Il “degrado dei nostri licei” secondo Galimberti

Il “degrado dei nostri licei” secondo Galimberti

di Maurizio Tiriticco

 

Ho già avuto modo di polemizzare con Umberto Galimberti sui problemi dell’alternanza scuola/lavoro (https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=74633) e ora non posso fare a meno di intervenire una seconda volta a proposito del suo “Quando il modo di insegnare fa saltare il banco” (in Donna, supplemento de “la Repubblica” odierna). Nel sommario dell’articolo leggo testualmente: “Il degrado dei nostri licei è dovuto al fatto che alla qualità dell’insegnamento abbiamo sostituito la quantità dei ‘prodotti scolastici’ misurabili, anche se a volte idioti”. Mi chiedo: ma perché Galimberti interviene su cose che non conosce? Non si rende conto che, così facendo, non fa altro che offrire una sponda a tutti coloro che con estrema superficialità pensano che tutti i mali della scuola italiana dipendono solo dalle innovazioni indotte negli ultimi anni, se non negli ultimi decenni? Innovazioni sulle quali occorrerebbe discutere a lungo, alcune ottime e necessarie (ad esempio, l’innalzamento dell’obbligo di istruzione, l’istituzione di una scuola dell’infanzia che tutto il mondo ci ha invidiato, le riforme che nel secolo scorso hanno investito la scuola primaria, la scuola media, l’istruzione tecnica e quella professionale), altre assolutamente discutibili (le riforme Moratti e Gelmini; per non dire della recente legge 107). Non facciamo un fascio di ogni erba!

E vengo al dunque: i prodotti scolastici misurabili! Ma che ne sa Galimberti di docimologia? Ma andiamo a monte. Ogni prodotto, scolastico o non, è sempre misurabile. Non credo che Galimberti acquisterebbe un paio di scarpe o una camicia che non siano della sua “misura”! Anche se il colore, la forma, la marca, la qualità del prodotto, il prezzo accessibile fossero di sua piena soddisfazione! Una febbre alta, misurata con tanto di termometro digitale (ho la nostalgia dei termometri a mercurio!), potrebbe essere segnale di un raffreddore o di chissà quale terribile incipiente malattia. I 50 chilometri orari da rispettare rigorosamente in città sono deleteri in autostrada! A me personalmente piace tanto la Fiat 500, ma ci entro con grande difficoltà. Il caviale lo amo, ma costa troppo. E quante volte abbiamo fatto un regalo costosissimo e per noi stupendo, che, invece, non è stato affatto gradito e subito dopo riciclato? Insomma, NOI TUTTI quotidianamente “misuriamo” e “valutiamo”. La stessa cosa avviene – o dovrebbe avvenire e con criteri dati – per un “prodotto scolastico”. Un alunno potrebbe comporre un tema ottimo sotto il profilo dei contenuti, della loro originalità, delle idee espresse, ma pieno di errori grammaticali (ortografia, morfologia, sintassi). E il suo compagno di banco potrebbe produrre un tema ineccepibile sotto il profilo grammaticale, ma assolutamente povero di contenuti, pieno di luoghi comuni e di banalità. E dico di più: i giudizi di valore di due insegnanti sullo stesso tema potrebbero divergere, anche se ambedue concordano che squola, cuggino, comizzio e il famoso soccuadro sono imperdonabili errori. In effetti, ogni prodotto, scolastico o meno che sia, è sempre misurabile e valutabile. La 500 mi piace (valutazione), ma non c’entro (misurazione)!!! E tra il misurare e il valutare corre una grande differenza: il misurare discende da criteri oggettivi accettati da tutti (due più due fa quattro sempre e ovunque; cuore si scrive con la c, quadro con la q); il valutare, invece. discende da criteri soggettivi sui quali è opportuno, se non necessario, soprattutto in una scuola, cercare e trovare precise convergenze. E non è un caso che la norma raccomanda agli insegnanti, insieme, di “individuare le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale” (dpr 275/99, art. 4).

Nessun ministro, nessuna legge – indipendentemente dagli orientamenti politici e culturali – hanno scientemente e deliberatamente sostituito alla qualità dell’insegnamento la quantità dei prodotti scolastici misurabili. La questione è un’altra: la docimologia – disciplina che ovviamente si scontra contro una pratica scolastica ancora profondamente malata dell’attualismo gentiliano – ha fatto negli ultimi decenni passi da gigante nell’ambito della ricerca scientifica, ma non nella pratica scolastica. Del resto, neanche l’amministrazione si è fatta mai carico di sollecitarla e di promuoverla nella ricerca e nella pratica dei nostri insegnanti, anche se poi impone quelle prove Invalsi che la grande maggioranza di insegnanti e studenti rifiuta o esegue in larga misura solo per quieto vivere. Sono prove oggettive che vengono imposte dall’alto a una scuola che di prove oggettive è digiuna: e che hanno tutti limiti delle prove oggettive! Ma che costituiscono comunque uno spauracchio! Per non dire delle mille altre ragioni del rifiuto, per cui si aprirebbe un discorso infinito! E i pro e i contra ce ne sono a iosa!

In uno scenario così complesso, invocare, come fa Galimberti e forse molti insegnati passatisti, pratiche didattiche e valutative del buon tempo antico non serve a nulla. E’ cambiato il mondo, e con esso sono cambiate la società e gli studenti; ma la scuola, nella sua struttura e nelle sue pratiche, almeno nel nostro Paese, è rimasta quella di sempre, tranne quei significativi passi in avanti che prima ho citato ma che la miopia dei recenti governi non è stata in grado di valorizzare, sostenere, proseguire. E l’ignoranza in materia di valutazione si coniuga anche con l’ignoranza in materia di metodologie e della stessa organizzazione scolastica. Un solo esempio: la ricerca educativa ci suggerisce di insegnare ad apprendere secondo le strategie del curricolo e di una didattica laboratoriale! Ma le nostre scuole masticano poco sia di progettazione curricolare che di didattiche innovative! Sono ancora organizzate come caserme, quelle stesse caserme militari che stanno chiudendo perché non più funzionali alle esigenze della difesa e della guerra moderna. Abbiamo classi di età in cui si promuove e si boccia, con orari eguali per tutti, con materie che si avvicendano e insegnanti che impartiscono ora dopo ora pezzi di materie come pillole di medicinali. Altro che apprendimento personalizzato!

Comunque, in una cosa Galimberti ha ragione, quando alla fine afferma che “il peggio può ancora avvenire”. E verrà, se nessun governo ha l’intelligenza di comprendere come intervenire sull’istruzione e la determinazione per farlo. E non è certo la legge 107 che apre le porte al nuovo. Non vorrei che tra qualche anno il Galimberti di turno abbia a dire le stesse cose, magari tra il plauso di tanti insegnanti frustrati, costretti a saltare di scuola in scuola ogni tre anni… a contratto scaduto!