Il ristorante che dà lavoro a giovani disoccupati, disabili e vittime di violenza

da Redattore sociale

Il ristorante che dà lavoro a giovani disoccupati, disabili e vittime di violenza

Si chiama “Un posto tranquillo” e ha aperto circa un anno fa a San Cataldo, in provincia di Caltanissetta. Totalmente accessibile offre piatti della tradizione siciliana rivisitati e prodotti biologici e a km zero. Un progetto della Cooperativa Etnos

Un
posto tranquillo, personale di sala e cucina
Un ristorante dove amore per la buona cucina e solidarietà coabitano  in armonia. Si chiama “Un posto tranquillo”, ed è nato da poco più di un anno a San Cataldo, in provincia di Caltanissetta. Nelle sale e in cucina lavorano persone socialmente svantaggiate, come ragazzi affetti dalla sindrome di Down, donne vittime di violenza e giovani disoccupati under 35. “L’idea – racconta Fabio Ruvolo, presidente della cooperativa Etnos capofila del progetto – è nata quasi per caso: al nostro ente mancava l’ultimo tassello per raggiungere la forma più alta di riabilitazione, ossia l’inserimento lavorativo: non avevamo le competenze per occuparci di ristorazione”.

“Un posto tranquillo” è stato accreditato come il quattordicesimo miglior progetto sperimentale, tra i mille in tutta Italia, nella categoria” Giovani per il sociale” del Dipartimento Gioventù  della Presidenza del Consiglio dei Ministri e ha ricevuto il cofinanziamento  statale che ha permesso la messa a punto di un struttura di 700 metri quadri, totalmente priva di barriere architettoniche e family friendly.  E’ aperto tutti week end e con un’alta vocazione per il banqueting. “E’ un grande risultato, soprattutto perché l’idea è in controtendenza rispetto alle dinamiche proprie del nostro territorio, dove il tasso di occupazione giovanile è ai minimi storici ed è molto bassa anche la percentuale dei soggetti svantaggiati che riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro”, prosegue Ruvolo.

Un
posto tranquillo – sala ricevimenti
Molte le collaborazioni che hanno reso possibile la realizzazione di questo progetto: l’Associazione italiana dei ristoratori, guidata da suo presidente Giuseppe Pinzino, coordina il personale di sala e cucina; l’associazione “Vita Nova” si occupa del tutoraggio dei ragazzi con disabilità e il Gruppo di acquisto solidale “Bio…logico GAS” della qualità delle materie prime. Infatti il progetto predilige cibi a km zero e biologici, promuovendo i prodotti del territorio e uno stile di vita sano. L’organizzazione degli eventi, che spaziano dall’intrattenimento alla musica classica o al rock, è affidata al direttore artistico Ernesto Trapanese.

A “Un posto tranquillo” la solidarietà si esprime anche con l’amore per il buon cibo, grazie all’impegno dello chef Ennio La Rosa che rielabora i piatti tipici della cucina siciliana in maniera originale e innovativa. IL ristorante dispone inoltre di un’apposita area bimbi con animatrici e attrazioni dedicate ai piccoli con disabilità e tre pulmini che garantiscono trasporti gratuiti per gruppi di anziani e disabili. “Mangiare la pizza – afferma il presidente di Etnos – non è un’attività immediata e normale per molti: noi vogliamo renderla possibile. E direi che ci stiamo riuscendo: dall’apertura dello scorso dicembre ad oggi – continua Ruvolo – sono oltre diecimila i visitatori complessivi, ai quali si aggiungono i nostri clienti fissi”.

Un
posto tranquillo – tavolo
“Un posto tranquillo” è uno spazio  dove tante persone vivono una nuova chance di vita. Dove gli ospiti ma anche il perdonale hanno modo  di rivalutare il concetto stesso di disabilitàe di autonomia.  Come nel caso delle donne vittime di violenza, che grazie all’impegno lavorativo  imparano il vero significato della libertà e della ricostruzione della propria identità per lungo tempo vessata da mortificazione e violenze. “È una nuova frontiera – conclude Ruvolo – che abbatte i principi dell’assistenza sociale pura e ci permette, ad esempio, di investire in una comunità per minori stranieri non accompagnati, come è già successo. Il nostro ideale più grande è vedere crescere la percentuale di inserimento lavorativo tra i meno fortunati, anche per la soddisfazione delle loro famiglie”.