Proposte per la FORMIS 2

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Proposte per la FORMIS
FORMazione In Servizio degli insegnanti

parte seconda – l’azione didattica

di Maurizio Tiriticco

 

Dal con/testo normativo e istituzionale di cui al precedente articolo scendiamo ora al testo concreto dell’aula dove si confrontano quotidianamente insegnanti e alunni. In primo luogo dobbiamo liberarci da quell’inveterata espressione dell’insegnante inteso come trasmettitore di cultura. Una cultura in realtà si produce e si riproduce costantemente e collettivamente. E’ una informazione che si trasmette; e poi non è neanche detto che giunga al ricevente come il mittente l’ha elaborata e l’ha trasmessa: basti pensare a quanto ci insegna Jakobson a proposito delle sei funzioni del linguaggio. La cultura, quella almeno di cui ci parlano i grandi, quali il Tylor, il De Saussure, il Durkheim, si costruisce collettivamente giorno dopo giorno ed è in continua evoluzione. La cultura, quindi, a scuola e/o in qualsiasi processo di sviluppo/crescita, di socializzazione e di apprendimento, si sollecita, si provoca, al limite si costruisce insieme.

L’insegnante, quindi, non è un trasmettitore, non può e non deve esserlo. Purtroppo è ancora resistente nelle nostre scuole una visione idealistica, quale quella sostenuta dall’attualismo pedagogico gentiliano, secondo cui insegnante e alunno si unificano nella “vita dello spirito”, da cui discende la stessa autorità della lezione. In effetti, purtroppo, nella nostra scuola sono gentiliani anche insegnanti che di Gentile sanno poco o nulla. Il fatto è che certe consuetudini indotte da un ventennio di scuola fascista sono dure a morire, anche perché nella stessa età repubblicana nessuna riforma ha mai messo in seria discussione questa sorta di nocciolo duro della nostra scuola, che fa della lezione il fattore trainante della didattica. Del resto, anche nei recenti concorsi, la prova clou per dimostrare alla commissione di essere un “buon insegnante” è data dalla lezione offerta nella prova orale. Nulla di più falso: una lezione addirittura finta! E il fatto che nelle Indicazioni nazionali e nelle Linee guida si accenni più volte a una didattica laboratoriale, lascia il tempo che trova, se poi questa didattica innovativa resta solo, appunto, un accenno.

Purtroppo sono in molti a sostenere che, se un insegnante non “spiega” preventivamente, un alunno difficilmente è in grado di “comprendere” dove sono le difficoltà di “apprendere” e “com/prendere” contenuti per lui sempre nuovi. La “spiegazione”, quindi, costituirebbe il punto forte di una relazione di aiuto [1]. Il che non sarebbe totalmente errato: la relazione di aiuto è sempre una costante necessaria e indispensabile del rapporto docente/discente. Ma la questione è un’altra: che tale relazione non si realizza con la lezione cattedratica, dall’alto, ma con la sollecitazione al fare, dal basso. Non si impara ascoltando, si impara ancora di meno leggendo, ma si impara ricercando, discutendo, confrontandosi, e soprattutto facendo [2]. Di qui discende la metafora dell’insegnante muto, che “non spiega” ma sollecita problemi, curiosità, stimola e incoraggia al fare, che corregge, anche, ovviamente, ma in corso d’opera [3], che lavora in un’aula senza cattedra, in cui l’autorità non è data da un “segnale fisico” ma da un “comportamento” che stimola, corregge e premia altri comportamenti. E che addirittura sollecita “lezioni” dal basso, frutto di una ricerca singola o, meglio, cooperativa: di qui, ad esempio, la strategia della peer education [4].

La didattica laboratoriale si fonda quindi sul lavoro effettuato dall’alunno e/o da gruppi di alunni sulla base di stimoli e indicazioni di lavoro opportunamente lanciati dall’insegnante e/o da più insegnanti in forza di un apprendimento che travalichi i limiti delle singole discipline. Insomma, ad esempio, pur se banale, non viene prima l’area del rettangolo come norma e poi tante esercitazioni in merito, ma la necessità di dipingere la parete dell’aula o di sostituire il vetro della finestra che si è rotto. Quanta vernice occorre acquistare? Dove si acquista il vetro? E quanti euro occorrono? Matematica, fisica, chimica, lingua scritta e orale concorrono insieme per formulare l’ordinazione. La vita reale e/o una sua continua e opportuna simulazione entrano a fare della scuola un luogo altrettanto reale che non è più altra cosa rispetto alla vita quotidiana. Attualizzare ciò che si insegna non è facile, ovviamente, ma è necessario. Perché un bambino o un adolescente, che a scuola purtroppo diventa “alunno”, che cioè deve essere alimentato, come una mucca passiva in un’azienda agricola, deve interessarsi allo studio, se questo non è parte integrate dei suoi bisogni quotidiani? Se lo studio è un dovere, non è detto che non possa essere anche un piacere: nella misura in cui soddisfa un bisogno reale sapientemente indotto da un insegnate che stimoli curiosità e interessi reali. Quelle belle gare sulle tabelline mi facevano rincorrere il premio della medaglia d’oro… di cartone, e il piacere del gareggiare copriva abbondantemente la “noia” dell’imparare.

E la grande lezione del Tasso non va mai dimenticata: “Così a l’egro fanciul porgiamo aspersi di soavi licor gli orli del vaso: succhi amari ingannato intanto ei beve, e da l’inganno suo vita riceve”. Ovviamente, non è cosa facile! E’ molto più semplice fare una bella lezione sulla “Gerusalemme liberata” che riuscire a incuriosire a leggerne qualche passo. Ed è proprio qui il leitmotif di un comportamento insegnate efficace [5]. Ma finché chiederemo ai concorsi di fare una bella lezione, tremo proprio che sarà difficile cambiare pagina.

 


[1] Il che ci rinvia direttamente a quei cinque principi della retorica secondo Quintiliano: inventio, dispositivo, elocutio, memoria, actio, che sembrano ancora oggi costituire l’asse portante di una buona ed efficace lezione cattedratica. Si tratta di principi che potrebbero valere soltanto, a nostro giudizio, per quelle lectiones magistrales che danno lustro a tante manifestazioni accademiche.

[2] Sono in circolazione molte tabelle relative al come si apprende. Una delle più convincenti a mio parere è la seguente, che individua una scala di valori percentuali dell’apprendimento, dal meno al più: leggere, 10%; ascoltare, 20%; vedere, 30%; vedere/ascoltare, 40%; discutere/scrivere, 70%; fare da soli e meglio con altri, 80%; insegnare, 95%; produrre per essere competente, 100%.

[3] Si tratta di una correzione che non coincide con una punizione, che non si traduce in un voto negativo, ma in una sollecitazione ad autocorreggersi. A questo punto si aprirebbe la questione dei voti e della valutazione scolastica e di quanto questa, per come viene quotidianamente realizzata, sia poco produttiva ai fini di un apprendimento efficace. Com’è noto, da più parti si sta proponendo di abolire i voti decimali nella scuola primaria. Sarebbe un buon inizio per avviare l’intero sistema di istruzione ad una valutazione che sia parte integrante e promozionale del processo di apprendimento e non semplicemente sanzionatoria.

[4] Si veda al proposito Alberto Pellai, Valentina Rinaldin, Barbara Tamborini, Educazione tra pari, manuale teorico-pratico di empowered peer education, Erikson, Trento, 2002.

[5] Si veda al proposito il classico Thomas Gordon. Insegnanti efficaci. Il metodo Gordon; pratiche educative per insegnanti genitori e studenti, Giunti, Firenze, 1978. Thomas Gordon è stato uno stretto collaboratore di Carl Rogers, il noto psicologo statunitense autore della terapia centrata sul cliente e dell’empatia, un atteggiamento che dovrebbe costituire uno dei punti di forza del rapporto docente/alunno.