Caro Luigi, d’accordo, ma…

print

Caro Luigi, d’accordo, ma…

di Maurizio Tiriticco

 

Ho apprezzato molto l’articolo di Luigi Manfrecola che ha degnato di osservazioni attente e puntuali le mie considerazioni su ciò che sta accadendo nelle testa e nella dita delle giovani generazioni alle prese con la scrittura digitale. Non ho espresso certezze, ma molti dubbi, confessando testualmente di essere anche profondamente ignorante in una materia che richiede contributi plurimi e specialistici, antropologici, psicolinguistici e non so che cos’altro. So molto bene quanto faticano gli insegnanti oggi a correggere composizioni scritte: calligrafie, anzi cacografie, assolutamente illeggibili, punteggiature casuali o inesistenti; per non dire dei due punti o del punto e virgola o l’uso di parentesi, lineette e trattini, virgolette e caporali, o capoversi e paragrafi. Abbiamo una lingua scritta ricchissima quanto a vocabolario e a segni di interpunzione, che oggi è bistrattata in mille modi. Per non dire della grande fatica di un laureando a comporre una tesi che abbia un minimo di organizzazione concettuale e implichi un minimo di attenzione alla composizione dei periodi. Ed è ovvio che, a fronte di una simile situazione, il problema numero uno è quello di insistere sulla correttezza della lingua e dello sviluppo del pensiero, orale o scritto che sia. Va anche considerato che tale povertà costruttiva e argomentativa riguarda anche la comunicazione orale, sulla quale l’intervento correttivo è estremamente limitato esercitandosi soltanto all’interno delle aule scolastiche.

Sono quindi perfettamente d’accordo con la denuncia ferma di una simile situazione e sulla necessità di affrontarla di conseguenza con strumenti e modi forse diversi da quelli della nostra tradizione scolastica. Ma la questione che sollevavo andava oltre e la ponevo in modo problematico e interrogativo. Il fatto è che siamo sempre più esposti a mezzi di comunicazione che ci sollecitano ad andare oltre il pensiero lineare, e ci sollecitano al reticolare o, se vogliamo, all’ipertestuale. In effetti una quindicina di anni fa lo stesso Raffaele Simone nella Terza fase, forme di sapere che stiamo perdendo, poneva una questione per certi versi analoga: l’avvento delle tecnologie ipertestuali non concorrono a migliorare le nostre competenze logico linguistiche – discrete e digitali, potremmo aggiungere – ma ad impoverirle. Ma, ed ecco il mio “ma” molto interrogativo: all’impoverimento del discreto e del digitale non potrebbe corrispondere un arricchimento del continuo e dell’analogico? Non si apre forse la porta a forme di sapere che – potremmo dire – stiamo acquistando? Una porta che ancora è semplicemente semiaperta, che sollecita a nuove forme di pensiero assolutamente insospettate? E concludevo con una affermazione che intendo replicare: “Non so se a farmi esprimere questi pensieri sia il mio inguaribile ottimismo, oppure la mia profonda ignoranza in materia”.

Le mie considerazioni non sono assolutamente perentorie e qualunque contributo in materia è da me bene accetto. Anche e soprattutto perché è agli insegnanti che occorre dare indicazioni di lavoro diverse da quelle della tradizione. Ciò che non accetto è il pensare che queste forme altre dell’esprimersi e del comunicare vengano viste come una sorta di iattura dalla quale occorre soltanto guardarsi. Era una iattura il tentativo di volare di Leonardo, ma oggi voliamo! Per non dire dei roghi che sono stati inflitti ai sostenitori del sistema eliocentrico! Non credo che, a causa del digitale, saremo condannati a diventare tutti imbecilli!