M. Cerulo, Gli equlibristi

Gli equilibristi con le vertigini

di Stefano Stefanel

 

ceruloGli equlibristi La vita quotidiana del dirigente scolastico: uno studio etnografico è un interessante testo sui dirigenti scolastici scritto da Massimo Cerulo, finanziato dalla Fondazione Agnelli e pubblicato quest’anno da Rubettinoebook. Si può scaricare gratuitamente on line. Gli equilibristi è una ricerca sul campo fatta seguendo per una settimana dalle 8.00 alle 14.00 quattro dirigenti di scuole secondarie di secondo grado (due del Nord e due del Sud, uno con una reggenza nel primo ciclo) e osservando e rendicontando quello che fanno “minuto per minuto”. E’ vero che “Tutto il dirigente minuto per minuto” alla fine dovrebbe spaziare su almeno 16 ore di vita giornaliera, ma è altrettanto vero che un’osservazione come qualla condotta da Cerulo è molto completa ed ampia. I quattro colleghi che si sono prestati alla ricerca svolgono in modo egregio il proprio lavoro, danno risposte sensate e – come tutti noi – interpretano le stesse leggi in modi personali e con stili dirigenziali irripetibili. Il volume è facilmente leggibile, le casistiche pertinenti e proprie di ogni giornata del dirigente scolastico: ci si riconosce facilmente in molto di quello che accade. Inoltre il testo esce dalla logica della statistiche per entrare in quello delle casistiche e l’osservazione esterna è molto interessante perché mostra quali questioni, quali opinioni, quali comportamenti sono i primi ad essere letti e registrati da chi non ci conosce. Gli equilibristi è un libro molto interessante e pieno di spunti per analizzare la professione dirigenziale: proprio perché non è un libro che vuole essere esaustivo permette di isolare alcuni elementi che sono al tempo stesso problematici ed emblematici. Inoltre permette di abbozzare una figura dirigenziale che, pur con ovvie e prevedibili diversità, alla fine coincide in molti tratti. Ritengo l’operazione pienamente riuscita e spero la Fondazione Agnelli e l’autore riescano ad accompagnarla con utili dibattiti nelle varie zone d’Italia toccate da problemi analoghi a quelli descritti nel volume, ma anche da problematiche del tutto diverse.

 

L’ABBRACCIO MORTALE

 

La questione che attraversa tutto il libro è quella del rapporto tra amministrazione e didattica nella professione dirigenziale. Poiché le norme attribuiscono entrambe le funzioni al dirigente scolastico, ma i problemi vengono soprattutto dal lato amministrativo Gli equilibristi descrive per lo più l’approccio amministrativo del dirigente fino a far dire all’autore (smentito dal prefatore della Fondazione Agnelli) che nella scuola ci vorrebbe una doppia dirigenza : didattica assegnata al Preside, amministrativa assegnata al Dsga. E’ questa anche l’idea delle associazioni di categoria dei Dsga, smentita (dico io giustamente) da tutte le leggi sulla dirigenza scolastica (dal d.lgs 165/2001, al d.lgs 150/2009, alla legge 107/2015) e avvalorata invece dal Contratto collettivo del personale scolastico (fermo al 21 novembre 2007) che amplia i campi di competenza del Dsga anche palesemente contro la norma legislativa.

Noterei come i quattro colleghi si siano consegnati completamente nelle mani dei propri Dsga: questa è una scelta che molti fanno, che certo non possono fare i moltissimi dirigenti scolastici in conflitto con i propri Dsga (stimerei intorno al 25% il conflitto che spesso sfocia nel contenzioso anche furibondo tra dirigenti e Dsga della stessa scuola), che però non costituisce una scelta obbligata. Faccio notare infatti che con una doppia dirigenza conterebbe di più chi deterrebbe i soldi e che quindi si arriverebbe all’abbraccio mortale tra didattica e amministrazione con l’amministrazione che sarebbe direttiva di fatto nei confronti della didattica.

Personalmente penso che la scelta di dedicarsi più all’amministrazione che ad alunni, docenti, progetti didattici, successo formativo egli studenti, analisi della curricolarità, valutazione degli alunni, ecc. sia proprio una scelta, niente affatto resa necessaria da quanto prevede la professione. Nel libro si nota come tutti i Dsga tendano a criticare docenti e collaboratori scolastici (bidelli) e a difendere gli assistenti amministrativi. L’amministrazione è e deve restare un supporto all’azione didattica e formativa e non deve condizionare nulla. Senza insegnanti non si fa scuola e senza alunni gli insegnanti non sanno a chi fare scuola. Il resto è contorno e supporto, a volte utile e a volte invasivo. Ma sempre e solo supporto. Questo fatto poi degli uffici comunicanti e dei Dsga che entrano ed escono quando vogliono per evidenziare quello che sembra loro urgenze mi pare almeno bizzarro (e la chiudo qui).

Non si comprende poi perché i docenti dovrebbero avere competenze amministrative (fare le carte giuste, insomma), visto che il loro mestiere è un altro (produrre studenti giusti). Quindi l’amministrazione dovrebbe aiutare, non chiedere. La diarchia dirigenziale (dirigente e Dsga) c’è nei fatti in molte scuole, ma io penso sia sbagliata, perché porta un’ingerenza dell’azione amministrativa in quella didattica e formativa. Se poi tra le due figure c’è conflitto si deve convivere col conflitto: nel testo si fa ampio scandalo sul fatto che il dirigente non può scegliere i docenti, ma mai si dice che non può scegliere neppure i Dsga. Il libro è molto interessante anche perché attorno a quella che io ritengo una patologia mostra comunque un meccanismo funzionante di azione dirigenziale.

 

TROPPI CRETINI IN GIRO

 

Un altro elemento che il testo mette in evidenza è la tendenza delle scuole a considerarsi soggetti virtuosi circondati da uno stuolo di cretini: questi ultimi si annidano in parlamento dove sono approvate leggi assurde, al ministero dove si fanno i fatti loro senza sentire cosa succede sul campo, negli uffici periferici del ministero dove le carte prevalgono sul resto, negli enti locali che non capiscono cosa serva alla scuola (aule in più o una divisione di sedi, come ad esempio indicato nel libro), tra i genitori che non riconoscono alla scuola il ruolo che deve avere, ecc. Questa tendenza intellettuale molto presente nelle scuole è ben evidenziata nella ricerca, ma denota un tratto per me molto pericoloso per la leggibilità e la comprensione del sistema scolastico da parte degli stakeholder e dell’opinione pubblica.

Ritenere infatti di essere gli unici virtuosi circondati da una massa di scansafatiche fuori controllo può portare a ritenere la scuola come un’isola di competenze in un mondo di incompetenti. I dati non dicono questo, le rilevazioni nazionali e internazionali neppure, la società civile ha idee ben diverse su di noi e il legislatore introduce novità che la scuola spesso con modi anche impropri respinge. Chi fa il dirigente scolastico conosce bene le incongruenze, le assurdità, i ritardi, le ripetizioni inutili, ecc. cui si va incontro quotidianamente nella professione. Conosce la cattiveria della burocrazia statale. Sa bene il tempo che si perde per redigere inutili documenti. Ma troppo spesso tendiamo a scaricare su altri colpe nate dentro la scuola se non dentro proprio la dirigenza.

Gli equilibristi ha anche questo pregio: mostra la pochissima autocritica che noi dirigenti mettiamo nel nostro lavoro e evidenzia il piacere del lamentarsi di quello che non funziona e noi col nostro buon senso faremmo funzionare. Ma descrivere la scuola come isola di virtù che deve difendersi dai cretini che vivono nella società civile non credo faccia del bene ad un sistema che viene messo in discussione, troppo spesso a ragione, da più parti.

La questione dei contributi volontari è emblematica di questo: la norma dice che sono volontari e troppi dirigenti li camuffano come obbligatori, ma questo solo nel secondo ciclo. Ecco qua un bell’esempio di norma certa (le tasse le impone lo Stato e non possono essere decise dalle sue autonomie funzionali) che spesso viene aggirata portando ai giusti richiami ministeriali. In questo caso si vede come può accadere che i dirigenti scolastici estendano la categoria dei “cretini” a troppi soggetti, diventando bersaglio di facili ironie (vedi gli sceriffi connessi alle attribuzioni della legge 107).

 

DELEGA ADDIO

 

La ricerca della Fondazione Agnelli mette poi in ottima evidenza la difficoltà di delegare. Il dirigente scolastico è descritto come un accentratore che vuole controllare tutto. In realtà è un po’ così e questo nasce dal fatto che il dirigente scolastico non è più un Preside. Dirigenza vuol dire responsabilità, che non si può mai delegare. Da qui la necessità di controllare, decidere, definire. In questo senso ognuno di noi decide se spingersi più addentro sul lato didattico (“della forza”) o sul lato amministrativo (“della forza”). Per usare una terminologia starwarsiana la solitudine dirigenziale viene attratta dal “lato oscuro della forza” (l’amministrazione) e spesso ci si dimentica che studenti e insegnanti valgono più di qualsiasi carta.

Per questo motivo è molto più utile cercare alleanze, dare compiti e mandati semplici, lavorare per gruppi tematici e di lavoro, affidarsi alle esperienze reali piuttosto che isterilirsi attorno a staff creati metà per nomina diretta, metà per voto del collegio docenti (funzioni strumentali). Il libro insomma chiarisce molto bene come dietro le deleghe ci siano persone e come dietro alla funzione dirigenziale ci siano responsabilità che non si delegano e che come tali vanno semplicemente conosciute ed affrontate. Qualcuna di queste responsabilità è oggettivamente eccessiva (quella sicurezza, ad esempio, che ha portato un di noi in prigione), qualche altra logica, qualche altra ancora nata dentro il bizantinismo normativo italiano, qualche altra ancora prodotta dal nostro modo di fare. Se è vero che siamo un po’ soli è anche vero che spesso siamo ossessionati dalle cose da fare e non usciamo per il confronto, la conoscenza, la collaborazione. Gli equilibristi parla comunque di dirigenti scolastici che escono dai propri uffici più per forza che per scelta e di dirigenti che considerano comunque il confronto esterno come ostacolante il quotidiano lavoro, per altro molto ben descritto nel libro.

 

DOVE NASCE LA FORMAZIONE

 

La scelta di seguire quattro dirigenti del secondo ciclo è forse l’unico neo nel testo. Uno squarcio sul primo ciclo si ha solo con il dirigente pugliese reggente di un Istituto comprensivo. Io credo che la professione abbia il suo ruolo più forte proprio nel primo ciclo, dove si annidano i veri problemi e le vere emergenze. E dove nascono tutte le competenze per gestire una scuola. Ma dove anche partono la formazione e l’apprendimento, dove trovano radici le competenze di tutti gli studenti e di tutti i cittadini. Un dirigente di secondo ciclo che non ha esperienza di primo ciclo è un dirigente scolastico che per sua natura tende a spostarsi verso il “lato oscuro della forza” (l’amministrazione), mentre chi lavora nel primo ciclo deve per forza mescolarsi con le problematiche dell’apprendimento.

Questo è un passaggio non da poco: da quasi quattro anni dirigo un grande Liceo udinese ma mantengo una reggenza nel primo ciclo (dove ho fatto il dirigente per undici anni) che mi permette di vedere tutti i giorni la struttura dell’apprendimento dai 3 ai 19 anni. Questo mi porta per forza di cose a dare più peso all’attività didattica e di progettazione curricolare, a lavorare su Piani dell’offerta formativa molto attenti alle necessità dell’apprendimento. Ma questa mia visione delle cose è una tra le tante possibili e penso che il volume della Fondazione Agnelli aiuti molto la riflessione sul pericolo di scambiare la propria esperienza e la propria visione delle cose in un pre-concetto.

 

Un bel libro con molte e interessanti riflessioni. Come dice Han Solo tornando sul Millenium Falcon nell’ultimo episodio di Star Wars: “E’ tutto vero”.

 

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