Contratto, i conti non tornano

da ItaliaOggi

Contratto, i conti non tornano

I 300 milioni stanziati nella legge di Stabilità bastano solo per l’indennità di vacanza. I rilievi della Corte. Non aiutano i nuovi comparti

Carlo Forte

Rinnovi dei contratti nel pubblico impiego, mancano all’appello 4 miliardi e 700 milioni. A dare l’allarme è stato Raffaele Squitieri, presidente della Corte dei conti, durante l’audizione presso le commissioni bilancio riunite del senato e della camera dei deputati. Che si è tenuta il 3 novembre, in vista dell’approvazione del disegno di legge di stabilità. Il costo dei rinnovi avrebbe dovuto comportare, a regime, una spesa di 5 miliardi di euro. E invece il governo ha stanziato appena 300 milioni. La questione riguarda direttamente i lavoratori della scuola che, nel pubblico impiego, costituiscono il comparto più numeroso. Su circa 3 milioni di occupati nella pubblica amministrazione, un terzo lavora nella scuola.

Nel rapporto del 2015 sul coordinamento della finanza pubblica, peraltro, la magistratura contabile aveva già mosso delle critiche. E aveva osservato che, superata l’emergenza finanziaria, a partire dal 2016 avrebbero dovuto essere riavviate politiche mirate per il pubblico impiego volte ad affrontare le criticità strutturali del settore. I nuovi contratti collettivi, secondo la Corte, avrebbero dovuto garantire un fisiologico incremento dei trattamenti spettanti, coerente con la programmazione finanziaria. E al tempo stesso avrebbero dovuto attuare un riequilibrio nell’assetto complessivo della retribuzione. Il tutto con lo scopo di incrementare le componenti accessorie effettivamente finalizzate a recuperi di produttività ed a incentivare il merito individuale. In buona sostanza, il governo avrebbe dovuto trovare i soldi per pagare lo straordinario. Esigenza, questa, sempre più stringente, specie se si considera che la riduzione del numero degli addetti e, nella scuola, la cancellazione delle ore a disposizione, rende l’urgenza della sostituzione dei lavoratori assenti una drammatica necessità.

Occorrevano, poi, sempre secondo la Corte, interventi mirati sul dimensionamento degli uffici, sul numero, le competenze e le professionalità degli addetti. «Il disegno di legge finanziaria per il 2016» recita il rapporto della magistratura contabile « non modifica l’approccio seguito negli ultimi anni.». Per i rinnovi contrattuali, il cui costo era stato stimato dalla Corte in circa 2 miliardi nel 2016 (in linea con quanto indicato anche nel Def) e 5 miliardi a regime, vengono stanziate risorse (300 milioni) che equivalgono, di fatto, alla sola corresponsione dell’indennità di vacanza contrattuale.

Oltre tutto, «in mancanza di una esplicita disposizione in tal senso» ha lamentato la Corte dei conti « non è chiaro se, e con quale procedura e tempistica, le predette disponibilità, nella probabile ipotesi di ritardi nella sottoscrizione degli accordi, possano essere distribuite unilateralmente agli interessati da parte delle singole amministrazioni interessate.». In buona sostanza, dunque, i 300 milioni basterebbero a stento per pagare l’indennità di vacanza contrattuale: un emolumento che serve a coprire la metà del tasso di inflazione nelle more della sottoscrizione del contratto collettivo. Questi soldi, però, non sono effettivamente disponibili. Perché i 300 milioni sono destinati espressamente al rinnovo del contratto, ma nel disegno di legge di stabilità non vi alcun accenno all’indennità di vacanza contrattuale. E quindi, non si capisce come potrebbero fare le amministrazioni a versare l’indennità ai lavoratori. Oltre tutto la strada per il rinnovo del contratto è tutta in salita. Quand’anche le parti volessero superare la questione dell’inconsistenza della copertura finanziaria, rimarrebbe sempre la questione della previa sui comparti.

A conti fatti, l’aumento medio sarebbe di 7,8 euro mensili lordi a testa. Tolte le tasse, meno di 5 euro netti in busta paga, senza la tredicesima. Ma l’esiguità della somma non è l’unico ostacolo sulla strada dei rinnovi contrattuali. Prima di dare inizio ai negoziati, infatti, il governo intende porre la condizione di ridurre il numero dei comparti della pubblica amministrazione dagli attuali 12 a soli 4 comparti. E ciò potrebbe rallentare ancora di più i tempi dei rinnovi.

La modifica dei comparti porta con sé anche profondi mutamenti nel quadro della rappresentatività sindacale. E dunque, a pochi mesi dalle elezioni delle Rsu, alcuni sindacati che hanno conquistato il fatidico 5%, valido per accedere alla contrattazione, potrebbero venire nuovamente esclusi dai tavoli negoziali. In pratica il rischio è che si cambino le regole al termine della partita, ridisegnando le regole sui punti all’ultimo momento. E i nodi sono subito venuti al pettine. Le organizzazioni sindacali si sarebbero incontrate con i rappresentanti dell’Aran già due volte.

Ma le trattative non avrebbero avuto luogo, la prima volta per un difetto di notifica della convocazione ad un’organizzazione. E la seconda volta a causa di un contenzioso interno ad un’organizzazione sindacale, peraltro, non della scuola, che avrebbe determinato incertezze sull’individuazione del legale rappresentante