“Le ricette della signora Toku”, un film di Naomi Kawase
di Mario Coviello
Alberi di ciliegio in fiore accompagnano una signora piccola, minuta, con un cappello di lana, grandi occhiali con una montatura in oro. Toku si ferma, ascolta le foglie e sorride. E’ l’unica che lo fa . Per strada tutti guardano avanti, corrono, hanno fretta. Sentaro apre il suo piccolo chiosco. Indossa un grembiule e comincia a preparare su una piastra bollente i dorayaky, tipici dolci giapponesi che ricordano vagamente i pancakes. Dischi dorati, morbidi, che riempie con “an”, una marmellata di fagioli rosso/viola per tre studentesse chiacchierone che lo prendono in giro perché ha la faccia sempre buia, triste. Toku che ha settantasei anni arriva al chiosco e chiede di poter lavorare. Si accontenta della metà della paga, ma il giovane triste la respinge. Toku non si arrende e torna il giorno dopo e poi ancora, fino a quando non vince la sua resistenza e comincia a lavorare. La marmellata si fa con i fagioli rossi. “ E poichè le cose buone hanno bisogno di tempo per essere preparate.” è necessario alzarsi presto per cuocerli con lentezza. Toku parla con i fagioli che “ raccontano storie di vento, pioggia e sole, di mani nodose e di fatica..”e lentamente prepara l’an. Da subito la clientela aumenta e il viso di Setaro si distende. Toku continua a sorridere e comincia a preparare anche i dorayaky nei quali la marmellata viene avvolta. Ha mani strane, nodose, si muove a fatica, ha bisogno di aiuto per sollevare la grande pentola nella quale cuociono lentamente i fagioli tutte le mattine, ma sorride e continua a ripetere che bisogna “ lavorare con amore..” per dare gioia ai clienti. Frequenta il chiosco Wakana ,una ragazza triste, che vive con una madre assente e porta a casa i dorayaky difettosi per sfamarsi. A loro (a Sentaro e Wakana) sarà proprio la signora Toku (che parla con gli alberi e capta il loro suono e dedica all’osservazione della natura che la circonda la stessa attenzione con cui controlla la pentola dove per ore e ore bollono borbottando i fagioli) a far comprendere l’importanza di considerare positivamente l’unicità irripetibile di ogni momento, anche di quelli più brutti e sconfortati. Ed è così che la marmellata dalla preparazione lenta e non facile unisce le tre vite, vero e proprio “collante” tra due elementi simili. Le tre solitudini si uniscono.
Il tempo scorre ma improvvisamente il negozio non è più frequentato. La signora Toku vive in un sanatorio, ha avuto la lebbra che le ha lasciato quelle mani nodose e nessuno si avvicina più al chiosco, nonostante la sua marmellata sia unica. Setaro ha un passato doloroso, la ragazza resiste alla madre che non vuole farle frequentare il liceo, e i due decidono di andare a trovare la signora Toku che si è licenziata.
“Lavorare con voi, principale, è stata la cosa più bella della mia vita..”, e Setaro piange mentre Wakana regala a Toku il canarino che non può più tenere nell’appartamento. La vecchia muore e lascia in eredità a Setaro i suoi attrezzi da cucina…
C’è ancora speranza, torna la primavera e i ciliegi in fiore accolgono il grido di Setaro che vende per strada i suoi biscotti; li vende gridando, con un sorriso accennato sul volto, proprio lui prima così silenzioso e triste.
“ Le ricette della signora Toku”prende forma dal romanzo An di Durian Sukegawa e la regista Naomi Kawase con il ritmo lento della natura ci narra tre vite, tre solitudini che si incontrano .Denuncia l’ingiusta segregazione dei lebbrosi che fino al 1996 in Giappone non potevano uscire dai sanatori e non avevano diritto nemmeno a una tomba. La tomba di Toku è un albero di ciliegio. La signora Toku non può non ricordare a tutti noi le nostre nonne, pezzi della nostra esistenza che con la loro dolcezza e apprensione ci hanno sempre viziati di nascosto da tutti gli altri che avrebbero potuto arrabbiarsi o, semplicemente, sarebbero morti d’invidia. Forse però per la regista la cosa più importante è il suo prioritario interesse a guardare oltre l’ineluttabile senso di sventura che segna spesso i casi della vita per poi provare a trovarci un senso, la voglia di alzare lo sguardo in alto, sopra i ciliegi in fiore al fine di ribadire che tutto, gli affetti, il cibo, la sofferenza, la malattia e persino la morte , rientra nel ciclo vitale dell’esistenza che si rinnova continuamente e ciclicamente – come accade anche alla natura – con l’alternarsi delle sue stagioni.
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