebbe essere il suo. Da qui la semplicità e l’umorismo, le maniere, cioè, che dovrebbero permettere alla sua scrittura di arrivare ovunque.
Come nei romanzi e nei racconti anche nei saggi Vonnegut è facile e divertente, anche qui continua a voler essere un buon amico, a fare satira, polemica contro quanto ha sostituito nell’uomo moderno i bisogni dello spirito con quelli della materia, contro ciò che ha fatto della Terra un pianeta invaso da una tecnologia sempre più diffusa e sempre più pericolosa per l’ambiente, la sua aria, le sue acque, la sua fauna, la sua flora, contro la sete di dominio che si è scatenata tra gli Stati più potenti e che li porta a scontrarsi in continuazione anche se non direttamente, a fare della guerra, della morte uno degli aspetti della modernità, contro la costruzione di arsenali militari nonché di armi atomiche al fine di farsi temere, di creare continue situazioni di allarme, contro tutto ciò che sta portando all’abuso, alla dissipazione, all’esaurimento delle risorse contenute dalla Terra per scopi completamente diversi da quelli del bene pubblico e soprattutto contro l’assurdo comportamento che fa continuare in tali operazioni pur essendo consapevoli dei pericoli che comportano, pur avendone le prove, pur ritenendole la causa della tanto temuta desertificazione del pianeta o fine del mondo.
Nei saggi della raccolta Un uomo senza patria ritornano questi temi, ritorna lo stile ironico, polemico dello scrittore arricchito stavolta da disegni, uno per ogni saggio, quasi si volesse raffigurare il significato dello scritto. Vignette le si potrebbe definire anche perché risentono del diffuso umorismo. I saggi sono osservazioni, riflessioni fatte in prima persona, polemiche, denunce che il Vonnegut muove agli eventi, ai fenomeni, alle Nazioni, alla loro politica, alla loro economia, a tutto ciò che vede all’origine della grave crisi nella quale è precipitata l’umanità dei nostri tempi. La sua America, l’imperialismo americano sono i bersagli preferiti dal Vonnegut poiché è convinto che le forze maggiori abbiano comportato i maggiori danni.
Non c’è un posto, non c’è una “patria” dove l’”uomo” possa sentirsi sicuro di poter continuare a vivere, “senza patria” egli è rimasto poiché tutto è stato guastato, ovunque sono giunti i nuovi modi, dappertutto si è perso quanto di semplice, di naturale faceva parte dell’uomo, della sua vita. Una distruzione totale è quella che Vonnegut è costretto a constatare e niente vale appellarsi a quanto ha fatto parte dell’umanità, del suo patrimonio culturale. Molti sono nel libro i riferimenti a personaggi illustri, molte le citazioni di opere fondamentali ma servono soltanto a procurare altro rammarico, a farsi accorgere della loro inutilità.
Addolorato si mostra lo scrittore nelle ultime pagine di fronte a quanto è successo e sta succedendo, deluso nel dover riconoscere che tutto il suo impegno nella vita e nell’opera non è servito, sconfitto insieme a quell’umanità che tanto aveva amato.
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