A proposito (e sproposito) di “ZEROSEI”
di Loretta Lega
In qualità di ex-insegnante di scuola dell’infanzia, prima comunale e poi statale, e di ex-assessore all’istruzione di un Comune fortemente impegnato a costruire e far funzionare asili nido e scuole dell’infanzia della mia città, vorrei intervenire sul problema “zerosei”, anche per andare oltre le preoccupazioni o le disinformazioni che si sono diffuse attorno all’attuazione della “delega 0-6” contenuta nella legge 107/2015.
Le novità della legge 107
L’attuazione della Legge 107/2015 (la buona scuola) si è concentrata attorno ad alcuni oggetti forti (la stabilizzazione dei precari, il bonus per il merito, il ruolo del dirigente, l’alternanza scuola-lavoro), lasciando in ombra molti altri aspetti e settori della vita scolastica, come è il caso del segmento “zerosei” (il percorso educativo per i bambini della prima e seconda infanzia), chiamato dalla legge a ripensarsi come sistema integrato di nidi e scuole dell’infanzia.
Non si tratta di una scelta semplice perché ciascuno dei due segmenti educativi, chiamati dalla legge a dialogare tra di loro, ha una sua forte identità ricca di storia, di riferimenti pedagogici, di realizzazioni anche molto diverse, di cui è particolarmente geloso.
I nidi d’infanzia e le scuole materne hanno conquistato il loro posto nel sistema scolastico a fatica e temono, soprattutto i colleghi della scuola dell’infanzia, di perderlo in un indistinto servizio educativo a forte valenza sociale, come a prima vista può sembrare lo “zerosei”.[1]
C’è questo pericolo tra i commi della Legge 107? Noi pensiamo di no, ma sarà il testo del decreto legislativo che dovrà chiarirlo. La delega “zerosei”, che richiede risorse finanziarie certe (questa è semmai la preoccupazione maggiore), ha l’obiettivo di rafforzare ed estendere la qualità dei servizi educativi (i nidi da 0 a 3 anni) e delle scuole dell’infanzia (3-6 anni)[2].
Check up ai servizi per l’infanzia
Al momento, ci sono lavori in corso in appositi gruppi e tavoli di lavoro al MIUR, ed è auspicabile che si apra un confronto sereno sulle questioni in gioco. Proviamo a riassumerle :
- c’è bisogno di più nidi in Italia, siamo il fanalino di coda in Europa, ed il loro costo è eccessivo perché equiparato ad un servizio quasi privato a domanda individuale;
- la qualità dei nidi è molto diversa: molti sono gestiti dai Comuni (in base alla legge 1044 del lontano 1971), ma quasi la metà sono strutture private o convenzionate, ed è necessario dotare il sistema nidi di “Linee guida pedagogiche” che diano un riferimento culturale forte all’intero settore;
- la scuola dell’infanzia è molto diffusa nel territorio, ma separata in forme di gestione diverse (statale, comunale, privata paritaria), non sempre in dialogo tra di loro, anzi spesso in concorrenza e non è detto che questo faccia bene ai bambini;
- quella dai 3 ai 6 anni è una scuola a tutti gli effetti, ma gracile, tenuta ai margini della “scuola dei grandi”, anche se ormai a pieno titolo inserita (la scuola statale) negli istituti comprensivi, in una prospettiva di continuità 3 – 14 anni, che però sembra solo una promessa;
- l’intero settore presenta un affaticamento organizzativo notevole, dovuto alle restrizioni della finanza pubblica (sia dello Stato che dei Comuni) e si trova alle prese con situazioni gravi, tra blocco del turnover, precariato, esternalizzazioni dei servizi, parametri numerici faticosi nelle sezioni dell’infanzia, scarsa valorizzazione delle professionalità[3].
Una buona legge-quadro (il decreto legislativo, infatti, ha valore di legge ordinaria) è necessaria per affrontare decisamente tali questioni, sapendo poi che non bastano i provvedimenti normativi per dare certezza all’intero settore e per metterne in risalto la valenza educativa. Occorre definire le caratteristiche organizzative essenziali, indicare le condizioni per generalizzare e qualificare entrambe le strutture educative (asili nido e scuole dell’infanzia).
Sono misure che hanno un costo e che richiedono il reperimento di risorse finanziarie aggiuntive, soprattutto se si vuole estendere il nido dall’attuale 15% di copertura del servizio al 33% auspicato a livello europeo. Anche la scuola dell’infanzia deve essere sostenuta finanziariamente nella realizzazione di standard qualitativi migliori (si pensi al numero di bambini per sezione o ai tempi di compresenza). En passant, non si deve dimenticare che l’organico potenziato (previsto dalla legge 107/2015) ha comportato l’assunzione “aggiuntiva” di circa 55.000 docenti, ma la scuola dell’infanzia è stata esclusa dall’operazione (proprio perché in attesa di un riordino complessivo del settore).
I nodi del decreto legislativo 0-6
Che fare, allora? Sospendere tutto in attesa di tempi migliori, che forse non arriveranno mai? Sarebbe controproducente, per il futuro delle politiche per l’infanzia nel nostro Paese.
E’ opportuno che in un testo avente valore di legge siano resi più espliciti i caratteri distintivi del settore zerosei, interpretando però con molta attenzione i punti contenuti nella Legge 107/2015, art.1, comma 181, lett. e).[4]
Nel testo della legge delega non viene proposto un generico contenitore 0 – 6 anni, tanto è vero che si parla distintamente di servizi educativi (i nidi d’infanzia) e di strutture scolastiche (le scuole dell’infanzia) ed anche il richiamo agli educatori (0-3) e agli insegnanti (3-6) fanno trasparire il rispetto delle due diverse tipologie di servizio.
Asilo nido e scuola dell’infanzia sono realtà educative molto diverse, ma il confronto tra i due modelli pedagogici è stimolante, anche per evitare che nella scuola dell’infanzia prevalga una impostazione di tipo scolasticistico, come capita qualche volta di vedere nelle sezioni, magari sotto le spinte di un malinteso precocismo. La rilettura delle Indicazioni vigenti per la scuola dell’infanzia (DM 254/2012), che si ispirano direttamente agli Orientamenti del 1991, è in proposito assai illuminante. Il testo delle Indicazioni/2012 è esplicitamente richiamato dalla legge-delega. Nel documento non si parla di anticipo, di prelettura o prescrittura, ma di un incontro graduale del bambino con i saperi attraverso i campi di esperienza[5].
La previsione della costituzione di eventuali poli infanzia “zerosei” non va vista come la scomparsa dei due preesistenti modelli, ma come una ipotesi sperimentale ad alta valenza innovativa, che potrà però essere attuata in poche limitate realtà (pensiamo soprattutto ai Comuni all’avanguardia nelle politiche educative)[6]. Un polo “zerosei” potrebbe caratterizzarsi come un “campus” per i bambini delle prima e seconda infanzia, con spazi ed ambienti distinti, ma con aree integrate per attività di continuità, e servizi di supporto comuni. Nella maggior parte dei casi, il polo “zerosei” potrebbe vedere l’aggregazione ad una scuola dell’infanzia di una sezione “piccoli” (dai 2 ai 3 anni), con personale apposito. In questo caso si tratta di “sezione primavera” la cui gestione può essere assunta anche dallo Stato (e quindi aggregata agli istituti comprensivi).
E le sezioni primavera?
Ma dove sono finite le sezioni primavera?[7]
La legge-delega non cita le sezioni primavera, cioè quelle particolari strutture pensate per i bambini da 24 a 36 mesi, ed istituite da ormai una decina d’anni (Legge 296/2006). La stessa vita delle sezioni primavera è rimasta assai precaria, anche per i ritardi nei finanziamenti, che sono legati alle intese tra Stato e Regioni.
Ma l’occasione è propizia per dare una regolamentazione più robusta a questa intuizione pedagogica che può essere una prima risposta per estendere il servizio educativo per i bambini al di sotto dei tre anni, là dove non c’è (molte regioni del sud), ma anche per differenziare l’offerta là ove è già di qualità (a Reggio Emilia un quarto del settore zero-tre è rappresentato da sezioni primavera).
Modello strutturato, personale stabile e qualificato, parametri di funzionamento, forme di autorizzazione e monitoraggio, progetto pedagogico: sono forme di garanzia per il rilancio di un progetto organizzativo che può essere gestito da Stato, Comuni o Enti privati.
Per le sezioni primavera statali (che al momento sono una minoranza) si potrebbe immaginare un organico stabile, formato da insegnanti magari quelli assunti dalle graduatorie permanenti ad esaurimento (GAE, ora esclusi dalle assunzioni in ruolo), e da educatori ed assistenti, magari stabilizzando il personale precario ora in carico ad enti diversi (cooperative sociali, soggetti privati, ecc.).
La sezione dei due anni è il luogo di incontro tra la pedagogia del nido centrata sulla cura, l’accompagnamento, la relazione e della scuola dell’infanzia caratterizzata dagli alfabeti, il corpo e i linguaggi, gli apprendimenti, la socialità proprio per superare una visione stereotipata e “meticciare” le due prospettive: una opportunità più unica che rara per mettere alla prova il valore generativo dello “zerosei”.
Gli standard di qualità
Il riconoscimento della dimensione pienamente educativa delle due strutture va di pari passo con l’uscita dell’asilo nido dall’area dei servizi “a domanda individuale” con nuove forme di finanziamento pubbliche, sulla base di rigorosi parametri ed una moderata contribuzione degli utenti, in ragione della qualità dei servizi erogati[8].
Per la scuola dell’infanzia, l’attuazione della delega dovrà comportare la definizione di indicatori di qualità per i rapporti numerici adulti-bambini e la dimensione delle sezioni, le fasce pregiate di compresenza dei docenti, la formazione obbligatoria, l’introduzione del coordinamento pedagogico per quelle realtà che ne sono ancora sprovviste, come la scuola statale.
Inoltre, dovrà essere previsto un sistema di governance rispettoso dei diversi soggetti titolari delle strutture (stato, comune, privato), che però garantisca l’integrazione di domanda e offerta ed i sistemi di verifica e controllo.
E’ evidente che solo in forme coordinate questi diversi gestori potranno regolare meglio, con una regia pubblica, l’accesso ai servizi, il sistema dei finanziamenti, i centri di accoglienza della domanda, i piani di sviluppo dell’offerta formativa di un territorio.
Le strutture dello zerosei rappresentano un elemento di qualità della vita di una comunità e devono essere pensate unitariamente in loco, fermo restando le specificità dei modelli organizzativi.
La progettazione educativa sarà basata su linee guida, che nel nido mancano, e su indicazioni (per l’infanzia già ci sono e vanno pienamente attuate). Il progetto educativo interpreta la qualità ecologica del curricolo nell’infanzia, che non può sovrapporsi alla plasticità dello sviluppo infantile e irrigidirsi in pratiche scolastiche (la logica dell’anticipo e della preparazione è sempre dietro l’angolo), ma che piuttosto lo accompagna e lo stimola attraverso un adeguato allestimento dei contesti educativi, garantito dalla professionalità dei docenti.
Generalizzare i punti di eccellenza
In definitiva, in Italia esiste una collaudata cultura pedagogica che ha fatto crescere la credibilità e l’affidabilità delle strutture educative che si occupano di infanzia.
I punti di eccellenza possono diventare i fari che illuminano l’intero settore e orientano la ricerca educativa, la formazione permanente del personale, la qualità dei contesti educativi. Questi elementi possono essere inseriti in appositi protocolli di valutazione che daranno vita a breve ad uno specifico RAV (Rapporto di Auto Valutazione) per l’infanzia.
Il RAV promette di essere un interessante oggetto di ricerca sugli indicatori di qualità di una buona scuola dell’infanzia ed il suo aggancio (per la scuola dell’infanzia statale) con il quadro concettuale del RAV dell’istituto comprensivo (o della Direzione Didattica) può facilitare la connessione tra il segmento 3 – 6 anni e ciò che viene dopo (il primo ciclo), rafforzando l’idea di continuità educativa[9].
Già, perché la scuola dell’infanzia si trova costretta a navigare fortunatamente tra due diverse sponde: il nido da un lato, che rappresenta un ambiente di qualità per le prime esperienze di apprendimento dei bambini (ma oggi ne usufruisce solo il 2% dei bimbi di Reggio Calabria e invece il 50% di quelli di Parma) e la scuola del primo ciclo dove si consolidano gli apprendimenti di linguaggi, alfabeti e i primi codici dei saperi.
Quando si riscrivono le leggi per la scuola occorre stare dalla parte dei bambini, ma guardare avanti per farli crescere. Se lo “zerosei” sarà questo potremo tirare un sospiro di sollievo per l’educazione dei nostri bambini.
[1] Si vedano ad esempio il documento elaborato dal CIDI di Firenze: http://www.cidi.it/articoli/primo-piano/zero-riflessioni-gruppo-infanzia-cidi-firenze e quello proposto dal CIDI nazionale: “Delega zero/sei: criticità delle proposte in campo”: https://www.facebook.com/cidifo/
[2] G.Cerini, Come in apnea, in “Scuola dell’infanzia”, n. 8, Giunti, Firenze (in pubblicazione).
[3] G.Cerini, Ripartire dall’educazione e dalla cura dell’infanzia, in “Rivista dell’istruzione”, n. 3, maggio-giugno 2013, Maggioli, Rimini. LA medesima rivista ha dedicato il numero 4 del 2013 alle questioni dei servizi per l’infanzia con interventi di G.Zunino, L.Campioni, S.Benedetti e a altri, con la presentazione dei contenuti innovativi della proposta di legge 1260 (Sen. Puglisi), da cui ha preso le mosse la delega contenuta nella legge 107/2015.
[4] M.Maviglia, Il detto e il non-detto dello zerosei, in “Rivista dell’istruzione”, n. 2, marzo-aprile 2016, Maggioli, Rimini, analizza il testo della legge delega mettendone in evidenza gli aspetti positivi (senza trascurare le criticità) e sgombrando il campo dai fraintendimenti che spesso accompagnano il dibattito su questo tema.
[5] Per un commento delle Indicazioni/2012 vedi: G.Cerini (a cura di), Le nuove Indicazioni per il curricolo verticale, Maggioli, Rimini, 2013.
[6] Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, Curricolo è responsabilità. La sfida del progetto 0/6 e oltre,Milano, 26-27-28 febbraio 2016, Preatti, ZeroseiUp, 2016.
[7] L.Lega, Sezioni primavera, in “Voci della Scuola”, VII, Tecnodid, Napoli, 2018. Le sezioni primavera attualmente funzionanti (2015) ammontano a circa 1.600 e possono essere gestite da privati, enti locali, stato.
[8] L.Lega, I servizi educativi per l’infanzia e la loro sostenibilità, in “Infanzia”, n. 1, gennaio-febbraio 2016, Spaggiari, passa in rassegna i costi legati alla generalizzazione dei servizi educativi e all’attuale crisi economica.
[9] La proposta di sperimentazione di un RAV-Infanzia è illustrata da G.Cerini sul sito “Pavone Risorse”: http://www.pavonerisorse.it/buonascuola/autovalutazione/rav_brame.htm . La questione della valutazione nella scuola dell’infanzia, che non può certamente avvalersi di test o risultati scolastici, è ben illustrata da Anna Bondioli e Donatella Savio, dell’Università di Pavia, una delle strutture maggiormente impegnate in questo campo di ricerca: A.Bondioli, D.Savio, La valutazione degli esiti formativi nella scuola dell’infanzia, in “Rivista dell’istruzione”, n. 6, novembre-dicembre 2015, Maggioli, Rimini,