G. Faletti, La piuma

L’ULTIMA RECENSIONE
(Quando la genialità si veste da clown)

di Luigi Manfrecola

 La genialità non è solo intelligenza poiché si nutre anche di sensibilità, buon gusto, senso della misura, ansia di ricerca.

E’ così che il genio riesce a spaziare in tutti i campi ed è così che un clown apprezzato e stimato può risultare imprevedibile e può riuscire a sorprenderti. Mi riferisco ad un finto comico che, dopo averci divertito nella tv degli anni ’80 ,ebbe poi modo di dimostrare la sua versatilità di attore, cantante, scrittore.

GIORGIO FALETTI (il poliziotto Vito Catozzo nella fortunata serie televisiva di Drive-in) ci aveva già stupito con i suoi thriller bestseller. Ora, con la sua scomparsa, dobbiamo prendere atto d’una sua nascosta vocazione, sospesa a mezzo fra filosofia e poesia.

Ho avuto fra le mani in questi giorni un ultimo suo breve scritto, poco più d’un librettino apparentemente senza pretese: “LA PIUMA” –ed. Baldini/Castoldi.

Dagli editori definita la sua opera più bella, originale e dolente , viene presentata come “una favola morale”.

Non condivido il giudizio che mi sembra forse alquanto riduttivo. Nel viaggio d’una piuma, che Giorgio descrive con timida leggerezza, non si nasconde solo un’accusa desolata per la malvagia avidità , la cupidigia, la debolezza umana.

La piuma che , spinta da folate improvvise di vento, percorre lenti scenari spostandosi dai palazzi del potere fino alle navate delle chiese ed alle assi del palcoscenico, termina il suo improbabile viaggio nel buio d’una caverna. La insegue “l’uomo dal foglio bianco”, lo scienziato o il filosofo (?) che vuole riempire la sua pagina vuota di verità sconosciute, che diano un senso alla sua sterile ricerca, alla sua presenza.

Ed è nella caverna che termina il volo e che la piuma ritrova la collocazione che aveva smarrito, incastonandosi in un paio di ali bianche dalle quali si era fortuitamente staccata. Quelle stesse ali che l’uomo poi riesce ad indossare per levarsi in volo verso gli ampi spazi aperti e luminosi che s’intravvedevano alti, fra le nuvole cremose. E la sua lunga ricerca trova così fine in un luminoso bagliore senza meta, mentre volteggia ”teso in quel vento che ora gli offriva tutte le risposte a cui aveva sempre anelato, perché era stato l’unico a capire quello che nessuno aveva compreso…una piuma è fatta per volare”.

L’allusione sembra che chiami in causa la vacuità dell’esistenza, il suo mistero lento e solenne, la vanità degli affanni e delle miserie umane. Forse altro e di più… ed io non so dire se questa ingenua semplicità del racconto possa definirsi un’opera di Filosofia o di Poesia, comunque pregevole. Ma una cosa è tuttavia certa, essa rappresenta il presagio della fine imminente, tratteggiato con lenta e soffusa melanconia.