Bambini d’Africa
di Antonio Stanca
Ahmadou Kourouma è stato uno dei maggiori scrittori africani contemporanei. E’ nato nel 1927 in Costa d’Avorio ed è morto a Lione nel 2003. Aveva settantasei anni e tante esperienze aveva vissuto: dal 1950 al 1954 aveva preso parte, nelle file dell’esercito francese, alla guerra d’Indocina, in seguito si era trasferito in Francia, a Lione, per studiare matematica e qui aveva conosciuto la donna che sarebbe diventata sua moglie. Nel 1960, quando la Costa d’Avorio si era liberata dalla colonizzazione francese ed aveva acquistato l’indipendenza, Kourouma vi era tornato ma, accusato falsamente dal nuovo governo di essere membro di una congiura ad esso contraria, era stato costretto ad andare in esilio. Dopo molti anni trascorsi tra l’Algeria, il Camerun e il Togo, tornerà in Costa d’Avorio. Qui nel 2002 scoppierà la guerra civile e Kourouma si mostrerà contrario a tanta ostilità tra connazionali. Perciò sarà di nuovo accusato di complottare contro il governo e di nuovo dovrà lasciare il suo paese.
Era bastato che Kourouma non si mostrasse convinto di quanto stava succedendo in Costa d’Avorio perché la sua posizione diventasse motivo di accusa.
Anche i suoi romanzi, che gli sarebbero stati ispirati dalle tristi vicende attraversate, avrebbero sofferto di molti divieti prima di essere pubblicati. Il sole delle indipendenze, il suo romanzo d’esordio scritto nel 1968, avrebbe visto la pubblicazione dopo molto tempo e soltanto in seguito ad un premio ottenuto da Kourouma presso l’Università di Montreal. Da allora le sue narrazioni avrebbero conquistato il mercato francese e poi quello inglese, avrebbero avuto molti riconoscimenti. Il romanzo Aspettando il voto delle bestie selvagge, del 1998, avrebbe vinto in quell’anno il Prix Tropiques e nel 1999 il Grand Prix de la Societé des gens de lettres e il Premio Livre Inter. Il romanzo Allah non è mica obbligato, che risale al 2000, ha vinto il Prix Renadout 2000 e il Prix Goncourt des lycéens. Quest’opera è comparsa per la prima volta in Italia nel 2002 presso le Edizioni E/O di Roma e da queste è stata recentemente ristampata. La traduzione è della Scuola Europea di Traduzione Letteraria.
Anche per il teatro e per i bambini ha scritto Kourouma ma soprattutto nei romanzi ha espresso le sue migliori qualità e sono stati questi a farlo conoscere ed apprezzare. La loro lingua non è raffinata poiché impegnata a dire delle gravi realtà dell’Africa, a far emergere, tramite quanto rappresentato, la posizione dell’autore, la sua condanna di tutto quanto, tra passato e presente, si è opposto al desiderio, al bisogno di libertà del popolo africano, delle ingiustizie, delle sopraffazioni, delle rivalità, delle crudeltà, degli orrori, della violenza di ogni genere che percorre ancora oggi l’Africa e fa apparire come unica, inevitabile, necessaria la sua condizione di miseria, di fame, di morte. Premiato è stato Kourouma per i suoi romanzi perché con essi ha avuto il coraggio di denunciare una situazione tragica, di proclamare ad alta voce che anche i negri hanno diritto alla vita, che anche i poveri devono mangiare.
In Allah non è mica obbligato attraverso i pensieri, i sentimenti, le emozioni, le azioni, le esperienze, la vita del bambino Birahima lo scrittore dice dell’Africa, di quanto negli ultimi anni del secolo scorso succedeva in particolar modo in Liberia e in Sierra Leone, dove erano in corso due guerre civili che si erano trasformate in guerre tribali tante erano le fazioni che miravano al potere, tanti i capi che le comandavano e che si alternavano.
Birahima è un bambino povero che vive con la madre molto malata e che dopo la morte di questa è costretto, per assicurarsi il minimo necessario alla vita, a lasciare la scuola e diventare bambino soldato, a mettersi al servizio del capo di una delle fazioni in lotta prima in Liberia poi in Sierra Leone, a cambiarlo se fosse stato necessario e a combattere contro i suoi nemici, contro altri bambini soldati che per altri motivi lo erano diventati, ad uccidere, a veder uccidere, ad assistere a tante stragi, a tante torture, a tante esecuzioni, a tanta ferocia in quell’Africa dove “Allah non è mica obbligato ad essere sempre buono, a provvedere, cioè, che non si verifichino situazioni sanguinarie”. La guerra e quanto essa comporta di attentati, complotti, inganni, tradimenti, crudeltà, diventeranno gli aspetti quotidiani della vita di Birahima, con essi s’identificherà la sua esistenza, con un’interminabile peregrinazione tra luoghi, persone, cose sempre nuove, sempre ostili, sempre pericolose. Attraverso le peregrinazioni di Birahima lo scrittore farà comparire tante altre tristi verità d’Africa, farà vedere come sono sfruttati i suoi abitanti, le sue regioni, le sue ricchezze, come è percorsa da ladri, banditi, falsari, furfanti di ogni tipo. E tutto dirà con un linguaggio semplice, spontaneo, quello appunto del bambino Birahima, che Kourouma mostrerà come l’autore del romanzo, al quale farà dire di averlo voluto scrivere per narrare le gravi esperienze vissute in Africa da lui e da tanti altri bambini. E’ un espediente che consente allo scrittore di muoversi liberamente tra pensieri e ricordi, realtà e fantasia, magia, leggenda e religione, superstizione e mito. Meglio che in altre opere è riuscito stavolta Kourouma perché immediato, naturale come un bambino è stato, di più ha aderito a quanto voleva dire, più vero, più autentico, più africano è risultato.
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