L’elogio della Follia
Verità filosofiche sulle ali della IRONIA
di Luigi Manfrecola
Le Verità Eterne si propongono fuori dal tempo e, pur a distanza di secoli , si riaffacciano mostrandosi assolutamente non datate . Le verità , tanto più evidenti quanto più banali, puoi rintracciarle anche nelle pagine più ammuffite e corrose dalla polvere di secoli. A patto che ti renda conto del fatto che il BUON SENSO, che dovrebbe guidare le nostre azioni, è merce rara che evitiamo sistematicamente d’interpellare nel corso della nostra ordinaria esistenza…In una desolata e rigorosa prospettiva temporale, che NON cerchi consolazione nelle FINZIONI che ci costruiamo personalmente, socialmente e culturalmente, nulla sembra avere senso e niente giustifica QUELLA FALSA SAPIENZA, illuminata e moderatrice, che distingue il perbenismo di vite e di condotte “regolate” dalle convenzioni, dall’ ipocrisia, dalle vanagloria che alimenta il nostro comportamento quotidiano. C’è allora da chiedersi ove vada ravvisata e riconosciuta l’autenticità dell’UMANO : nella censura del Super-Io freudiano oppure nella vitalità esuberante dell’Es? Ha forse ragione quel NIETZSCHE che deride l’UOMO OCCIDENTALE mimetizzatosi in senso religioso, morale e scientifico per poter sopravvivere oppure Il vecchio EPICURO, ben attento all’aritmetica d’un piacere stabile e tranquillo che sappia evitare le ansie e i turbamenti del desiderio?
O, piuttosto ha ragione ERASMO che demolisce le false certezze e le arroganze dell’uomo mediante l’ELOGIO DELLA FOLLIA ?
La Follia, secondo Erasmo da Rotterdam, coincide con quella che abitualmente viene definita “Stultizia”, opposta alla “Sapienza” che ai suoi occhi si presenta sempre come accigliata e indisponente. La Stultizia è sempre pronta al “gioco delle parti” ; parti recitate nascondendoci con le maschere che ci scegliamo nel teatro della vita (e qui affiora anzitempo già un presagio pirandelliano).
A lungo andare la saggezza , austera e seriosa, diventa noiosa mentre la follia scatena sempre ed ovunque ilarità proprio perché attinge a risorse sorprendenti di buonumore, di vanità, di arguzie che coabitano con un istinto tipico della natura umana che ricerca la felicità. Non è un caso – osserva Erasmo – che “i Sovrani amano circondarsi di buffoni e di folli” (XXXVI”). Ma i Re appaiono folli anch’essi perché “Se essi infatti avessero soltanto un briciolo di saggezza, quale condizione risulterebbe più triste e detestabile della loro? Chiunque infatti consideri con un po’ di attenzione qual peso si mette sulle spalle colui che vuol essere un buon principe, certo non aspirerà a procurarsi una corona con lo spergiuro o il parricidio!“. Ma qui Erasmo si mostra esponente di quell’ingenuo Umanesimo che esprime una nostalgia di Valori prevalentemente ignoti alla Storia ed alla cronaca di ieri e di oggi. Oggi noi, post-moderni figli di Nietzsche, dolorosamente sappiamo cosa i più siano disposti a fare pur di esercitare il Potere, quello stesso potere che Erasmo dice indissolubilmente legato alla vuota vanagloria. In sostanza, l’ironia corrosiva del filosofo non risparmia alcun aspetto delle debolezze umane e sistematicamente e provocatoriamente sostiene che: – la follia dà sapore alla vita(XXXI); – la gloria bellica è causata dalla follia(XXIII); – la vita umana è un gioco della follia(XXVII); la follia rende sopportabile la vita…
Fino ad esaminare le varie forme di follia fra le quali includere la “folle superbia dei nobili” le e “superstizioni” per cui : ” …E non è forse per una simile pazzia che ogni regione pretende di avere un suo Santo particolare e che a ciascuno di questi santi sono attribuiti poteri diversi, e che ciascuno è venerato con diversi riti? Uno protegge contro il mal di denti, un altro è il patrono delle partorienti, un altro ancora fa ritrovare gli oggetti rubati, questo fa rifulgere la sua benevolenza ai naufraghi, quello protegge il gregge , e così via….“(XI).
Insomma,concludendo: “la vera saggezza è la follia “(XXIX).
Ed è proprio la Follia che, nella finzione letteraria , si rivolge al lettore interpellandolo anche con tono irridente che vuole fare scandalo: ” E perché (io Follia) non dovrei parlarvi più apertamente come sono abituata a fare? Vi chiedo dunque: forse è col capo, col volto, col petto, con la mano, con l’orecchio, con queste parti del corpo ritenute oneste, che si generano gli Dei e gli uomini? Direi proprio di no! Anzi, la propagatrice del genere umano è quella parte del corpo così buffa e ridicola che non si può neanche nominare senza ridere. Questo è in fin dei conti quel sacro fonte donde prendono origine tutte le cose, e non il famoso numero quattro di Pitagora”. (XI)
Che dire di più? Certamente siamo di fronte ad un’ironia bonaria che pone Erasmo fuori dal suo tempo: un ‘epoca segnata ancora (siamo fra ‘400 e ‘500) dalle dispute religiose, dal fanatismo, dal bigottismo ignorante degli ultimi spasmi medioevali, dall’Inquisizione, dalla protesta di Lutero che nega l’originalità dell’uomo poiché incompatibile col “Servo arbitrio” che tutto fa discendere dal consenso divino; quel Lutero al quale Erasmo decisamente oppone invece il “Libero arbitrio” col piglio dell’umanista che si mostra già rivolto alla riscoperta dei valori terreni e più compiutamente umani.
Risulta perciò evidente quale grande contributo possiamo ancora noi, varcate le soglie del 2000, ricavare dalla lettura dei Classici del pensiero e non ci consola di certo la constatazione dell’ignoranza abissale dimostrata dai nostri giovani, iperstimolati “babbuini dei tempi presenti” (Postman), mai più sollecitati o indotti alla lettura di quella ” pagina stampata ” che è e che rappresenta il luogo elettivo della riflessione e della meditazione, sottratto alla magia frettolosa e fragorosa del più comodo linguaggio mass-mediale.
Vecchio e nuovo dovrebbero sempre convivere, ma i nostri tempi convulsi restano innamorati del “nuovo” a tutti i costi, anche se i COSTI possono risultare elevatissimi pur d’inseguire la moda, ciò che è ipertecnologico, vistoso, sensazionale, accessibile senza eccessivi sforzi. Il verbo consumistico ha fatto e va facendo anche della CULTURA una merce di rapido consumo, senza accorgersi di contrabbandare per cultura un’informazione epidermica, inutile e non metabolizzata in maniera da poter divenire alimento fecondo della mente e dell’anima.
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