Settembre 2015: parte la scuola “altra”

Settembre 2015: parte la scuola “altra” *

di Maurizio Tiriticco

 

Penso che tutti sappiano – favorevoli o meno alla riforma avviata dalla legge 107 – che nel nostro Paese dal prossimo anno scolastico ci avviamo a costruire una scuola “altra”. In effetti non si tratta di un riordino, come da sempre è avvenuto dalla Liberazione a oggi, via via che si considerava necessario rendere il nostro sistema di istruzione e di formazione professionale sempre più rispondente ai cambiamenti in atto nella struttura economica e sociale del nostro Paese, ma di tutt’altra cosa, rispetto alla nostra storia.

Della quale mi limito solo a rapidi accenni: l’innalzamento dell’obbligo di istruzione nel ‘62, la legge quadro 845 del ’78 in materia di formazione professionale, i nuovi programmi della scuola media nel ‘79, quelli della scuola elementare dell’85, gli Orientamenti per la scuola dell’infanzia del ’91, i progetti assistiti nell’istruzione tecnica, il Progetto ’92 nell’istruzione professionale. Per concludere con un complessivo riordino del cicli con la legge 30/2000, meglio nota come riforma Berlinguer, abrogata nel 2003 con la riforma Moratti, con cui si apriva il quindicennio delle riforme dei governi di centro-destra (Moratti e Gelmini), tranne qualche breve ma scarsamente significativa parentesi di governi di centro-sinistra.

Perché questi accenni? Solo per dire che, con l’avvio del nuovo millennio, hanno cominciato a confrontarsi nel nostro Paese due modelli di scuola: il primo, strettamente legato alle indicazioni della Costituzione, orientato a coniugare costantemente l’innalzamento della cultura e delle conoscenze della nostra popolazione TUTTA con i cambiamenti economici e strutturali del nostro assetto produttivo: il secondo, invece, più preoccupato di garantire una scuola ai cosiddetti MIGLIORI, incurante della sorte dei cosiddetti PEGGIORI. Si tratta di una cultura della scuola tipica di certi Paesi, ma estranea assolutamente alla nostra tradizione repubblicana e costituzionale.

In effetti, i meccanismi che saranno messi in moto dal prossimo settembre. per quanto riguarda il funzionamento delle singole istituzioni, sono noti: assunzioni “di massa”; POF triennali; offerte formative più ricche; raddoppio del fondo di funzionamento; un dirigente scolastico che formerà la sua squadra, che assumerà il personale in funzione degli obiettivi assunti con il POF, insegnanti che dovranno essere “scelti” dal dirigente per un triennio e poi da lui “valutati”, indipendentemente dai titoli concorsualmente conseguiti; valorizzazione delle eccellenze; incremento dell’alternanza scuola-lavoro; una card per l’aggiornamento degli insegnanti e valorizzazione del merito; un bonus per le famiglie che intendano iscrivere i figli alle scuole paritarie. Il tutto dovrebbe essere sostenuto e garantito da uno stanziamento di fondi estremamente copioso.

Nulla da eccepire rispetto a un articolato così ricco, ma… si tratta della nostra scuola o di una scuola altra? Viene da chiedersi: se i finanziamenti saranno così copiosi – e sono anni che le nostre scuole languono – quale necessità c’era di scompaginare un assetto che si è sempre mostrato funzionante e che ha permesso di innalzare il livello culturale della nostra popolazione? Sappiano tutti benissimo che i livelli di literacy dei nostri adulti oggi sono preoccupanti, ma ciò non dipende dal fatto che la nostra scuola non abbia “funzionato”, ma dal fatto che da anni non è stata messa più in grado di “funzionare”. E’ stata soltanto umiliata e messa ai margini, in nome del fatto che “con la cultura non si mangia”.

E allora, solo oggi ci accorgiamo che con la cultura, invece, “si mangia”? Ma la nostra scuola da sempre ha voluto garantire che tutti, non uno di meno, potessero “mangiare”! Che succederà ora con l’avvio della legge 107? Che le scuole saranno messe tra loro in concorrenza, come se vendessero oggetti di consumo e non fossero tenute, invece, a promuovere quelle competenze che l’intero mondo della cultura e del lavoro oggi ci chiede, e in un ambito europeo e transnazionale.

La concorrenza sarà spietata, perché ciascun dirigente vorrà accaparrarsi i docenti “migliori” e i fondi più cospicui. Così diremo addio alla scuola della Repubblica e della Costituzione. E ciò che amareggia, soprattutto, è che i promotori di questa scuola “altra” sono uomini – e donne, ovviamente – di un governo di centro-sinistra.

* pubblicato sul n. 7-8 de “Il Maestro”

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