Il PdM dopo il PTOF: che fare?

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Il PdM dopo il PTOF: che fare?

di Ivana Summa

 

Con l’avvento delle norme contenute nella legge n. 107/2015, le singole istituzioni scolastiche sono chiamate ad un cambiamento profondo, dal respiro lungo ma dalle azioni immediate. In questi ultimi due decenni le scuole sono state coinvolte in mutamenti radicali che interessano le norme, le tecnologie, la didattica, le strutture, le procedure e, di conseguenza, le competenze professionali necessarie per attraversare con successo queste profonde trasformazioni.

Le precedenti competenze, generate sulla base di ruoli già prescritti e vincolati a routine lungamente sperimentate, o si trasformano positivamente in questa fase di passaggio – o, meglio, di transizione – oppure, nel tentare di resistere a tutti i costi al cambiamento, sono destinate a cristallizzarsi ed impoverirsi. Le competenze richieste per una transizione di successo, più che su un sapere basato sull’esperienza e su saperi codificati, sono fondate su un sapere che si va arricchendosi con l’agire in condizioni di incertezza, che sono specifiche delle grandi trasformazioni, allorchè diventa fondamentale il riflettere sulle vecchie pratiche, sulla base delle quali ricercarne e sperimentarne di nuove, elaborando strada facendo le rappresentazioni e la visione del nuovo contesto in cui si è chiamati a lavorare.

Ebbene, la trasformazione cui sono chiamate le – se ben accompagnata nella fase di transizione – dovrebbe generare competenze che si creano in azione, mettendo in moto e trasformando, implicitamente ed esplicitamente, i saperi sociali da condividere nei nuovi contesti di lavoro che – lo sappiamo bene – possono diventare idiosincratici. E sappiamo altrettanto bene che, in medicina, l’idiosincrasia si riferisce alla violenta reazione di alcuni soggetti quando entrano in contatto con certe sostanze.

E’ bene, allora, chiarire che le persone, nel corso della loro vita affrontano numerosi cambiamenti, intesi come passaggi più o meno repentini e più o meno naturali, e, dunque, le transizioni esistono e non sono un male o un bene in sé, perchè l’esito positivo dipende da come ci si prepara ad affrontarle, da quali competenze si mettono in atto, se le si considera un’opportunità di sviluppo, di crescita e di arricchimento, oppure – come purtroppo accade nelle scuole che sono “costrette” ad “applicare” la legge – le si considera come una perdita di identità e di competenze perchè lo scenario viene immaginato imprevedibile e, dunque, minaccioso.

E’ facile comprendere allora che questo tipo di transizione, proprio perchè coinvolge sia le istituzioni scolastiche che le persone (e non solo il personale della scuola, ma anche alunni e genitori) ha bisogno di un supporto che faccia da “contenimento”, che è una funzione fondamentale per orientare i diversi soggetti che di fronte a trasformazioni radicali mettono in atto sentimenti di “spaesamento”. I comportamenti di resistenza al cambiamento nascono proprio dal fatto che, non essendoci   “contenitori istituzionali” adeguati ad accompagnare la transizone culturale (il MIUR , infatti, fa la sua parte come   avveniva in passato e, come in passato, il supporto viene accolto all’interno di una persistente cultura burocratica) prevale l’incertezza e l’imprevedibilità “oggettiva” delle transizioni, che si sommano alla “fragilità soggettiva” che rappresenta l’inevitabile stato psicologico di coloro che debbono riconsiderare perfino “la natura identitaria” della propria professionalità.

Tale premessa è per evidenziare come siano proprio i dirigenti scolastici i primi a vivere la destabilizzazione provocata dalla legge di riforma, proprio quando sono chiamati alla realizzazione del Piano di Miglioramento (Pdm) che è parte sostanziale del cambiamento strategico richiesto a tutto il sistema scolastico. La fase di realizzazione, infatti, chiamando a responsabilità tutti gli attori, ovvero tutti i docenti, richiede un coinvolgimento a 360° che può (e deve) essere esercitato proprio dal dirigente scolastico (che ne è responsabile!) e ciò attraverso due canali.

Il primo è riferibile alla sua capacità di leadership educativa da esercitare day by day, nei contesti formali e in quelli informali; il secondo è quello che si manifesta in atti amministrativi che, pur se non previsti dalla legge, sono ascrivibili alla stessa potestà dirigenziale, tenuta a guidare, coordinare, valorizzare, promuovere, indirizzare.

L’atto di indirizzo qui suggerito è una risposta utile per tenere alta la pressione sul cambiamento in un anno scolastico che, come quello che stiamo vivendo, è caratterizzato dal “parodosso gestionale” della convivenza tra vecchio e nuovo.E ciò può diventare una vera trappola per la diffusione del miglioramento, inteso come filosofia di lavoro da interiorizzare come valore e come metodo professionale.


 

 

OGGETTO: Atto di indirizzo per la realizzazione del Piano di Miglioramento 2015/2018

IL DIRIGENTE SCOLASTICO

  • Visto l’art. 25 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ;
  • Visto l’art. 14,commi 1 e 2 del C.C.N.L., dell’Area V relativa al quadriennio normativo 2006/2009;
  • visto l’art. 7 del T.U. Dpr n. 297/1994
  • Visto il D.P.R. n. 275 dell’8 marzo 1999 così come modificato ed integrato dalla Legge n. 107 del 13 luglio 2015;
  • Visto l’art. 1, commi 7, 14, 15, 16, 17, 29, 40, 63, 78, 85, 93 della Legge n. 107/2015;
  • Visto il D.P.R n. 80 del 28 marzo 2013;
  • Vista la Direttiva MIUR n. 11 del 18 settembre 2011;
  • Presa visione della Nota MIUR del 1° settembre 2015, relativa al Rapporto di Autovalutazione e al Piano di Miglioramento;
  • Tenuto conto che l’Istituto XXXXXX ha elaborato il Piano di Miglioramento sulla base delle risultanze del Rapporto di AutoValutazione e pubblicato sul web al seguente indirizzo……..
  • Preso atto delle azioni contenute nelle aree di processo, finalizzate al reggiungimento degli obiettivi e dei traguardi di migliaramento da raggiungere nel triennio;
  • Convenuto che tutto il piano è finalizzato al miglioramento degli esiti e, in particolare, degli esiti riferiti a…..
  • Considerato che il comma 129, punti 3a,3b,3c, in riferimento ai criteri di valutazione del merito, individua nel miglioramento dell’istituzione scolastica e, in particolare, della qualità dell’insegnamento e delle competenze degli alunni, la dimensione fondamentale della prestazione professionale del docente;
  • rilevato che la progettualità del POF dell’anno scolastico in corso è coerente con la progettazione contenuta nel PdM;
  • preso atto che la concreta attuazione del PdM è affidata ai docenti nella loro prestazione individuale e di gruppo docente, sia nei dipartimenti disciplinari che soprattutto nei consigli di classe

Emana

i seguenti indirizzi finalizzati al coordinamento dell’attività didattica, nell’ambito della libertà di insegnamento dei docenti e della unitarietà dell’offerta formativa da garantire agli alunni:

  1. individuare, nell’ambito dell’insegnamento disciplinare fatto oggetto di riflessione nei dipartimenti, le metodologie, le didattiche e le modalità di valutazione   più coerenti con gli obiettivi da conseguire,definiti nel PdM;
  2. decidere, a livello di consiglio di classe e di team docenti, le azioni trasversali da realizzare cooperando a livello della singola classe;
  3. monitorare, sia individualmente che collegialmente, utilizzando gli indicatori contenuti nel Pdm, i risultati dell’attività didattica e formativa;
  4. collaborare con i docenti che fanno parte del team di miglioramento sia per avere indicazioni e sostegno che per fornire elementi utili per monitare il PdM.

Quanto sopra indicato ha il solo scopo di orientare l’attività decisionale dei docenti,   affinchè possano avere la piena consapevolezza della responsabilità in ordine agli obiettivi che la scuola è tenuta a conseguire, dando un concreto contributo al miglioramento del sistema scolastico.