Natsume Sōseki, Guanciale d’erba

In Giappone l’arte

di Antonio Stanca


 Natsume Sōseki, pseudonimo di Kinnesuke Natsume, è uno scrittore giapponese nato nel 1867 a Tokyo, quando la città si chiamava Edo, e morto nel 1916, a quarantanove anni, a causa di un’ulcera duodenale. Dal 1984 al 2004 la sua immagine risulterà impressa sulle monete giapponesi da 1.000 yen.

Sōseki studiò Inglese presso l’Università Imperiale di Tokyo e dopo la laurea si trasferì in Inghilterra per perfezionare la conoscenza della lingua e della letteratura inglese. Dopo alcuni anni tornò in Giappone e fu incaricato dell’insegnamento di Letteratura Inglese presso l’Università Imperiale di Tokyo. Nel 1905 pubblicò il primo romanzo Io sono un gatto, che sarà seguito da altri. Nel 1907 Sōseki otterrà un incarico presso l’ “Asahi Shinbun”, il più importante quotidiano giapponese, e lascerà l’insegnamento per dedicarsi completamente alla scrittura. Sarà anche autore di saggi ma la narrativa rimarrà il suo genere preferito e qui otterrà i risultati migliori. Recentemente dalla casa editrice BEAT di Vicenza è stato ristampato il romanzo Guanciale d’erba, che Sōseki scrisse nel 1906. La traduzione dal giapponese è di Lydia Origlia.

Gli anni dello scrittore furono quelli durante i quali il Giappone si apriva alle influenze straniere, attraversava un periodo di passaggio che avrebbe comportato dei radicali cambiamenti nell’ambito sociale e culturale, nelle istituzioni economiche. Di questa transizione che il suo paese stava vivendo ha risentito Sōseki nelle sue opere. In ognuna si può notare la tendenza ad un confronto tra prima e dopo, tra tempi passati e tempi presenti e mentre i primi vengono giudicati positivamente, i secondi sono considerati volgari perché disposti ad accogliere tutto e tutti, a non distinguere, a confondere, a disperdere la qualità nella quantità. In tale contesto isolati, di pochi sono diventati i valori dello spirito, dell’anima. Perciò vanno difesi, non li si deve abbandonare, non si deve permettere che si disperdano, che finiscano e l’arte, che rappresenta una delle loro migliori espressioni, dovrà essere un modo per conservarli, continuarli e farli valere. Questa convinzione di Sōseki diventerà un motivo ricorrente nei suoi romanzi. Tra i personaggi di ognuno di essi, se non nel protagonista, sarà sempre possibile intravedere la figura dell’autore che soffre la situazione creatasi nel nuovo Giappone, la vive, la interpreta e come artista si pone a difesa dei principi che l’arte rappresenta e che i tempi stanno profanando. Così avviene pure in Guanciale d’erba, dove si dice di un artista, poeta e pittore, che, all’età di trent’anni, intraprende un viaggio a piedi lungo un sentiero che sale in cima ad una montagna dove si trovava un tempio antico. Dice di volerlo fare per liberarsi da ogni contatto con le persone e le cose comuni, dalle impurità, dalle bassezze alle quali queste potrebbero indurlo, per elevarsi a quell’altezza priva di ogni ombra, di ogni impurità che è propria del suo spirito artistico, per raggiungere quella condizione perfetta, incontaminata che è simile a quella della divinità immortale, eterna.

Il viaggio dell’artista sarà lento, faticoso, diventerà il simbolo di quanto richiede il processo di purificazione che vuole realizzare, l’ascesi che vuole compiere verso una condizione diversa da quella comune. Egli s’imbatterà in persone e situazioni di ogni genere, rischierà di rimanere intrappolato tra esse ma riuscirà sempre a liberarsi perché l’idea di dover raggiungere la sommità di quel monte, di dover, cioè, attuare quelle conquiste morali, spirituali che si è proposto lo farà sentire estraneo a quanto accade, gli farà superare ogni circostanza, ogni contingenza che potrebbe impedire, danneggiare i suoi propositi.

Nella casa da tè saprà di tristi, tragiche vicende vissute da giovani donne innamorate, di una storia che ancora sta avvenendo. Nella locanda dove alloggerà si troverà a contatto con la giovane figlia del padrone che è stata lasciata dall’uomo che aveva sposato. Parlerà con lei, ora la sentirà vicina, ora lontana, ora sarà una luce, ora un’ombra. I toni, i modi della visione, del sogno, della favola assumerà spesso la narrazione, i colori, le luci della fantasia, dell’immaginazione segneranno spesso i suoi ambienti. Alla descrizione di quei colori, di quelle luci l’autore-pittore si concederà, li identificherà con i colori, con le luci della natura che in un posto simile gli si offriranno al massimo grado di bellezza. Le piante, le acque, le rocce, gli uccelli della montagna che sta scalando lo attireranno al punto da fargli attribuire alla natura l’altezza che ritiene sia propria dell’arte, da fargliela considerare un valore unico, insostituibile, un segno della divinità. Entrambe, l’arte e la natura, lo sorreggeranno nel suo viaggio di elevazione sulle volgarità del mondo, di raggiungimento di una dimensione pari a quella divina.

Eccessivamente ideale, teorico diventa a volte il discorso di Sōseki dal momento che mostra il protagonista convinto di potersi liberare con facilità dalla condizione concreta, quotidiana dell’uomo sulla terra, dell’uomo tra gli altri uomini e di poter raggiungere una dimensione diversa.

Ricca è l’opera di riferimenti alla cultura, alla storia, alla religione, alle tradizioni, alle leggende, ai miti del Giappone, di confronti tra Oriente ed Occidente, tra le loro letterature.

Con chiarezza la lingua del Sōseki scorre tra tanti contenuti e giunge al lettore. La scoperta di un mondo poco noto gli procura, l’incanto che proviene da luoghi così lontani.