Seminario di studio organizzato dall’Uil-Scuola Campania
“I DIRIGENTI SCOLASTICI SI INTERROGANO SULLA LEGGE 107/2015”
Napoli, Hotel Ramada, 31 agosto 2015
intervento di Maurizio Tiriticco
Gli insegnanti della “buona” scuola: luci e ombre della legge 107/15
La legge con cui si riordina il Sistema Nazionale di Istruzione ha suscitato, com’è noto, più critiche che consensi. In effetti, si tratta di una legge con cui si intende dare una vigorosa spinta al processo di autonomia delle Istituzioni Scolastiche, avviato con la legge 59/97 (art. 21) e il dpr 275/99, ma mai portato a compimento. In effetti, la possibilità di realizzare concretamente quanto indicato negli articoli 4, 5, 6, 8, 9 e 11 del suddetto dpr, relativamente all’autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, alla definizione dei curricoli, all’ampliamento dell’offerta formativa e alle iniziative finalizzate all’innovazione, urta contro un sistema scolastico in cui la rigidità formale delle cattedre, delle classi di età e degli orari di insegnamento rende di fatto difficili modifiche intese a innovare profondamente i percorsi di studio e gli stessi curricoli. Tuttavia, nonostante questi limiti, va ricordato che ci sono istituti secondari, quali il Pacioli di Crema, il Fermi di Mantova, il Volta di Perugia, il Savoia Benincasa di Ancona, il Marco Polo di Bari, il Majorana di Brindisi, che innovano costantemente, profondamente e con lusinghieri risultati, la didattica tradizionale.
Va, comunque, sottolineato che i curricoli, di fatto, nonostante i recenti riordini, rimangono quelli di sempre. E non c’è ricerca metodologico-didattica che, invece, non solleciti l’estrema necessità di costruire un percorso curricolare obbligatorio decennale articolato, continuo, progressivo e verticale: che sia finalizzato a garantire a tutti gli alunni quelle competenze di base, di cittadinanza e culturali che le Raccomandazioni europee del 18/12/2006 e del 23/04/2008 indicano a noi e a tutte le scuole dei 28 Paesi membri dell’Ue. Per non dire, poi, della estrema necessità che i percorsi secondari si concludano ai 18 anni di età con la certificazione di quelle competenze di cui si parla da anni, ma che il Miur, in effetti, ha sempre omesso di proporre al Sistema nazionale di istruzione. Di fatto, si tratta di finalità totalmente disattese e ignorate dalla legge 107, anche se descritte nelle Raccomandazioni citate e fatte proprie dal Governo italiano (cm 139/2007 e Accordo quadro del 20 dicembre 2012).
Va anche aggiunto che la legge è, di fatto, estremamente ponderosa e di lettura non sempre facile. Si sviluppa per 50 pagine formato A4 – 90 con le note – e consta di un solo articolo scandito in 212 commi. Il che, a mio vedere, rende complessa la realizzazione delle singole norme, che necessiterà di tempi non brevi. Per non dire, poi, del fatto che, per una messa a regime conclusiva, saranno necessari almeno otto ulteriori decreti attuativi di competenza del Miur.
Si tratterà di operazioni non facili. Basti pensare che, a tutt’oggi quegli spazi di flessibilità, aggiunti a quelli dell’autonomia, introdotti nei tre percorsi dell’istruzione secondaria di secondo grado con i dpr 87, 88 e 89 del 2010, le istituzioni scolastiche, nella larga maggioranza, difficilmente riescono a utilizzarli e continuano a progettare e a realizzare i lori curricoli sulla base dei consueti quadri orari ministeriali, applicati con scansioni rigidamente settimanali. In ordine a tale situazione di stallo, la legge 107 intende, comunque, dare “piena attuazione all’autonomia delle istituzioni scolastiche” (comma 1).
A tal fine, l’intero articolo 3 del dpr 275 concernente l’adozione del Pof (Piano dell’offerta formativa) annuale viene completamente riscritto (comma 14) e viene introdotto un Pof triennale da realizzare con procedure assolutamente diverse e molto più articolate rispetto a quelle abrogate. Il Pof triennale deve prevedere essenzialmente, oltre ai contenuti di cui al dpr 275/99, “il fabbisogno dei posti comuni e di sostegno dell’organico dell’autonomia” e il “fabbisogno dei posti per il potenziamento dell’offerta formativa”. In tale nuovo scenario, al dirigente scolastico vengono attribuiti nuovi e particolari poteri, non solo per quanto riguarda l’ampliamento dell’offerta formativa, ma anche e soprattutto per quanto riguarda il rapporto con i docenti, in quanto è il dirigente scolastico l’esecutore di un Pof che prevede contenuti e obiettivi molto più ampi e dettagliati rispetto al consueto Pof annuale.
In tale scenario cambia profondamente anche il sistema di assunzione del personale docente. Gli insegnanti di nuova nomina, sotto il profilo della prestazione del servizio, mentre fino ad oggi sono stati assegnati alle istituzioni scolastiche dall’amministrazione in base ai titoli e ai punteggi che possono vantare, a partire dall’anno scolastico 2016/17 saranno invece scelti dal dirigente scolastico. In effetti è lui che individua e coopta il personale da assegnare ai posti dell’organico dell’autonomia “con le modalità di cui ai commi da 79 a 83”, alla cui complessa e non facile lettura si rinvia. Si tratta di commi che ridisegnano completamente competenze e compiti del dirigente scolastico.
Di fatto, i nuovi insegnanti vincitori di concorso assunti a tempo indeterminato non sceglieranno più la sede di servizio tra quelle offerte dall’amministrazione in quanto, stando al comma 64, “a decorrere dall’anno scolastico 2016/2017, i ruoli del personale docente sono regionali, articolati in ambiti territoriali, suddivisi in sezioni separate per gradi di istruzione, classi di concorso e tipologie di posto”. E da questi ambiti, di cui non si indica l’estensione, gli insegnanti saranno scelti dal dirigente scolastico sulla base di criteri che la legge non indica e che saranno a completa discrezione del dirigente stesso. Il servizio da loro prestato ha una durata triennale e, alla fine del triennio, l’incarico “è rinnovato purché in coerenza con il piano dell’offerta formativa” (comma 80). Il docente, pertanto, potrebbe – si sottolinea il condizionale – essere confermato dal dirigente oppure no, a sua assoluta discrezione, e si troverebbe a dovere optare per un’altra scelta proposta da un altro dirigente. Nel caso in cui non venisse scelto, sarà l’Ufficio scolastico regionale ad assegnarlo d’ufficio. Ma secondo quali criteri? Si incrociano e si alternano competenze di cui non si vede con estrema chiarezza quale sviluppo avranno.
Tutto ciò costituisce una svolta a 360 gradi rispetto alle norme pregresse. E, per di più, vengono a cadere due tradizionali punti di forza: la certezza del posto di lavoro per chi insegna e la stessa continuità didattica per chi apprende, almeno come fino ad oggi è stata intesa.
Con la nuova legge, al dirigente scolastico vengono affidati compiti che poco o nulla hanno a che vedere con un’amministrazione pubblica e vengono introdotti, invece, meccanismi di assunzione tipici del settore privato, laddove un “capo” è libero di assumere dal mercato – come si suol dire – i suoi collaboratori e dipendenti. E non è detto che un curricolo valga più di una segnalazione: e ciò si verifica nel settore privato.
Fino ad oggi, chi aspira a una cattedra di insegnamento con il concorso pubblico, conosce quali sono i criteri per vincere un posto di lavoro e per essere assunto, in quanto sono dati dal bando e dalle procedure d’esame. Con la nuova legge, il vincitore di concorso non sceglie il posto di lavoro tra quelli offerti dall’amministrazione, ma, inserito nelle suddette liste in ambiti territoriali, deve attendere l’offerta da parte di un dato dirigente scolastico. Il che crea disparità di trattamento, in quanto i criteri che un dirigente adotta sua sponte, anche se opportunamente declinati e dichiarati, saranno pur sempre diversi dai criteri adottati da un altro dirigente. Non solo, ma la certezza della continuità didattica non esiste più, in quanto, alla fine del triennio, il dirigente – come abbiamo già detto – sempre secondo criteri da lui adottati, potrebbe anche procedere a una scelta diversa, giustificata da scelte diverse apportate ai percorsi curricolari. Inoltre, non si capisce perché viene mantenuto il sistema dei concorsi quando, ai fini dell’assunzione, potrebbe essere sufficiente il titolo di studio culturale, eventualmente supportato da un percorso formativo professionalizzante e da un curriculum, mirati alle esigenze del sistema nazionale di istruzione.
Si introduce, inoltre, un sistema di valutazione della professionalità di un insegnante (comma 129), di cui fanno parte anche rappresentanti dei genitori e, limitatamente al secondo ciclo di istruzione, anche gli studenti. Il che costituisce un vulnus per un insegnante che si trova ad essere valutato anche da chi viene costantemente e quotidianamente da lui valutato.
Con tali innovazioni, si introduce un fattore di privatizzazione in un settore pubblico quale il sistema scolastico è stato da sempre ed è, garantito peraltro da una serie di articoli della Costituzione, quali il 2, il 3, il 9, il 33, il 34, il 117. Di fatto, si va verso l’istituzione di un sistema scolastico ibrido, che non è totalmente pubblico e non è totalmente privato. Si tratta di un sistema in cui – a mio vedere – il contenzioso potrebbe anche assumere forme imprevedibili. Ad esempio, un insegnante non scelto, che si considera meritevole per i titoli di studio e di lavoro accumulati nel tempo, potrebbe ricorrere contro quel dirigente che, a suo giudizio, ha scelto un insegnante con titoli e competenze di minor valore. Altrettanto dicasi per quanto riguarda la valorizzazione del merito del personale docente (dal comma 126 al 130). Il solo fatto che spetta al comitato di valutazione di ogni istituto “individuare i criteri della valorizzazione dei docenti”, si potrebbero avere istituzioni scolastiche più rigorose rispetto ad altre: e un insegnante, che presso un’istituzione viene valorizzato e debitamente compensato in danaro, in un’altra potrebbe non esserlo, laddove siano stati adottati criteri più rigorosi. Si tratta di un ulteriore fattore per cui quella eguaglianza di trattamento, che da sempre ha garantito il riconoscimento e l’apprezzamento del lavoro docente, viene a incrinarsi. E ciò non potrà non avere serie ripercussioni anche nello stesso contratto di lavoro dei docenti
In conclusione, si tratta di iniziative legislative che favoriranno e incrementeranno una progressiva differenziazione tra istituzioni scolastiche, per cui alcune saranno considerate e valutate – di norma, purtroppo – “migliori” e altre “peggiori”. In tal modo quella eguaglianza della offerta educativa, quale si evince dagli articoli 2 e 3, della Costituzione, stante anche quel principio dell’equità, che negli ultimi anni ha inteso animare e arricchire l’intera azione amministrativa, sembra costituire una finalità non più da perseguire. E sarà estremamente pericoloso quando avremo, quasi “per legge”, insegnanti e scuole di serie A e insegnanti e scuole di serie B.
Quando, invece, è il perseguire con costanza l’eccellenza, sempre e comunque, che deve caratterizzare l’azione della scuola e lo stato di civiltà di un Paese.
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NB1 – E’ opportuno vedere anche la legge 7 agosto 2015, n. 124, Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (G.U. n. 187 del 13 agosto 2015)
NB2 – E’ opportuno anche considerare quanto indicato dalla “Raccomandazione del Consiglio europeo sul programma nazionale di riforma 2014 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2014 dell’Italia” (2 giugno 2014) – estratto – “È necessario compiere sforzi per migliorare la qualità dell’insegnamento e la dotazione di capitale umano a tutti i livelli di istruzione: primario, secondario e terziario. L’insegnamento è una professione caratterizzata da un percorso di carriera unico e attualmente da prospettive limitate di sviluppo professionale. La diversificazione della carriera dei docenti, la cui progressione deve essere meglio correlata al merito e alle competenze, associata ad una valutazione generalizzata del sistema educativo, potrebbero tradursi in migliori risultati della scuola. Per assicurare una transizione agevole dalla scuola al mercato del lavoro, sembrano cruciali, nel ciclo di istruzione secondaria superiore e terziaria, il rafforzamento e l’ampliamento della formazione pratica, aumentando l’apprendimento basato sul lavoro e l’istruzione e la formazione professionale. A seguito del decreto legislativo del 2013 in materia, è essenziale istituire un registro nazionale delle qualifiche per garantire un riconoscimento delle competenze a livello nazionale. In aggiunta ai primi interventi in questa direzione, assegnare i finanziamenti pubblici destinati alle università in funzione dei risultati conseguiti nella ricerca e nell’insegnamento avrebbe il merito di contribuire a migliorare la qualità delle università e, potenzialmente, di accrescere la capacità di ricerca e innovazione che, in Italia, accusa ancora un ritardo”.
Allegato
Possibili criteri da adottare da parte del ds per il conferimento dell’incarico ai docenti assegnati all’ambito territoriale di riferimento
I criteri saranno diversi da ds a ds e si avranno disparità nelle scelte. Pertanto, a livello di rete sarebbe opportuno adottare criteri comuni e condivisi. Eventuali elementi da considerare:
- Titoli di studio
- Esiti del/i concorso/i vinto/i
- Titoli culturali e pubblicazioni
- Carriera professionale anche extrascolastica
- Modalità con cui progetta, promuove, valuta i processi di apprendimento
- Modalità con cui conduce l’autoanalisi continua e finale dell’insegnamento
- Attività particolari svolte che siano coerenti con il fabbisogno espresso dall’ISA nel POF triennale
Occorrerà anche decidere quale “peso”, anche in termini di punteggio, dare a ciascun indicatore. Ad esempio: le “attività particolari svolte che siano coerenti…” potrebbero meritare un’attenzione maggiore rispetto ad altre voci. Altrettanto dicasi per le voci 5 e 6. E non sarà un’impresa facile!